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IL MONDO DOPO IL COVID-19

Casamonti: ripensare gli spazi, dalla casa al ristorante alla cantina, e rendere smart i borghi

A WineNews la visione di uno degli architetti più importanti del Belpaese e firma della cantina della Marchesi Antinori nel Chianti Classico
ANTINORI, ARCHITETTURA, EMERGENZA COVID, MARCO CASAMONTI, RISTORANTI, Italia
Marco Casamonti, nella foto di Alexander Dobrovodsky, nella Cantina Antinori ne Chianti Classico

La pandemia di Covid-19 ha costretto gli italiani per settimane tra le mura domestiche, vivendo la propria casa, e quindi i propri spazi, in un modo del tutto nuovo. Convivenza e smart working hanno messo a nudo tutti i limiti di decenni in cui si è puntato sulla crescita delle città e su spazi sempre più piccoli, a discapito dei sobborghi, dei borghi e delle campagne. Una dinamica che possiamo calare anche nel mondo della ristorazione: come emerge dal racconto di tanti chef ed imprenditori del settore, adeguarsi alle nuove norme vorrà dire rapportarsi in modo nuovo e diverso allo spazio ed ai suoi limiti, per garantire la distanza sociale e la salubrità degli ambienti. Da un punto di vista architettonico ed urbanistico, tutto questo, cosa comporta, e come affronta il mondo dell’architettura i cambiamenti di medio e lungo termine che ci troviamo di fronte? A WineNews ne abbiamo parlato con Marco Casamonti, dello Studio Archea Associati, tra gli architetti più importanti del Belpaese, e firma dell’avveniristica cantina della Marchesi Antinori nel Chianti Classico.
Argomento sconfinato, da trattare con cura e contestualizzandolo con precisione, partendo dall’inizio, ossia, dalla pandemia. “Ciò che stiamo affrontando è il diffondersi a livello globale di un virus particolarmente insidioso; si tratta tuttavia, ed è bene sottolinearlo, di un evento tutt’altro che inaspettato come avevano anticipato in molti dopo l’esperienza di altre epidemie, come l’influenza suina o la Sars che aveva coinvolto in particolare il continente asiatico. Non è la prima - racconta l’architetto - e purtroppo non sarà l’ultima, per cui è un dovere farci trovare preparati, anche ripensando gli spazi dove abitiamo e viviamo: quelli della casa, dell’ufficio, del lavoro, della salute, ma anche della ristorazione e dello svago. In che modo? Con altri architetti - tra cui Ramon Prat di Barcellona e Massimiliano Fuksas di Roma - abbiamo usato il tempo risparmiato dai viaggi di lavoro di questi due mesi per ripensare i luoghi dell’abitare e proporre ipotesi concrete di lavoro, principalmente rivolte alle Istituzioni, partendo da alcune idee emerse tanto nell’attività professionale quanto nella ricerca”.
Il punto di partenza è il centro della vita di ognuno, le “case dove abitiamo sono l’inizio di un processo di ripensamento del nostro modo di abitare che probabilmente ha smarrito nel tempo il significato, per lo spazio domestico, di rifugio, di luogo protetto, mentre la casa deve continuare a rappresentare il luogo del primo soccorso. Risulta del tutto evidente che esista a livello generalizzato un problema di spazio connesso alla contrazione dimensionale che ha provocato l’espulsione di molte attività quotidiane dal luogo domestico. Viceversa, di fronte all’emergenza Covid-19, alle persone è stato chiesto di non andare al Pronto Soccorso, di restare a casa, purtroppo in balia degli eventi e spesso senza assistenza. Evidentemente se le nostre abitazioni fossero state realmente connesse con la medicina del territorio attraverso servizi di assistenza in remoto con tecnologie già oggi disponibili sarebbe stato possibile sostenere molte famiglie e pazienti che si sono sentiti completamente abbandonati, fare diagnosi o dialogare con il proprio medico o con l’ospedale senza uscire di casa a tutela anche dei medici che hanno perso la vita pur di aiutare a domicilio le tante persone infettate. Ma la casa - continua Casamonti - oltre al tema delle infrastrutture tecnologiche, presenta altre criticità che sono comuni a molte altre tipologie: dobbiamo pensare che la nostra vita è un continuo movimento tra interno ed esterno, tra un dentro e un fuori, per cui ogni luogo abitabile necessita di uno spazio con funzione di filtro. In tutti gli edifici dovremo dividere una “dirty zone” da una “clean zone”: entrando, dovremo trovare un ingresso dove toglierci il cappotto e le scarpe, lavarci le mani, e da lì entrare nella “clean zone”. In casa è facile da fare, bastano pochi metri quadrati, ed a maggior ragione è possibile farlo in un ufficio e probabilmente anche in un ristorante o un luogo di svago”.
L’ostacolo principale è costituito dalla logica del profitto, poiché “per tagliare qualsiasi superficie ritenuta accessoria il mercato offre appartamenti con l’ingresso direttamente sulla cucina-soggiorno, il che è antigienico a prescindere dal Covid-19. Va ricordato che il potere di spesa della famiglia italiana media è all’incirca lo stesso ed a fronte di questa capacità di indebitamento il mercato propone appartamenti sempre più piccoli: non potendo aumentare oltre un certo limite il costo, si ricorre alla riduzione degli spazi e dei servizi. E questo vale anche per gli uffici e molti altri luoghi di lavoro. Ci sono Comuni, come Milano e Genova, che consentono di costruire abitazioni di 28 metri quadrati, in cui sostanzialmente si può solo dormire o poco più: questo comporta l’espulsione degli abitanti dal proprio spazio domestico per lo svolgimento di qualsiasi altra attività. Viceversa ci sono Comuni, come Napoli (45 metri quadrati) e Firenze (50 metri quadrati) che hanno innalzato tale soglia, e, al contrario di quanto si possa credere, questa strategia aiuta a calmierare il mercato perché quel minimo non potrà essere superiore come costo alla possibilità di spesa media. Stabilire dimensioni corrette per l’abitare al fine di proteggere le persone all’interno della casa, consentendo loro anche di studiare e lavorare, costituisce come compreso da tutti in questa fase di forzata convivenza, una necessità non più rinviabile. Tutto ciò - aggiunge l’architetto - vale anche per molte altre attività lavorative tra le quali la ristorazione: in una sala di dimensioni definite, se non vi sono regole condivise, ogni operatore tenderà, per aumentare il profitto, al massimo sfruttamento dello spazio e dei posti a sedere. Probabilmente occorrerà orientarsi, per qualsiasi edificio, non già alla massima utilizzazione delle superfici disponibili, ma verso la possibilità del miglior sfruttamento dello spazio in relazione alla qualità della vita e del comfort delle persone.”
Superata la questione della rendita superficiale, l’attenzione degli operatori deve spostarsi sul concetto di salute, quindi sulla “possibilità di igienizzare lo spazio abitabile“. Abbiamo oggi, ed è bene ricordarlo, tutte le tecnologie per sanificare gli ambienti in modo semplice, basta applicarle. Nelle sale operatorie vengono usate da anni lampade ultraviolette che uccidono i batteri e sanificano gli ambienti. Forse, con poca spesa, potrebbe rivelarsi la soluzione giusta per la sanificazione della casa, dell’ufficio e del ristorante: una volta chiuso si accendono le lampade e la mattina dopo l’ambiente è sanificato, non è difficile, né costoso”.
Un’altra grande riflessione riguarda i sistemi di aria condizionata e più in generale i quelli di climatizzazione. “Se continuiamo a riscaldare e raffreddare gli ambienti riciclando l’aria interna con impianti centralizzati - sottolinea Casamonti - evidentemente contribuiamo involontariamente alla circolazione di eventuali virus o agenti infettanti. Perché non scegliamo, negli ospedali così come negli uffici, e più in generale in tutti i luoghi chiusi dove sia previsto lo svolgimento di attività collettive, sistemi radianti, che non movimentano l’aria, mentre per i ricambi d’aria naturale non ci affidiamo il più possibile alle vecchie finestre? Tutto questo è ampiamente fattibile, ma se non ci sono regole ad imporlo non lo farà nessuno.”
Il Covid, anche in questo senso, ci ha messo di fronte ad una realtà evidente: “dobbiamo preoccuparci della salute delle persone e dell’ambiente. Se continueremo a distruggere il paesaggio, non potremo stupirci dei cambiamenti climatici, e ancora, se è acclarato che l’uso dei combustibili fossili è responsabile del surriscaldamento globale, arriverà il momento in cui la natura presenterà il conto in termini di scioglimento dei ghiacci e quindi di innalzamento del livello del mare, ma quando ci accorgeremo del disastro incombente, forse sarà troppo tardi. Molti cittadini distratti non mostrano in generale una visione a lungo termine, visione che almeno dovrebbero mostrare politici e istituzioni, purtroppo concentrati su risultati a breve termine, il termine delle prossime elezioni. Se riuscissimo a pensare a cosa sarà il mondo tra mezzo secolo, capiremo immediatamente che è il caso di smettere con l’utilizzo indiscriminato dei combustibili fossili. Evidentemente, siamo arrivati ad una condizione talmente folle che la natura si è ribellata, e lo farà sempre più frequentemente, perché se cinquant’anni fa eravamo due miliardi, oggi vivono sul pianeta otto miliardi di persone, e se continuiamo a crescere a questi ritmi le pandemie, l’inquinamento, il problema del cibo, diventeranno dinamiche sempre più pressanti”.
Occorre che qualcuno se ne occupi, ricorda Marco Casamonti, “a partire da noi architetti. Non dico che dobbiamo smettere di costruire ma dobbiamo sentire fortissima la responsabilità che ciò comporta in termini di uso del suolo. Con la cantina di Antinori nel Chianti Classico abbiamo costruito oltre 50.000 metri quadrati di edificio, ricreando altrettanta superficie di vigneti sui tetti. Le cantine, in questo senso, costituiscono un esempio virtuoso di uso delle risorse poiché storicamente ottenevano le temperature di maturazione del vino in maniera assolutamente naturale attraverso lo sfruttamento della temperatura della terra, del sottosuolo. Il vino e il suo consumo pongono inoltre alla nostra attenzione due termini fondamentali per la vita contemporanea: rispetto e moderazione. Se il vino è bevuto con rispetto e moderazione fa bene all’organismo, c’è chi sostiene che un bicchiere al giorno aiuti a prevenire le malattie cardiovascolari. Ma se ne abusiamo, otteniamo l’effetto contrario e, ciò che era buono, diventa dannoso. Il vino da questo punto di vista rappresenta un esempio: può essere un piacere ma deve essere consumato con saggezza. Considerazioni che valgono per qualsiasi altra risorsa: il petrolio purtroppo è l’energia più a buon mercato che esista, tuttavia è evidente che il suo uso indiscriminato sia dannoso per l’ambiente. Sono certo che in futuro vivremo obbligatoriamente in maniera ecologica e sostenibile, ma sarà tardi: dobbiamo agire preventivamente affinché questo meraviglioso pianeta non si ammali, e poiché deve essere già considerato malato sul piano ambientale, affinché non si aggravi ulteriormente”.
Un altro argomento sul tavolo connesso con i termini della discussione in corso riguarda la deurbanizzazione, “una opportunità verso cui dobbiamo tendere - dice Casamonti - ma se ci concentriamo tutti nelle città è perché nelle campagne e nei borghi c’è ancora un gap gigantesco in termini di connettività. È difficile lavorare o studiare da casa vivendo sull’Appennino. Il tema è: infrastrutturazione del territorio. Finché non sarà conclusa tale attività, a livello tecnologico, questi luoghi meravigliosi dell’Italia, che sono la nostra spina dorsale, si spopoleranno sempre di più. Solo in questi termini si può pensare ad un decentramento, e consentire a tutti di sfruttare l’opportunità del telelavoro, del controllo della salute a distanza (telemedicina). Dobbiamo tornare a rendere attrattivi i centri minori, a partire dai territori montani. Il decentramento è auspicabile, ma probabilmente occorrono forti politiche di incentivazioni quali la defiscalizzazione del costo del lavoro per le aziende che consentano lo smart working. Tale propensione verso i centri minori può favorire anche il settore della ristorazione di qualità, anche se in questa fase di estrema sofferenza per il settore occorrerebbe incentivare un uso pubblico delle strade, oggi “privatizzate” dalla presenza ingombrante e inquinante delle automobili. Le strade e le piazze non dovrebbero essere parcheggi, o linee di scorrimento per il traffico, piuttosto luoghi di incontro tra le persone, spazi per la ristorazione, e il movimento libero delle persone. Dobbiamo cercare di rendere civile questo mondo - conclude l’architetto dello Studio Archea Associati - fare in modo che la gente usi meno possibile l’automobile, meno che mai i combustibili fossili”.

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