Quando si parla di qualità assoluta, i dettagli fanno la differenza. Che, a volte, in una grande bottiglia di vino, può essere rappresentata anche dalla scelta del tappo. E non solo, come è ovvio, di quello che accompagnerà la bottiglia sul mercato. Ma anche della chiusura che custodisce il vino nel suo periodo di affinamento. Ed in questo senso, Ruinart, la “plus ancienne Maison de Champagne” (dal 1729, e oggi sotto l’egida del gruppo del lusso Lvmh, ndr) segna una svolta epocale, con Dom Ruinart 2010, l’ultima annata della cuvée de prestige. Realizzata per la prima volta con la vendemmia 1959, e ora alla sua ventisettesima edizione, l’ode di Ruinart alla perfezione dello Chardonnay vede con il millesimo 2010 il punto di arrivo di un lungo processo di sperimentazione iniziato nel 1998, che vede protagonista un tema molto attuale, quello delle scelte in materia di chiusura delle bottiglie di vino. Dom Ruinart 2010 ha trascorso 10 anni di maturazione sui lieviti nelle meravigliose e imponenti cantine di gesso di Reims per 10 anni con un tappo di sughero al posto del classico tappo a corona utilizzato per le seconde fermentazioni in bottiglia del metodo champenoise. Dopo studi approfonditi sull’influenza del tappo scelto per la maturazione sui lieviti, anche in collaborazione col Civc-Comité interprofessionnel du vin de Champagne, lo chef de cave della maison Frédéric Panaïotis ha deciso di tornare all’antica chiusura con tappo a sughero che ha dimostrato di essere più ermetico dopo 6 anni e quindi ideale per accompagnare il lunghissimo affinamento della cuvée de prestige epitome del blanc de blancs. Una scelta che ha comportato una rivoluzione copernicana nella gestione non solo della sboccatura, fatta necessariamente a mano passando da 3000 a 100 bottiglie all’ora, ma anche dello stoccaggio e della logistica. La selezione del sughero scelto per i tappi prevede minuziosi controlli, tra cui la gascromatografia finale per verificare l’eventuale presenza di tracce di Tca. E se solitamente il cru portante dell’assemblaggio dei diversi chardonnay selezionati per Dom Ruinart era quello di Sillery, anche l’annata 2010 rappresenta un’eccezione, con la maggioranza di uve dal villaggio di Le Mesnil insieme ad Avize, Chouilly e Cramant, e per la prima volta l’indicazione Extra Brut in etichetta a sancire la scelta del dosaggio a 4 grammi per litro. Un vino di grande complessità figlio di un’annata non semplice ma che ha saputo esprimere una grande personalità nelle uve a bacca bianca, che hanno carattere, struttura e stratificata eleganza, oscillando tra le note agrumate e quelle speziate per ipnotizzare definitivamente il palato in una verticale di freschezza che si inabissa in una profondità di frutta secca salata e pasticceria finissima. Il millesimo dell’audacia non poteva che sorprendere anche nel packaging, con il “second skin” in fibre di cellulosa completamente riciclabile che sembra direttamente scolpito nel gesso. Un modo ancora più evocativo per evidenziare il legame tra Dom Ruinart e il terroir della champagne e per raccontare la magia del tempo trascorso in cantina per raggiungere la perfetta evoluzione. “Il chalk wrap sostituisce definitivamente i coffret - sottolinea la senior brand manager di Ruinart in Italia Silvia Rossetto - e questa nuova confezione è 11 volte più leggera e consente una riduzione del 62% di carbonio rispetto al precedente packaging definendo un nuovo stile di lusso consapevole”. Dom Ruinart 2010 è stato affiancato da Dom Ruinart Rosé 2007 in un percorso creato dallo chef “green” stellato Riccardo Gaspari del San Brite di Cortina d’Ampezzo, che ha realizzato abbinamenti territoriali (questa nella presentazione in Italia dell’esclusiva etichetta): trota marinata e brodo affumicato, una declinazione tutta vegetale a base di sedano rapa, risotto mantecato con erbe aromatiche, cervo funghi abete e sottobosco e a chiudere un gelato al mais e brodo di liquirizia.
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