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Che vino berremo tra qualche anno e da cosa dipenderà il successo di un’etichetta nel mercato del futuro? Tra cambiamento climatico e centralità dei territori, la risposta dei protagonisti del vino dalla tavola rotonda Arev a Grinzane Cavour

La domanda, quando si parla di futuro del vino, è sempre la stessa: che vino berremo, e cosa spingerà un’etichetta ad avere successo sui mercati? Difficile rispondere con certezza, ma qualche punto fermo, da cui guardare al domani in prospettiva, c’è. Innanzitutto, la questione climatica, cui è intrinsecamente legata tutta l’agricoltura, inclusa ovviamente la viticoltura, al centro convegno dell’Arev, l’Assemblea delle Regioni Europee Agricole (www.arev.org), di scena nei giorni scorsi al Castello di Grinzane Cavour, nel cuore delle Langhe.
“Viviamo un momento di grande variabilità meteorologica - spiega l’enologo e ricercatore Donato Lanati - e con l’innalzamento delle temperature potrebbe cambiare anche la viticoltura. Dobbiamo stare tutti molto attenti perché il territorio è la nostra ricchezza, per questo dovremo capire come rendere le viti più resistenti al caldo e all’assenza di acqua. Cambiando radicalmente il sistema su cui si basa la nostra viticoltura, per rispondere, ad esempio, all’aumento delle malattie, come la peronospera. Inoltre - aggiunge Lanati - la quantità di sostanza organica si è ridotto per questo ci sono più pericoli di frane”.
A chi affidarsi? Alla scienza, come sostiene Norbert Weber, presidente della Federazione della Viticoltura Tedesca, secondo cui c’è bisogno proprio “della scienza per risolvere i problemi futuri e trovare soluzioni conformi all’ambiente. Con i territori che diventeranno sempre più importanti”.

Ecco la leva da usare sui mercati, il territorio, inteso sia come luogo da cui nasce l’eccellenza, sia come brand. Ci spera Paolo Saracco, viticoltore di Moscato a Castiglion Tinella, che si augura che nel futuro “si beva il Moscato: ho preoccupazioni sul clima, poche certezze, ma il vino di domani è il vino del territorio, e ad avere successo sarà il vino che ha il carattere delle nostre colline”.
Del resto, che certi territori sono già storie di successo, su tutti quello dello Champagne, dove “la denominazione di origine e la Regione danno fama al prodotto - come racconta Pascal Ferrat, presidente del Sindacato generale dei Vignerons della Champagne - ed il territorio dà la possibilità di valorizzare il proprio vino. Cosè, lo Champagne è passato dal 70% di consumo interno a meno del 50%, ed in dieci anni il valore dell’export è cresciuto in maniera esponenziale”.
Ma il commercio internazionale del vino è legato anche a dinamiche geopolitiche, come ricorda Claudio Conterno, a capo della griffe del Barolo Conterno Fantino: “quando bevo vino voglio sapere da dove viene, e quando si parla di accordi internazionali e negoziati con gli Usa, vorrei che ci fosse qualcuno che ne sappia di vino e di pomodori a quei tavoli, non di computer”.

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