Ritagliarsi uno spazio nel mondo, all’insegna delle proprie peculiarità vitivinicole ancora tutte da far scoprire, legate ad un patrimonio culturale unico ed, invece, notissimo al mondo, come quello delle ville di Andrea Palladio, uno degli architetti più importanti del 1500 (le cui celebri ville venete sono patrimonio Unesco) all’insegna dell’hastag #Palladiowines. È questa la strada intrapresa dal territorio dei Colli Berici, ai piedi di Vicenza.
Una denominazione molto vocata per i vini rossi, piccola e poco conosciuta. Solo 700 ettari vitati, poco meno di 15.000 ettolitri di vino, per il 72% rosso, quasi tutto imbottigliato, per una produzione di 1,8 milioni di bottiglie. Niente a che vedere con le grandi denominazioni storiche poco lontane, come quelle del Valpolicella e del Soave, che viaggiano intorno ai 60 milioni di bottiglie. E neppure con le nuove Doc “a due zeri”, come Prosecco Doc e Pinot Grigio delle Venezie che hanno cambiato la base ampelografica della regione e spostato gli equilibri produttivi di alcune Doc, a volte risolvendo problemi di collocazione sul mercato.
Queste colline, alte 300-400 metri a sud di Vicenza, note per gli edifici firmati dal Palladio e da Vincenzo Scamozzi, hanno rappresentato, e ancora rappresentano, una sorta di terra di espansione per alcuni produttori, spesso provenienti da aree a vocazione bianchista, in cerca di un gran terroir per rossi. E di gran terroir da rossi si tratta, grazie alle argille rosse di origine calcarea ricche di scheletro e al microclima con temperature particolarmente miti fino all’autunno inoltrato, una buona escursione termica tra giorno e notte e una limitata precipitazione annua (500-600 mm). Non è quindi un caso se qui oltre all’autoctono Tai Rosso, prima chiamato Tocai rosso e geneticamente simile a Cannonau sardo, Grenache francese e Garnacha spagnola, abbiano messo radici il Merlot, il Cabernet Sauvignon e Franc e il Carmenère. Il loro arrivo risale ai tempi in cui la sede papale fu trasferita ad Avignone (tra il 1309 e il 1377), probabilmente ad opera dei canonici di Barbarano in contatto con i vescovi di Avignone, e poi alla recente ricostruzione post-fillosserica dei vigneti. Non a caso il Cabernet Franc dei Colli Berici è stato il primo Cabernet a denominazione in Italia. Crescono molto (del 300%, ma partendo da numeri relativamente esigui) le superfici a Carmenère, vitigno che qui trova le condizioni di temperatura e piovosità scarsa ottimali per la sua maturazione tardiva, mentre dal bordolese è sparito a partire dalla piccola glaciazione di fine Ottocento.
“I Colli Berici sono come un gioiello custodito in uno scrigno - racconta Giovanni Ponchia, direttore del Consorzio Tutela Vini Colli Berici e Vicenza - ci si passa accanto e dentro percorrendo l’autostrada A1 tra Verona e Vicenza, ma non si ha la percezione di ciò che custodiscono, non si vedono la Villa La Rotonda di Andrea Palladio, presa a modello per la Casa Bianca a Washington, né i vigneti. E neppure i boschi che coprono queste colline per più del 50% rendendo il paesaggio vario e molto lontano dalla monocoltura di vite che si osserva in altre aree, condizione che rende più facile la conduzione in biologico. I Colli Berici del vino sono un po’ un laboratorio. Alcuni produttori hanno raccolto il testimone di chi già da tempo lì produceva bordolesi, come prima i Conti Da Schio di Costozza e negli anni Sessanta e Settanta i Lazzarini del Ferro di San Germano dei Berici, e mantenuto la curiosità e la voglia di sperimentare, di fare esperienze nuove possibili grazie alle peculiarità vitivinicole dei Colli Berici. Non è un caso se in zona c’è un grande fermento, attenzione alla sostenibilità e alle correnti dei vini naturali. Il territorio scarsamente antropizzato, i vigneti contornati da boschi, che ricoprono il 50% della superficie della Doc, e le condizioni pedoclimatiche rendono agevole la coltivazione in bio”.
E se per i rossi da vitigni internazionali a denominazione Colli Berici i paradigmi stilistici sono consolidati, per il Tai rosso ci sono più “versioni”: quella fresca, scarica di colore e quelle più “concentrate”. “Per affermare ulteriormente il nome del territorio - sottolinea Ponchia - puntiamo sul Colli Berici Rosso, che diversamente dai Colli Berici da singolo vitigno proviene da un blend in cui il Tai rosso, dopo l’ultima modifica del disciplinare, assume un ruolo più importante accanto al Merlot. Resta comunque la difficoltà di comunicare una denominazione piccola che propone molte tipologie di rosso e anche di bianco da vigneti su terreni di origine basaltica”.
Grandi risultati si otterranno quando il flusso turistico generato dalle ville palladiane - La Rotonda, Valmarana “ai nani”, Pisani Bonetti - e dalla città stessa di Vicenza, con il Teatro Olimpico e la Basilica Palladiana, sarà attratto da una rete di ospitalità nell’area più strettamente vitivinicola. Alcune aziende ci stanno lavorando e altre vivono già di enoturismo e di vendita diretta. È il caso di piccole aziende come Le Vegre (5,5 ettari per 20.000 bottiglie, 70% vendute in azienda anche grazie all’agriturismo) e come Pegoraro (8 ettari per 48.000 bottiglie) che punta sulle iniziative in cantina e ha elevate percentuali di acquisto nel punto vendita nuovo di zecca e da parte di clienti esteri dell’Unione Europea grazie alla piattaforma del Movimento Turismo del Vino, che permette di spedire il vino al privato straniero con il metodo dell’autospedizione. La filiera dei privati annovera anche aziende più grandi, fino a circa 600.000 bottiglie, spalmate su due o tre denominazioni, ed è la cooperazione, con Collis Wine Group e ViteVis, a detenere l’80% della produzione, conferita da moltissimi soci con piccole superfici vitate. La forbice di prezzo è di conseguenza ampia - forse non abbastanza da premiare le punte di eccellenza - e i canali distributivi differenziati.
“Il primo nostro obiettivo è salvaguardare il reddito dei soci - precisa Alberto Marchisio, direttore generale di ViteVis, che dal 2015 riunisce tre cantine cooperative della provincia di Vicenza, Gambellara, Colli Vicentini e Val Leogra, per un totale di 2.200 ettari, 1.500 soci e 360.000 quintali di uva - per questo ad oggi la produzione imbottigliata è a 6 milioni e mezzo di bottiglie, ben al di sotto del nostro potenziale che è 10 milioni vista la notevole quantità di vino venduto in fusti (quasi 100.000) e come sfuso in cisterne. Ritengo infatti che abbia senso percorrere questa strada solo se si riesce ad avere un adeguato valore aggiunto sull’imbottigliato. Diversamente è una politica che non giova alla base sociale. Non si possono vedere sullo scaffale bottiglie a un prezzo inferiore ai costi di vetro e tappo. Abbiamo, tra l’altro, linee rivolte alla ristorazione che per il buon rapporto qualità-prezzo emergono anche sui nostri mercati esteri importanti come la Russia. Un esempio è un’etichetta di Colli Berici Rosso che facciamo solo nelle annate che meritano. Abbiamo, inoltre, grazie alla conduzione in biologico intrapresa da numerosi soci, una linea di vini bio”.
“Non possiamo pretendere di spuntare con i vini del Colli Berici prezzi particolarmente elevati - sottolinea Stefano Inama, dell’omonima azienda basata nella doc Soave che su queste colline, su circa 30 ettari, produce i suoi pregiati rossi, la prima a scommettere sul Carmenère - diamo bontà vera a prezzi accessibili e non possiamo che puntare a migliorarci. Il mondo dei vini rossi cambia, l’asticella della qualità si alza e noi la rincorriamo con un nuovo progetto e la collaborazione di Stéphane Derenoncourt, visto che abbiamo suoli simili alle migliori argille di Saint Èmilion. Faremo saltare i ponti dietro di noi e non potremo tornare indietro”. “Dopo anni di sperimentazione - aggiunge Matteo Inama - cominceremo a rivendicare la Doc a partire dal Merlot e contiamo sullo sviluppo di un turismo culturale che includa anche i Colli Berici e per questo abbiamo aderito al Grand Wine Tour, un marchio di eccellenza nell’ospitalità che distingue alcune cantine italiane”. Finora, a parte il Carmenère Riserva Colli Berici doc, le altre etichette dei rossi di Inama sono uscite come Igt Veneto. Un segnale importante di investimento sulla denominazione annunciato anche da altre aziende.
“Nei Colli Berici facciamo rossi di grande struttura con un elevato potenziale di evoluzione - rincara Elena Cavazza, dell’omonima azienda basata a Gambellara per i bianchi e che produce i rossi da vitigni internazionali e da Tai rosso nella Tenuta Cicogna (300.000 bottiglie su un totale di 500.000) - sono vini che vanno aspettati nel tempo e anche nel bicchiere una volta versati. Vini austeri da abbinare al cibo secondo le nostre consuetudini e non costruiti per essere gustati da soli come usa oltreoceano. Aumenta la vendita diretta anche grazie al web, ma c’è un anello debole tra noi e il consumatore: la ristorazione e gli enotecari che non raccontano e non propongono i vini. A farne le spese sono le denominazioni meno conosciute come le nostre e noi stessi i troviamo nostro malgrado a promuovere i nostri brand”.
La longevità caratterizza anche il vitigno bandiera dei Berici nell’interpretazione più recente. “Abbiamo sempre creduto nel Tai rosso come emblema dei Colli Berici - racconta Alessandra Piovene dell’azienda Piovene Porto Godi, 40 ettari a vigneto per il 70% a bacca rossa e 120.000 bottiglie - siamo stati tra i primi, grazie a una intuizione di mio padre Tomaso, ad affiancare al Tai rosso dai profumi floreali, marcato sentore di ciliegia e nota di pepe, una versione longeva giocando su rese molto basse, maturazione spinta delle uve e passaggio in legno. E lo decliniamo anche in rosato”. Crede molto nei rossi della denominazione Colli Berici anche la Dal Maso, azienda quasi centenaria, che copre altre due denominazioni venete: Gambellara, Monti Lessini per un totale di 300.000 bottiglie. “Più della metà dei rossi che produciamo sono Tai rosso Colli Berici Doc con tre etichette che valorizzano la sua duttilità. Oltre alla versione di Tai rosso dal colore brillante e profumi intensi di frutta rossa, di medio corpo e acidità elegante, ne produciamo altre due. Uno di stile mediterraneo, ottenuto riducendo le rese e con maturazione in vasche di cemento, di buona beva che piace molto ai mercati internazionali e l’altro, di punta, ottenuto con bassissime rese in vigna e 16 mesi di legni piccoli nuovi al 30%, che ci sta dando molta soddisfazione. Può guardare negli occhi molti bordolesi e mette in evidenza la longevità di cui è capace il Tai rosso senza ricorrere a surmaturazioni o appassimenti”.
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