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CONGRESSO ASSOENOLOGI - OGGI L’EXPORT DI VINO ITALIANO TIRA, MA IL NEL FUTURO? I MERCATI SARANNO SEMPRE PIÙ COMPLICATI, E PAESI CHE OGGI IMPORTANO, COME LA CINA, INIZIERANNO AD ESPORTARE. E SENZA UN “SISTEMA PAESE” CHE FUNZIONA, LA STRADA È IN SALITA

Italia
Ettore Nicoletto, ad Santa Margherita

Vale 14,5 miliardi di euro l’Italia del vino, con un “fatturato” di settore in crescita anche negli anni della crisi, a +6,6% sul 2007, e una produzione (46 milioni di ettolitri in media nell’ultimo decennio) che è il 17% di quella mondiale , per il 50% fatta dalle cantine sociali. Con il bianco che ha superato il rosso il rosato (55% il volume della produzione bianchista), ed una produzione che per il 60% è fatta di vini Dop (33%) e Igp (27%), con il peso del vino da tavola passato dal 90% del 1980 al 40% di oggi . E con un export che ancora compensa il calo dei consumi interni (nel 2012 si scenderà sotto i 39 litri procapite), e che, dopo il record del 2011 a 4,4 miliardi di euro, ha visto un inizio di anno dove nei primi 3 mesi i volumi sono diminuiti del 5,5% sul 2011, ma con i valori cresciuti del 12,5%, da 1,76 a 1,98 euro al litro. Ecco la fotografia del settore scattata da Giuseppe Martelli, direttore generale di Assoenologi, nel congresso nazionale. “Ma non ci si può sedere sugli allori: siamo coscienti che se ci sono cantine con il vento in poppa, altre sono in profondo rosso, e che anche l’export va curato con sempre maggiore cura. Anche la Cina, che tutti vedono come terra promessa, già produce 30 milioni di ettolitri e presto potrebbe diventare anche un grande Paese esportatore”.

“E poi 3,4 miliardi su 4,4 arrivano da 10 soli Paesi, in primis Usa, Germania e Regno Unito. Basta che uno solo di questi entri in recessione per metterci in difficoltà - ha sottolineato Ettore Nicoletto, ad Santa Margherita - quindi dobbiamo muoverci compatti per penetrare meglio in altri mercati, dove l’Italia non è in posizione dominante, anche in quelli più promettenti. Ma per farlo non basta l’impegno delle imprese. So che lo abbiamo già detto tante volte, ma serve un sistema Paese che funziona e si impegna, anche a livello istituzionale. Ad oggi, per esempio non ci sono iniziative italiane importati sul vino italiano per eventi come gli Europei di Calcio in Polonia e Ucraina, per le Olimpiadi di Londra, per i Mondiali di Calcio 2014 in Brasile e così via, e neanche per l’expo di Milano. La frammentarietà delle aziende non è un alibi, esiste, ma non possiamo dimenticarci le qualità che abbiamo e che ci mettono insieme. Il vino italiano, per esempio, vanta una elevatissima capacità di abbinamento al cibo che è un nostro patrimonio esclusivo, può diventare il cappello comune, “stile e abbinabilità con il cibo”. Dobbiamo capire che prima tutti insieme dobbiamo conquistarci una torta più grossa, e poi impegnarsi ognuno per prendersi la sua fetta. Dobbiamo impegnarci a salvaguardare la produttività in Italia, salvaguardare i vigneti, Stato deve favorire crescita dimensionale, affinché chi ha stoffa e visione sul mercato possa emergere, e poi sconfiggere apatia che vino italiano spesso ha quando deve difendere la sua immagine, come contro il tema della demonizzazione dell’alcol che è stata praticamente delegata alla birra. E poi all’estero servono eventi meno sparsi e più coordinati, più unione tra grandi e piccoli, che peraltro, da soli, difficilmente possono stare su certi mercati. Ma ci mancano anche dati puntuali, osservatori che ci diano misurazioni reali su come vanno i mercati e su quali trend ci sono, formazione manageriale. E tutte queste cose servono ora, oggi, e forse non ce ne accorgiamo perché ancora le cose vanno bene, ma il mercato in futuro non ci perdonerà se stiamo fermi, perché si aggiungeranno altri competitors, e rispetto a loro non ci possiamo permettere di partire con altri ritardi di competenza”.

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