... Questo appuntamento dei vent'anni è significativo. Sono convinto che, nel futuro dei prossimi anni, quando studieranno il percorso della nostra associazione, questo momento segnerà un punto importante. Da una dimensione giocosa siamo arrivati a una dimensione significativa che ha restituito centralità al cibo. Abbiamo compiuto un percorso identitario che assegna il riconoscimento spettante per natura alla gastronomia, l'abbiamo portata al centro della cultura, dell'economia e della politica; questo è l'elemento distintivo che ci verrà riconosciuto.
Siamo partiti dal concetto di socialità del cibo, con i temi della felicità e del piacere, per arrivare alla difesa della diversità culinaria e poi della biodiversità, con eventi grandi e interventi di tipo educativo, non solo i Master of Food ma anche l'Università di Scienze Gastronomiche, per arrivare a Terra Madre che è il nuovo inizio di Slow Food. E' l'approdo più significativo e più forte, perché ribadisce il concetto fondamentale che la cultura contadina non deve essere considerata residuale ma si manifesta come una cultura che può salvare il pianeta. I nostri ultimi anni hanno visto la presa d'atto di due temi: la cognizione che la condizione del pianeta è drammmatica, e che lo scarso rispetto per il mondo rurale è un'ingiustizia.
Il rapporto sugli ecosistemi del pianeta, divulgato nel marzo 2005, redatto da 1400 scienziati, non lascia possibilità di scherzare intorno a questo argomento; la descrizione della distruzione degli ecosistemi ha portato il segretario generale della Fao Jacques Diouff a dire che se la comunità internazionale non adotterà drastiche iniziative assisteremo tra trecent'anni all'estinzione della specie umana. Però non avvertiamo questa drammaticità nella politica o nella società, vediamo un'umanità incosciente andare verso il baratro. Non è svilupparsi e produrre sempre di più l'esigenza primaria. Sempre in quel rapporto, si dice che il più grande fattore responsabile della distruzione dell'ambiente è la produzione e il consumo del cibo. Io sono sobbalzato leggendo questo passaggio. I prodotti di sintesi hanno causato l'inquinamento della terra e sterilizzato i suoli, provocando l'aumento dei parassiti, cui si risponde con l'uso di pesticidi e la distruzione va avanti.
Sapete cos'è l'impronta ecologica? E' la quantità di terra fertile utilizzata da ciascuno di noi per far fronte ai suoi consumi. Un nordamericano usa 9 ettari e mezzo, un italiano 3,8, un indiano 0,8. Se tutti avessero l'impronta ecologica degli americani ci vorrebbero cinque pianeti. La perdita della biodiversità è a livelli inimmaginabili, 160000 km quadrati annui di foresta vengono distrutti. Perfino l'ex vicepresidente Al Gore ha detto che la salvezza dell'ambiente deve diventare il più importante obiettivo. Che tristezza invece vedere che la politica italiana non si fa carico di questo, che la preoccupazione più grande è la crescita, la produzione, con una trasversalità totale tra destra e sinistra, mentre noi e chi la pensa come noi siamo una voce che grida nel deserto.
Alcuni nel Governo pensano addirittura che il Ministro dell'Agricoltura debba occuparsi della pensione di quei pochi contadini rimasti. Il degrado del mondo rurale è la più grande giustizia planetaria, ma cosa può importare questo alla politica? Il contado è depauperato, antropizzato, è tutto un susseguirsi di ville e capannoni, il Bel Paese che per due secoli attirava i nobili e gli intellettuali nel grand tour ad approvvigionarsi di bellezza è scomparso... guardate oggi cosa vuol dire girare per l'Italia, vedete cosa sono le periferie o la strada tra Milano e Torino ...
Ma allarghiamo l'orizzonte e consideriamo il semplice atto di prendere un caffé; entriamo in contatto in quel momento con un contadino africano o sudamericano che su un euro di costo per quel caffè riceve a malapena due centesimi, cosa che sancisce come noi qui siamo incoscienti corresponsabili di questa ingiustizia. Le tematiche sono obbligatoriamente planetarie oggi, riconvertire le politiche coloniali è giocoforza. Non è solo il problema delle multinazionali, il commercio equo non è sufficiente, ci vuole una sorta di piano Marshall per il Terzo Mondo.
Dobbiamo restituire quello che abbiamo rubato. Solo la Danimarca e pochissimi altri Paesi lo stanno facendo, l'Italia è agli ultimi posti insieme agli Stati Uniti. Dobbiamo prendere atto che il dominio del mercato è fortissimo. Voglio ricorrere a una storia africana: gli uomini che hanno il potere sono tre, uno con la corona in testa, che è il più alto, quello che fa le leggi, poi c'è l'uomo con il fucile, che controlla che le leggi siano applicate, poi il terzo uomo, quello del denaro, che si compra l'uomo della corona e l'uomo del fucile. Bruxelles è presidiata da questo terzo tipo di uomini, l'Organizzazione mondiale del commercio è presidiata da questo tipo di uomini. Questa gente, in possesso del potere finanziario, ha la protervia di decidere la politica degli Stati, sono le lobbies a determinare le regole per continuare a perpetrare le ingiustizie nel mondo.
Abbiamo bisogno di un'organizzazione mondiale dei beni comuni, cioè delle foreste, dell'acqua, dei territori, altrimenti non riusciremo ad arrivare da nessuna parte. Perciò abbiamo detto che la qualità alimentare deve coniugarsi con buono, pulito e giusto, e che il piacere non è tale se non ha le altre due qualità, non esiste piacere se non c'è giustizia e pulizia dell'ambiente. È lì che dobbiamo rivendicare il piacere, il buono è marginale se non ci sono anche il pulito e il giusto, non posso condividere il piacere se non c'è una giustizia e se vedo il mio paese imbrattato nell'ambiente. Da più parti si pensa che noi siamo cultori di un bel mondo antico che forse non esiste più. Invece i saperi tradizionali fanno parte anche del nostro futuro.
L'idea di portare a Terra Madre 400 docenti universitari del mondo a dialogare con i contadini risponde a un appello drammatico che il grande antropologo Claude Levi Strauss ci ha recentemente posto in tutta la sua drammaticità e urgenza. Siamo in una situazione di emergenza etnologica, dobbiamo salvare i saperi tradizionali, perché li stiamo perdendo. Se non ci riusciremo, saremo tutti più poveri. Stiamo già perdendo l'oralità e la manualità dei gesti. Il dialogo tra le scienze è un processo virtuoso entusiasmante, perchè è esaltante notare quanto è moderno il sapere tradizionale. Si parla tanto oggi di produttività delle risorse, cicli chiusi, ecodesign... tutte cose già praticate quotidianamente dai nostri nonni.
L'uso intelligenrte dell'energia, il recupero, la parsimonia ... sapete qual'è il più grande prodotto di ecodesign? È la stufa di mia nonna, che riscaldava l'ambiente, serviva per cucinare e scaldava l'acqua. Perché non riconoscere quello che c'era già? È un'ingiustizia, è questo l'elemento culturale che dobbiamo rivalutare.
Il Terzo Mondo è pieno di gente che applica i cicli chiusi e l'ecodesign, e noi grazie a Terra Madre abbiamo capito la dignità e la sobrietà di questo mondo contadino. E su questa parola mi voglio soffermare: sobrietà, che vuol dire nuova economia, riappacificazione dell'uomo con la natura, patrimonio che dobbiamo recuperare. Nessuno mette in dubbio i pensieri dei grandi filosofi, ma anche i contadini sono depositari di sapere. Riconoscendo questo principio, Slow Food deve adoperarsi perché nasca un nuovo interlocutore, che abbiamo definito coproduttore.
Consumatore non è un termine appropriato perché sancisce un'ingiustizia. Il consumatore è nemico della cittadinanza umana. Velocità, sovrapproduzione, spreco, questo è la società dei consumi. Tre elementi che gridano vendetta. Valutare le persone in base ai loro consumi, siamo ben tornati indietro! Il corpo del consumatore è un corpo ansioso, il consumo genera ansia. Hanno fatto negli Stati Uniti una statistica dei libri più venduti: sono quelli di cucina e quelli di dietologia! Il peccato e la redenzione, il piacere e la sublimazione della sofferenza. L'anima dei bambini è sotto assedio, come i polli in batteria vengono educati a essere i futuri consumatori. Non voler essere consumatori è uno straordinario progetto educativo. I vecchi dicevano: se fai progetti per un anno semina il grano, se fai progetti per dieci anni pianta il bosco; se fai piani per la vita bisogna formare ed educare le persone. I coproduttori conoscono il rapporto profondo tra natura e cultura, il contadino accudisce la natura e questo manca oggi all'educazione.
Nella scuola non c'è più l'atto agricolo di attenzione e di affetto verso i discenti, non c'è più questo atteggiamento da parte del maestro. La formazione di un uomo dovrebbe essere costante, la nostra formazione è perennemente incompiuta. Devo confessare che dopo aver promosso l'Università di Scienze Gastronomiche mi sono ritrovato profondamente ignorante rispetto al recupero della cultura della manualità.
La manualità non ci appartiene più. Se ipotizziamo la costruzione di una rete di produttori, questa rete non è vero che in quanto tale è democratica, la rete è molto elitaria, chi non ha manualità è già tagliato fuori. I nostri stessi contadini non sono ancora formati per l'uso dei mezzi informatici. Mica hanno tutti un rapporto veloce con lo strumento informatico, quelli di Terra Madre sono proprio quelli che hanno più difficoltà. Questo per quanto riguarda la manualità relativa all'uso della rete internet.
D'altra parte, se ipotizziamo la nascita e la costruzione dei coproduttori, occorre studiare e praticare le tecniche colturali, di coltivazione della terra. Sapete, trovo che sia un esercizio di grande prepotenza limitare gli orti ai bambini, dobbiamo costituire gli orti comunitari, le Condotte devono fare gli orti, dobbiamo ricominciare a distinguere le sementi, recuperare la manualità.
Pensate, Slow Food che apre in ogni Condotta gli orti comunitari in contrapposizione alle palestre ... io personalmente nel momento in cui lascio Slow Food Italia mi dedicherò a fare l'orto e a imparare internet, se vogliamo ipotizzare una nuova cultura questi due elementi sono essenziali.
Partiamo dalla nostra associazione, che viene definita comunità di pratica, in cui ci sono legami tra i membri, impresa comune e regole condivise. Questo congresso è chiamato a produrre nuovi organismi, nuovo presidente e antico segretario. Devo ringraziare Roberto Burdese e Silvio Barbero e tutti coloro che hanno lavorato nei congressi di condotta e regionali, perché queste tematiche ormai sono entrate nel corpo associativo.
Però attenzione: la pratica di rafforzare strutture formali come quelle dei partiti va seguita con giudizio. Il nuovo statuto che andremo ad approvare porta nuove regole, ma questa maggiore partecipazione deve conservare una certa giocosità amicale, non val la pena prendersi troppo sul serio, e non dobbiamo ricostruire i riti della politica. Non diventiamo troppo ingessati, manteniamo la porosità della rete, come diceva stamattina Franco Carlini. Non facciamoci venire la brama di essere dirigenti ... ma pigliamola più tranquilli, se essere dirigenti vuol dire farsi un mazzo di più allora fate andare avanti gli altri! Quattro anni fa ho detto che questo era il mio ultimo mandato, ora sto bene in salute e questa è la cosa più bella. Mantengo però quell'impegno perché i nostri obiettivi devono andare avanti indipendentemente dal carisma del fondatore.
L'esigenza di un nuovo presidente è importante: noi ce lo siamo allevato in casa ... non è indifferente che sia nato a Bra, certo, è stato uno dei primi obiettori di coscienza a scegliere di svolgere il suo servizio da noi, e noi oggi lo proponiamo come presidente non solo per le sue doti di efficienza, ma perché una nuova generazione che entra ci fa vedere più in là dei prossimi vent'anni.
Ancora una cosa: devo ringraziare il mio amico Silvio Barbero per questi 36 anni di avventura comune, da Radio Bra Onde Rosse, che sembrava Radio Tirana. In questi ultimi tempi, ho visto che il rapporto tra Silvio e Roberto si è rafforzato in una atmosfera di complicità, hanno realizzato questo lavoro associativo per costruire questa democrazia diffusa, rappresentando continuità e innovazione. Non dimentichiamo che Slow Food Italia è la guida ideale del movimento, da questa associazione traiamo la progettualità per guardare a livello internazionale, da qui partiremo per il congresso mondiale di Slow Food del 2007 in Messico.
Le altre associazioni nazionali di Slow Food, che oggi sono 10 nel mondo, ci guardano e portano avanti la progettualità anche con le risorse di SF Italia, e guardano a questa scommessa di mettere insieme un sistema organizzzato in una rete che si rigenera da sé. Io non lavorerò per essere un presidente invasivo, riconoscerò a Roberto l'autorevolezza di gestire in autonomia questa associazione, perchè così va il mondo.
Ringrazio anche quelli che hanno permesso di arrivare a questi venti anni, ne ricordo cinque che non ci sono più: Carlo Leidi, Pier Bottà, Libero Masi, Giovanni Ravinale l'indimenticabile Pedereschi. Ringrazio tutti quelli del gruppo braidese, i nomi non li dico perché li conoscete benissimo, tutti voi per quello che fate gratuitamente e per la voglia che avete di tenere in piedi questo movimento.
Tre caratteristiche vi chiedo di avere: la giocosità amicale, il coraggio di sognare e, terzo elemento che chiedo a tutti: la complicità. L'etimo di questa parola è significativo, vuol dire condividere complessità; condividiamo la complessità del mondo e impegnamoci a starvi dentro. Non ci sono altri partiti con altri valori così, considerati assolutamente improponibili. La sfida della rete sta proprio nelle strutture formali organizzate e nelle reti autogenerative. Noi dobbiamo mantenere una visione olistica della realtà, lavorare per difendere il bello.
Molti hanno ragione nel dire che la sfida è difficile, e dobbiamo tenerlo presente quando guardiamo negli occhi quelli che hanno partecipato a Terra Madre. Ho visitato alcune di queste comunità nel loro ambiente, ho visto contadini messicani, giapponesi, americani e spesso piangevano nel ricordare Terra Madre. Piangevano. Era imbarazzante. Noi abbiamo l'obbligo di essere onesti verso di loro, non dobbiamo creare attese che non possiamo mantenere. Abbiamo generato una suggestione virtuosa (si vive anche di suggestione) che ha generato autostima, senso di appartenenza a una fraternità universale, riconoscimento della dignità del loro lavoro e dei loro saperi.
La nostra rete non può dare di più, non può risolvere i problemi del pianeta. E poi abbiamo riconosciuto loro il diritto al viaggio: c'è gente che per venire a Torino ha messo più tempo per arrivare alla sua capitale a prendere l'aereo che non per arrivare a destinazione. Perciò, complicità e coscienza della nostra limitatezza, se manteniamo la rotta su questi valori la nostra identità assume un'evidenza straordinaria. E poi dobbiamo prenderci più tempo, applicare la lentezza anche nella nostra dimensione individuale. La base della creatività sono confusione e incertezza, ma se non ho tempo mi tremano le gambe.
Applichiamo la calma, la coscienza riflessiva. Condenso quest'idea nel vecchio detto piemontese: per si quatr dì che 'vuma da vive... esprime il senso della temporalità, per quei quattro giorni che ci restano da vivere, ci fa acquisire il senso dell'importanza dei valori essenziali. Dobbiamo coltivare la speranza, che non consiste nella convinzione che qualcosa andrà bene, perché la scommessa è enorme, ma nella certezza che quello che facciamo ha un senso indipendentemente dal risultato e questo ci rende sereni sul futuro.
Carlo Petrini
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