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Corriere Della Sera / Sette

Un’arca di idee per l’Italia ... In realtà è un ketch, un due alberi di ventidue metri per andare da Genova a New York. A bordo lupi di mare, grandi cuochi, artisti, intellettuali e manager. Ma anche vini e prosciutti: l’eccellenza agroalimentare italiana. E in viaggio tutti si impegneranno a discutere su come rilanciare il nostro Paese... L’inventore di Eataly. Il più grande skipper. Un gruppo di scrittori e di imprenditori. Un sito. Da Genova a New York, via mare, per trovare sette soluzioni giuste per i nostri guai... La ciurma per la traversata venne reclutata nelle peggiori taverne dell’angiporto... No, non è andata così. La spedizione è ambiziosa e avventurosa ma non va a caccia di tesori o di terre inesplorate e l’equipaggio è stato messo assieme in tutt’altro modo, per la verità assai particolare. Si salpa il 25 aprile, da Genova. Si arriva il 2 giugno, possibilmente, a New York. Le date non sono indicate a caso: feste della Liberazione e della Repubblica. L’incertezza dipende dalle condizioni atmosferiche e dal mezzo: un ketch di trent’anni fa, fascinoso, ventidue metri, ma una barca condotta rigorosamente a vela. Vero che al timone sta un capitano coraggioso ed espertissimo come Giovanni Soldini, ma una bonaccia non la può cancellare neanche lui. Sulle vele, due grandi scritte: “7 mosse per l’Italia” e “Alla ricerca del Marino”. Sulla fiancata, “I love Barolo”. Il “piano di navigazione” è inciso lì. A combinare impegno civile, orgoglio e propaganda delle eccellenze nazionali, gusto delle cose buone. Un cocktail, a prima vista, improbabile, non fosse che l’idea è stata partorita da Oscar Farinetti, vulcanico e vittorioso creatore di Eataly, emblema ormai internazionale della qualità enogastronomica italiana. Con la mobilitazione di lupi di mare, grandi chef (ai fornelli, Ugo Alciati, Mario Batali, Massimo Bottura, Moreno Cedroni), infine artisti, intellettuali e imprenditori disposti a ragionare su quel che va fatto per raddrizzare la nave-Italia (e organizzati a staffetta lungo le quattro tappe del viaggio). Una ciurma dove figurano Alessandro Baricco e Mario Brunello, Lella Costa e Giorgio Faletti, Riccardo Illy e Matteo Marzotto, Piergiorgio Odifreddi e Simone Perotti, Antonio Scurati e Daniel John Winteler.

Il miracolo del vento. Racconta Soldini: “Incontrai Farinetti per proporgli di accoppiare il nome Eataly a una barca. Avevo in mente di fare regate o roba del genere, e lui mi ha spiazzato con questa proposta”. Accolta con entusiasmo dal navigatore abitualmente solitario (che comunque un pensierino alle regate continua a farlo). “Ho due motivazioni forti”, spiega Farinetti: “La prima è agroalimentare”. E anche atmosferica: “Il Marino, vento che nasce dagli oceani, filtrato da Gibilterra e Suez, diventa brezza e si posa sulle nostre specialità, incontrando l’aria fresca delle colline e delle montagne. In questo modo le rende uniche. Si pensi al San Daniele, al Grana Padano, alla pasta di Gragnano, al Nebbiolo”. Non c’è bisogno di cercarli, i tesori, li abbiamo in casa:
“Novantadue prodotti italiani d’eccellenza che portiamo con noi a vedere l’origine del vento che li benedice. Per esempio, a Gragnano la gran qualità della pasta nasce dalla essiccazione in via Roma dove il Marino incontra l’aria del Vesuvio. Intendiamoci, in una logica minimalista: non esagereremo con i prodotti imbarcati e pensiamo di spendere meno, per mangiare, di quel che serve a casa, sui nove euro al giorno”. Quanto alle “terre inesplorate”, Farinetti le affronta così: “Poi c’è la parte civile, le sette mosse per l’Italia che discuteremo a bordo per buttar giù delle proposte chiare e positive. Per esempio, credo nella possibilità per l’Italia di raddoppiare, almeno, l’export di materie prime. Ritengo sia venuto il momento di dare il nostro contributo, e siamo tutta gente pratica che nella vita ha dimostrato di poter concludere quello che fa, senza però perder tempo a dare la colpa a qualcuno: vogliamo abbinare linguaggio moderato e determinazione”.

Passeggeri? Figuriamoci! Magari, qualche bersaglio, nel programma, si intravede. Un “preferiremmo eleggerli” riferito a chi fa politica - “perché nominato” - chiaramente polemico col sistema elettorale attuale: “A che punto siamo se si pensa sia troppo “forte” dire una cosa del genere. La riforma della politica è rimandare i migliori a fare la polis”, si inalbera Farinetti. E aggiunge: “Qui nessuno è pregiudizialmente di destra o di sinistra”. Gli dà man forte Soldini:
“Delle mosse non è il caso di parlare adesso. La cosa importante è essere “per”, non “contro”. Non significa essere neutri: Farinetti pensa positivo”. Soldini è orgoglioso della barca (“Sobria, davvero da crociera, cosa che di questi tempi non è facile; senza elettronica, gli winch sono manuali”) ma sa che in mare non si può programmare tutto: “Non siamo su un treno, i tempi previsti sono approssimati. La stagione non è la migliore e anche la rotta può cambiare: sulle Azzorre troveremo alta pressione, dovremo decidere allora se andare sopra entrando in un sistema di depressioni, o passare sotto, cercando gli alisei col rischio che ce ne siano pochi”. Da buon capitano, intanto, ammaestra la ciurma: “Passeggeri? Ma figuriamoci! È un equipaggio a tutti gli effetti. Ho già fatto una riunione con loro e sono stato chiaro: si lavora tutti, non è una crociera”. Fra i marinai, Mario Brunello è uno dei meno scontati: “Io, che sono stato soprannominato il montanaro perché vado sulle Dolomiti a suonare il mio violoncello. Però conosco Farinetti e Baricco: è proprio il caso di dire che siamo sulla stessa “onda”. E poi mi attira la compagnia, a parlare di un futuro non allegrissimo che ci aspetta. Non è una fuga farlo lontano dall’Italia: in mare isolati è come in una camera stagna e magari qualche idea buona ci viene. Comunque conto di incontrare calma piatta anche se sono abituato ad avventure estreme e suonare “obliquo” non mi spaventa”. Il violoncello che Brunello porta con sé è invece una preoccupazione per Lella Costa: “In caso di pericolo, lo salveremo prima di noi stessi. Io ho la sindrome di Gertrude, non resisto a una tentazione: ho accettato appena Farinetti mi ha chiamato. Un problema di quote rosa, in effetti, c’era. Comunque un po’ me lo sono meritato: conosco tutti, da Odifreddi a Brunello. E sono un bravo mozzo, qualche winch e qualche nodo lo so fare. Mio marito ha la patente marina e mi invidia un po’. So che morite d’invidia tutti, intanto noi partiamo: un pensoso allontanamento temporaneo. A parte gli scherzi, la cosa bella è esser lì. Per una riflessione collettiva, non per un’elaborazione individuale”.

Un documento infiammato. Simone Perotti è scrittore e conosce bene il mare: “Al netto dei libri, campo facendo lo skipper”. Ha il blog Piccolo cabotaggio, ha scritto “Zenzero e nuvole”, “Vele”, “Adesso basta - Lasciare il lavoro e cambiare vita”: “Per me questo viaggio è la sintesi ma anche la nemesi, nel senso che prima di cambiare vita queste erano le offerte che mi facevano spesso e che dovevo rifiutare”. Ma è a suo agio anche con le motivazioni: “C’è da lavorare ora in questo Paese, dire cose chiare, in maniera schietta, senza politically correct. Anzi, temo quel che verrà fuori dalla nostra tappa: Farinetti è deciso, Soldini è tagliato con l’accetta, io sono radicalissimo, secondo me produrremo un documento infiammato”. Quanto ai riferimenti letterari, gli viene in mente Jack London: “La Crociera dello Snark, in cui tre personaggi passano il tempo attorno a una piscina e, un pomeriggio, decidono di fare il giro del mondo in barca e lo fanno davvero. Un romanzo che racconta un episodio vero nella vita di London. E lì, poi, c’è uno dei concetti cui tengo di più. Quando si dice che ognuno ha una linea di minor resistenza e che è importante individuarla: cito sempre questo passaggio per spiegare la mia scelta. Nascerà qualche mio scritto da questa esperienza? Non ho deciso, ma certo mi guardo intorno”.

Le minacce di Soldini. Per Antonio Scurati, invece, siamo alla novità assoluta. Così è lucidamente apprensivo: “Io non sono un tipo da Camel Adventures, anzi mi ritengo fieramente espressione della cultura di una balneazione da riva. Mi affascina la traversata transoceanica: per rispetto dell’elemento naturale, mi pare un’impresa psicofisica notevole. Spero non mi facciano lavorare, anche se Soldini è stato minaccioso”. Lui si immagina più in “Tre uomini in barca” che nelle pagine di Melville: “Però su di me ha fatto presa la suggestione letteraria. Penso a Ismael, in Moby Dick, che “ha traversato sette mari e veleggiato per biblioteche”: nella formazione dello scrittore ottocentesco c’è il libro e c’è la vita, un connubio da cui oggi siamo esclusi”. Semmai, ha un’altra preoccupazione: “La convivenza. Ho una fama, abbastanza meritata, di essere scontroso, non sono particolarmente socievole e anche un po’ claustrofobico. In fondo, anche per questo è un’occasione per uscire da me”. “In barca, o si diventa amici o ci si accoltella. Però la carica di Oscar ci mette al sicuro da questo rischio”, conferma Riccardo Illy: “Sono barcaiolo fin da bambino, ho il ruolo di compagno di viaggio ma posso fare tutto: il mozzo, oppure stare al timone o alle vele. E la traversata atlantica è una delle poche tratte veliche che non ho fatto”. Non è solo la passione marinara ad aver attirato Illy, già sindaco a Trieste e presidente di Regione: “Il mio passato politico lo ritengo veramente passato, però il senso civico lo sento ancora. La mia esperienza è abbastanza rara, conosco gli aspetti dei problemi da una parte e dall’altra della barricata”.

Cucinare per sbieco C’è anche una coincidenza curiosa: “Le sette mosse? Per l’appunto, anni fa, ho scritto un libro, “La rana cinerina”, dove parlavo di sette svantaggi per l’Italia. Ma è solo un caso, non ho suggerito nulla a Farinetti”. Per qualcuno la spedizione è davvero un’impresa che proietta del tutto fuori dall’habitat usuale, anzi, praticamente all’emisfero opposto. Sono gli stellatissimi chef, abituati a cucine modernissime e iper-attrezzate, batterie di utensili mirate per miriadi di scopi, eserciti di subordinati pronti a scattare. Ora devono esibirsi impiegando la cucina di una barca: potrebbe essere un incubo. “Ma no, per me è il massimo. Il made in Italy che va all’attacco, un concetto strepitoso”, ribatte Moreno Cedroni, gran patron alla Madonnina del Pescatore di Senigallia: “Intanto perché ho fatto l’istituto nautico, prima di diventare cuoco. E poi perché sono abituato a lavorare in spazi piccoli. Per me è il massimo, vado per pescare e per cucinare: non vedo l’ora di mettere i miei sughetti mediterranei al servizio dei pesci atiantici”. Cedroni, da vero cuoco dì mare, non si spaventa neppure all’idea di stare ai fornelli con la barca inclinata dal bordeggio o in mezzo alla tempesta: “Lì, il trucco è lo stesso del ristorante: preparare prima tutto quel che si può”. Ugo Alciati, di Guido a Pollenzo, da buon terraioio è invece un po’ intimorito: “Non sono marinaio né la mia cucina è di mare, anzi. Però l’idea dell’importanza del vento “marino” mi ha conquistato. Certo, la cucina di una barca mi sembra uno spauracchio, per la stabilità più che per lo spazio: troverò il modo di bloccare le pentole. E poi ci sono le provviste. Per me non è un problema, faccio il primo tratto (e ho già deciso il piatto del primo giorno: agnolotti col plin), ma dopo, voglio vedere cosa succede quando non c’è un attracco per venti giorni”. Oltre al debutto, Alciati ha già deciso cosa portare: “Pasta, un po’ di scatolette e almeno quattro o cinque dei mio set di coltelli”. Niente tartufo? “Non ci avevo pensato, non è stagione. Però, certo, un risotto in mezzo al mare farebbe un bell’effetto”. Va aggiunto che l’“atlantico” Perotti si lecca i baffi (a ragion veduta: “Traverseremo una zona di correnti ricche di vita marina”) ma Soldini giura di aver visto pochissimi pesci da quelle parti, e aggiunge: “In mezzo all’oceano mangi relativamente poco: si balla. Certo, è anche vero che di solito non ci sono dei cuochi così”. Buon vento, ciurma di I love barolo. Semmai, coi navigatori e i poeti, a identificare il nostro popolo metteremo gli chef al posto dei santi.

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