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Corriere Della Sera

I capitani del vino ... La fortuna dei nuovi sommelier americani: firmano calici e libri, influenzano gusti e tv ... Una trentina d’anni fa, un avvocato di Baltimora, che pubblicava un opuscolo di informazione sul vino dalla sua casa cli periferia in Macland, divenne il personaggio più temuto e potente dell’universo enologico. Ispirandosi a Ralph Nader, lo storico difensore dei consumatori americani, Robert Parker intendeva rendere accessibile al pubblico il mondo fino ad allora misterioso e inesplorato del vino francese. Il suo sistema di valutazione, basato su cento punti, sembrò svelare gli arcani dell’enologia ai comuni mortali, e le sue particolari preferenze per i rossi audaci e corposi un po’ alla volta finirono col condizionare i metodi di vinificazione in giro per il mondo. (Il palato di Robert Parker conosce molte più sfumature di quanto non siano disposti ad ammettere i suoi detrattori, ma questa è un’altra storia). Il “Wine Spectator”, concorrente di Parker, contribuì anch’esso a diffondere una visione molto simile dell’universo enologico: grandi vini, punteggio elevato. Ma tutte le grandi rivoluzioni contengono già i semi della reazione, e sebbene non sia ancora emerso un personaggio capace di sfidare la supremazia di Robert Parker, l’ascesa del sommelier nell’ultimo decennio rappresenta un contrappeso assai rilevante alla sua influenza. I sommelier sono diventati le nuove celebrità della ristorazione, e nel loro insieme stanno influenzando il modo di pensare e di consumare il vino. Chi avrebbe mai previsto questo stato di cose nei lontani anni Settanta, quando la parola “sommelier” evocava un figuro arcigno, in giacca nera e con un forte accento francese, una catena al collo con appeso un posacenere d’argento, la cui unica ragione di esistere sembrava quella di farvi pagare una bottiglia di vino francese a peso d’oro, e allo stesso tempo facendovi sentire un perfetto idiota?
Negli anni Ottanta, quando gli americani hanno cominciato a prestare maggiore attenzione ai vini, alcuni pionieri si sono dedicati a educare i gusti del pubblico. A New York, Kevin Zraly, del “Windows on the World", il ristorante sulla Torre Nord delle Torri Gemeile, e Daniel Johnnes, del “Montrachet”, nello svolgimento della loro funzione hanno saputo portare egregiamente il vino alla ribalta, mentre uno studente fuori corso, di nome Larry Stone, che lavorava come sommelier a Seattie, ha addirittura sconfitto i francesi nella loro stessa specialità, vincendo a Parigi il premio di miglior sommelier divini francesi. Da allora Zraly è diventato un educatore e autore molto influente, grazie ai corsi sui vini che tiene presso il ristorante. Johnnes, spesso chiamato il decano dei sommelier americani, ha allargato il suo campo d’azione come importatore di vini, gestisce la cantina del gruppo di ristoranti di Daniel Boulud, e ha fondato inoltre “La Paulée de New York”, un festival di grande successo, equivalente a una celebrazione baccanale dei vini di Borgogna, che si è svolta l’ultima settimana di febbraio a San Francisco. Se è difficile tuttavia incontrarla tra i tavoli di un ristorante, questa prima generazione di sommelier americani ha saputo ispirare legioni di giovani seguaci.
Oggi i sommelier si trovano dappertutto, come le celebrità dei reallty show, troppo giovani per ricordarsi che cosa stavano facendo quando Kennedy è stato assassinato, ma entusiasti nel proporvi un Pinot Noir della Tasmania, a produzione limitata e a prezzo abbordablle. La nuova generazione di sommelier sa parlare di aromi floreali e di sottofondo minerale se necessario, ma potrebbe anche accennare a qualche espressione meno forbita - “roba da sbornia” - quando si lascia trascinare dall’entusiasmo.
Carla Rzeszewski, del “Breslin Bar & Dining Room” a New York, sarebbe capace di demolire da sola tutti i pregiudizi residui sull’arroganza dei sommelier. li colore dei suoi capelli cambia con l’umore, dal blu al biondo al viola, e gli stivali da motociclista hanno sostituito le ballerine. Carla è approdata nella Grande Mela per diventare attrice, ma dopo la laurea all’università di New York si è ritrovata a fare la barista al “Blue Water Grill”. Con l’avvicinarsi del trentesimo compleanno, ha cominciato a sospettare che le sue ambizioni teatrali non l’avrebbero portata lontano. Passando in rassegna le sue passioni, ha capito che le piaceva viaggiare, mangiare e bere e ha deciso così di concentrarsi sul vino. Ha manifestato il suo interesse a Laura Maniec, direttrice del settore bevande per i ristoranti del gruppo “BR Guest”, proprietari del “Blue Water Gru”. “È stata lei a indirizzarmi verso i corsi da seguire”, dice Carla. “Per un anno e mezzo sono rimasta a casa, a studiare. Poi ho cominciato a frequentare le degustazioni”.
Successivamente ha lavorato a “Hearth”, sotto la guida di Pani Grieco, il canadese col pizzetto, diventato celebre nella comunità dei sommelier per i saggi eruditi e originali che ama disseminare nella carta dei vini e per la passione per il Riesling, che rasenta il fanatismo. Grieco l’ha aiutata ad affinare il palato e le ha regalato persino uno dei suoi famosi tatuaggi adesivi del Riesling. Nel 2009, dopo un periodo trascorso al bar del “Breslin”, il nuovo ristorante di April Bloomfield, Ken Friedman - co-proprietario del locale - l’ha presa in disparte per chiederle: “Ti piacerebbe occuparti della lista dei vini?”. Era l’occasione che avevo aspettato tanto - confessa Carla - ma ero terrorizzata”. Due anni e mezzo dopo, si è fatta un nome come sommelier e ha messo insieme una carta dei vini altamente originale e avventurosa, che ben si sposa ai potenti aromi della cucina della signora Bloomfield. “In questo momento - racconta Carla - sono innamorata dei vini di Corsica e Liguria, ma anche dello sherry”.
Se non tutti i sommelier hanno lo stesso palato, la giovane generazione mostra peraltro di condividere alcuni principi di base sul vino. Primo tra tutti, oggi i sommelier vedono il vino in rapporto al cibo, perché questa è l’area più rilevante del loro lavoro. A differenza del critico, che di solito degusta i vini senza mangiare, o al massimo sgranocchiando un palo di cracker, i sommelier non giudicano il vino come entità isolata. Grandi vini corposi, maturi e potenti che sembrano quasi un pasto a sé non si abbinano necessariamente con le pietanze che arrivano sulla nostra tavola ogni giorno (con l’eccezione inevitabile della bistecca). “11 sommelier p0- trebbe privilegiare le doti di equilibrio e freschezza di un vino, anziché la forza e la concentrazione, perché il nostro compito principale è quello di lavorare in sintonia conio chef e la cucina”, nelle parole di Aldo Sohm, capo sommelier di “Le Bernardin”, che si è aggiudicato il premio di miglior sommelier nella competizione mondiale nel 2008 e ha lanciato la sua collezione di calici da vino, oltre a firmare un cavatappi Laguiole.
I sommelier sono quasi tutti grandi appassionati di acidità, preferendo i vini ad elevato tenore di acidità perché questa esalta e fa da complemento al gusto della quasi totalità delle pietanze - è la ragione per cui spremiamo la nostra fettina di limone sulla sogliola o su un piatto di asparagi. E questo uno dei motivi per cui i sommelier adorano il Riesling, e anche ll Pinot Noir, purché non sia troppo maturo e stanco. Robert Parker talvolta ricorre al termine “bassa acidità” in senso positivo, ma nel pianeta dei sommelier l’acidità regna sovrana. “L’acidità è la scintilla elettrica che accende il vino”, sostiene Rajat Parr, sommelier di origine indiana del “Michael Mina” di San Francisco, che come secondo lavoro fa il viticoltore a Santa Barbara, in California. Coautore dei Secrets of the Sommeliers, Parr è un ardente sostenitore di certi principi che condivide con gran parte dei suoi colleghi. il suo ideale è l’“equilibrio”, adora i grandi vini di Borgogna (il cosiddetto “paradiso dei geek”) e le regioni a clima fresco, mentre condanna i vini super maturi e ad alto tasso alcolico. “Abbiamo bisogno della critica”, dice Rajat, benché il suo palato sia molto di- verso da quello degli arbitri del gusto che hanno dominato la scena enologica negli ultimi vent’anni. Nel pianeta dei sommelier, l’equilibrio la spunta sulla forza, un grande vino non è necessariamente un complimento e il Bordeaux è più ammirato che amato. I nuovi sommelier prediligono anche i vini nuovi o sconosciuti, talvolta in maniera persino esagerata. “I sommelier sono pieni di pregiudizi si lamenta Jordan Lan, il trentaduenne sommelier del “Lambs Club” di Geoffrey Zakarian - talvolta fondati, talvolta campati per aria”, e cita come esempio di questi ultimi la preferenza accordata automaticamente ai vini del Vecchio Continente. I sommelier inoltre hanno un debole per i vini del Jura e per i varietali più oscuri e ricercati. “Se scommetti tutto soltanto sui vini sconosciuti, sei fuori strada”, commenta Parr, riconoscendo questa tendenza. “La nostra parola d’ordine è innanzitutto ospitalità e servizio, ma è anche importante che il cliente abbia una qualche familiarità con alcune delle voci elencate nella carta dei vini”. A tutt’oggi, al ristorante, non ho visto ancora nessuno chiedere l’autografo al sommelier, ma penso che accadrà presto. Aldo Sohm ha già firmato il suo cavatappi e sono quasi sicuro di aver avvistato una maglietta di Daniel Johnnes l’ultima volta che sono capitato in Borgogna. Indubbiamente l’influenza dei sommelier si rafforzerà di pari passo con la crescita della professione e con il contributo che sempre più spesso essi offrono alla produzione vinicola, alla critica e all’insegnamento. Nel frattempo, non sorprendetevi se un documentario intitolato Somm, che segue diversi candidati mentre si preparano all’esame per accedere alla Corte dei maestri sommelier, comparirà presto sui vostri schermi.

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