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COSA FARE IN VIGNA SE PERDURANO GLI INNALZAMENTI TERMICI DEGLI ULTIMI ANNI? LE RISPOSTE DI MARIO FREGONI, ORDINARIO DI VITICOLTURA UNIVERSITÀ DI PIACENZA, E BARBARA RAIFER (CENTRO SPERIMENTALE LAIMBURG) … FOCUS: L’ECONOMIA VITI-VINICOLA ALTOATESINA

Italia
Ecco la cantina Kettmeir di Santa Margherita in Alto Adige

Difficile non considerare effettivo il cambiamento climatico globale, al di là delle dispute sul momento del suo inizio. Un cambiamento che, evidentemente, a differenza di quanto è accaduto in passato, quando il clima mutava a causa delle due diverse fasi evolutive, ha nelle emissioni di anidride carbonica una delle cause, se non la principale, del suo manifestarsi.
L’anidride carbonica provoca l’effetto serra e di conseguenza l’aumento della temperatura, constatata in tutte le zone viticole mondiali. Le alte temperature provocano stress termici e idrici, ai quali la vite resiste fisiologicamente solo se sono moderati.
“Queste resistenze abiotiche - ha spiegato il professor Mario Fregoni, Ordinario di Viticoltura all’Università Cattolica Sacro Cuore di Piacenza - possono essere incrementate geneticamente o con lo spostamento della viticoltura in aree più fresche (in altitudine e latitudine) o con la scelta di varietà e portinnesti più resistenti alla siccità e alle alte temperature, o con modifiche delle tecniche colturali (piante con minore superficie fogliare traspirante, concimazioni fogliari antistress, irrigazioni climatizzanti sopra chioma, ecc.)”.
Dal punto di vista qualitativo, “le alte temperature - ha continuato Fregoni - provocano anticipi della maturazione, incremento degli zuccheri (e quindi del grado alcolico), riduzione dell’acidità, aumento del pH, diminuzione degli antociani (colore), aumento dei tannini erbacei, astringenti, diminuzione della sintesi degli aromi terpenici e dei precursori aromatici, incremento degli enzimi ossidanti e dei polifenoli ossidabili (con riduzione della durata dell’invecchiamento dei vini, soprattutto bianchi)”.
L’attenuazione degli effetti dei cambiamenti climatici richiede dunque una strategia viticola complessa, poiché la qualità dipende dall’equilibrio di tanti componenti della bacca, perché, per esempio, ha spiegato Fregoni “la diminuzione del grado alcolico può avere conseguenze negative sulla qualità se è ottenuta con l’aumento della produzione a ceppo”.
Il cambiamento climatico rappresenta senza dubbio uno dei problemi principali e più gravi che deve risolvere la viticoltura moderna e che non lascia spazio a “isole felici”. In Italia, per esempio, lo stesso Alto Adige è decisamente colpito dal fenomeno come ha spiegato la dottoressa Barbara Raifer del Centro Centro Sperimentale di Laimburg: “tra gli effetti complessi e già riscontrabili anche in Alto Adige ci sono l’innalzamento della temperatura, l’irraggiamento solare sempre maggiore registrato dalla stazione meteo di Laimburg e i relativi effetti sulla viticoltura. Lo stesso vale per la diminuzione delle precipitazioni o per il presentarsi di periodi di siccità nella stagione estiva. Quel che è certo è che la vite richiede comunque più acqua in presenza di temperature elevate. Precipitazioni quantitativamente costanti in presenza di un innalzamento delle temperature portano ad uno stress da siccità per le viti”.
La registrazione di dati meteorologici a Laimburg risale al 1965. Da allora si è verificato un netto aumento del numero di giorni dal clima tropicale (con temperature superiori ai 30°C) e giornate dal clima estivo (con temperature superiori ai 25° C). Se alla metà degli anni ’60 il numero di giorni dal clima estivo in un anno era di circa 80 o poco più, dalla metà degli anni 80’ in avanti si ripresentano con una certa frequenza annate con ben 120 giornate dal clima estivo. “Alla nostra latitudine - ha continuato la Raifer - le condizioni climatiche estive sono protagoniste spesso per un terzo dei giorni dell’anno. Anche il numero di giornate dal clima tropicale è più che raddoppiato dal 1965, caratterizzando dai 15 giorni di allora ai 40 giorni all’anno di oggi”.
Dai dati raccolti viene messa in evidenza la netta tendenza a maggiori contenuti zuccherini e un minor grado di acidità. In media nell’ultimo ventennio si ravvisa un aumento del contenuto di zuccheri di circa 4° (°Babo) e una diminuzione dell’acidità di 3-5 g/l. “Ciò si traduce - ha sottolineato la ricercatrice - in una maturazione precoce, anticipata di 3 settimane, sebbene, naturalmente, da un’annata all’altra le variazioni possano differire notevolmente”.
Accanto al fattore temperatura si devono fare i conti anche con l’aumento dell’apporto di energia solare alla superficie terrestre. Secondo la stazione meteo di Laimburg, i valori di riferimento mettono in luce un leggero aumento a partire dal 2000. “L’innalzamento dell’apporto energetico è imputato dell’assottigliamento dello strato di ozono ed è accompagnato da un aumentato irraggiamento UV-B”.
La discussione è stata sviluppata nel convegno dal titolo “La sfida della qualità: quale futuro per il vino dell’Alto Adige”, tenuto nei giorni scorsi a Bolzano e promosso dal Consorzio dei vini Alto Adige, dalla Camera di Commercio di Bolzano e dalla cantina Kettmeir, da anni passata nel gruppo Santa Margherita.

Focus - Quali prospettive per l’economia vitivinicola altoatesina? Gli elementi in possesso a questo territorio sembrano essere vincenti: identità, ecosotenibilità e “correttezza” dei suoi produttori
La situazione del mercato del vino è sostanzialmente nota: una crisi già in atto da diversi anni, appesantita, in alcuni casi enormemente, dalla contingente recessione economica mondiale; prezzi in caduta che non assicurano, comunque, lo smercio di un prodotto il cui consumo da parte dei mercati emergenti non sempre riesce a bilanciare le perdite nelle piazze tradizionalmente bevitrici. Nonostante le mutevoli situazioni di mercato, ciò che, negli ultimi anni, ha veramente fatto la differenza nelle opzioni commerciali dei vini del mondo è stata la notorietà (di prodotto, di provenienza, di marchio, etc.) fattore che ovviamente rimane strategico ed a cui si aggiunge, in modo solo apparentemente banale, la disponibilità. In questo senso vanno meglio sfruttate le sinergie fra grandi gruppi che possiedono la rete commerciale e le piccole produzioni, spesso prestigiose, ma oramai incapaci di riuscire e “vendersi” da sole.
La notorietà è frutto di tanti componenti ma alla base vi sono certo concetti quali la riconoscibilità, l’identità, la rispondenza ad un preciso modello (enologico, stile di vita, immagine ...). In questo senso l’Alto Adige enologico è altamente caratterizzato: montagna, determinati vitigni (l’immaginario collettivo corre ai bianchi profumati, emblematico il Gewürztraminer), poca produzione ed elevata qualità, prezzi mediamente elevati, cultura mitteleuropea. E qui, in un sol colpo, si annulla la diatriba fra territorio e vitigno, vini di territorio, e vini di vitigno.
Questa è la grande dicotomia che esprime oggi, spesso con accenti isterici sul fronte comunicazionale, sia l’offerta sia la domanda di vino. I vini altoatesini abbinano l’una e l’altra opzione, e occorre meglio sfruttarla. Alto Adige più nome del vitigno è la migliore presentazione per un vino ad un consumatore anche internazionale.
L’Alto Adige ha, come tutte le zone, seguito la “deriva da rosso”, oggi fatta velocemente rientrare dalle richieste del mercato. Deve tornare a puntare più decisamente sui bianchi e su versioni enologiche che meglio riescano a caratterizzare le differenze fra i vari vitigni. La filosofia deve essere quella dell’enologia varietale. A dispetto di tutte le previsioni catastrofiche, che volevano la moda del Pinot grigio italiano come una chimera già spacciata a pochi anni dal suo esordio, registriamo che Pinot grigio costituisce una sorta di “brand” che ha valore mondiale ed è ancora estremamente trendy.
L’Alto Adige (assieme al Trentino) ha saputo guadagnarsi nel tempo l’immagine della più ecosensibile area geografica del nostro paese, e su questo occorrerà insistere. Oggi infatti, accanto alla piacevolezza dei prodotti, fa sempre più breccia quel mix di sostenibilità, salubrità ed anche eticità delle produzioni.
Si impone infine, fra tutte le politiche aziendali, il tema della “correttezza”. Il valore più prezioso nella relazione fra chi produce e chi acquista è la trasparenza, che genera fiducia. L’inganno si rivela un evento catastrofico, in grado di annientare anni o decenni di ottima reputazione. Gli altoatesini hanno fama di produttori seri, e anche questo concetto andrà, oltre che tutelato, comunicato e giustamente sottolineato.

Focus - Una breve storia delle vitienologia altoatesina
L’Alto Adige è stato il fornitore principale di vino rosso per l’Austria ed esportava quantità rilevanti anche in Germania e in Svizzera. Questo fiorente periodo si protrasse per molti secoli. Nel 1850 l’arciduca Giovanni d’Austria dette un nuovo e decisivo impulso alla viticoltura altoatesina, favorendo la coltivazione del Riesling, del Cabernet Sauvignon e delle varietà borgognone. Tuttavia, nel 1900 una malattia della vite importata dall’America mandò in crisi la viticoltura e peggiorò quando nel 1919 l’Alto Adige venne annesso all’Italia e perse i propri mercati di vendita in oltralpe. Dal 1980 la viticoltura dell’Alto Adige conobbe un’importante rinascita. La chiave fu una modernizzazione della viticoltura abbinata ad una continua e tenace ricerca della qualità. Nei decenni precedenti il vino veniva venduto soprattutto sfuso, attualmente viene imposto l’imbottigliamento. Grazie al felice connubio tra la varietà dei vitigni provenienti dall’oltralpe e l’inconfondibile carattere mediterraneo, gli Italiani apprezzano oggi più che mai i vini dell’Alto Adige. Anche le esportazioni dei vini altoatesini sono in costante crescita.
I vitigni autoctoni
Schiava

Dalla Schiava nascono vini di facile beva, leggeri, poco tannici e con una moderata gradazione alcolica. Tranne poche eccezioni, viene coltivata da tutte le cantine altoatesine. A seconda del produttore e della posizione del vigneto, essa può esprimere un carattere individuale. Infatti, il Santa Maddalena si contraddistingue per la sua corposità, il Lago di Caldaro per la sua morbidezza e il Klausner Laitacher per la sua speziatura. La Schiava è un vino fruttato e fresco che rappresenta oggi una piacevole alternativa in un mondo dominato da vini strutturati. Le fonti storiche inerenti la viticoltura altoatesina menzionano soltanto le zone di origine, mai i vitigni, per questo oggi è impossibile accertare con esattezza l’origine della coltivazione dell’uva Schiava. Le prime testimonianze scritte risalgono al Medioevo, a quell’epoca il vitigno veniva chiamato “Farnatzer” oppure “Vernetzer”. Già prima del XVI secolo la Schiava svolgeva un ruolo fondamentale nella viticoltura altoatesina, fino al periodo successivo alla 2ª guerra mondiale venivano coltivati diversi cloni come la Schiava Grigia, la Schiava Grossa e la Schiava Gentile. Negli anni ’60 si è affermata sempre di più la coltivazione della Schiava Grossa. I suoi grappoli grossi con acini polposi e buccia sottile producono vini più leggeri che già negli anni ’70 riscuotevano numerosi consensi. La successiva crisi di mercato indusse i produttori a cambiare modo di pensare. Grazie alla riduzione delle rese e ad una più rigorosa selezione, la Schiava oggi dimostra nuovamente un carattere marcato, fortunatamente non a scapito della sua digeribilità. La Schiava altoatesina viene vinificata in purezza (Schiava Alto Adige e Schiava Grigia) oppure assemblata con altri vitigni rossi (Santa Maddalena, Lago di Caldaro, Meranese, Colli di Bolzano e Klausner Laitacher).
Lagrein
Aromi di frutti di bosco, ciliegia e viola, al palato pieno e vellutato con una buona acidità ben bilanciata e gradevole: il Lagrein rappresenta per i produttori altoatesini un’opportunità favorevole di creare un vino singolare di alta gamma con un profilo gustativo che corrisponde alle esigenze del mercato. Fino a qualche anno fa, veniva coltivato soprattutto il Lagrein “a stelo lungo” che, allevato a pergola, ha una resa particolarmente alta. Attualmente la ricerca della qualità è più focalizzata sul biotipo “a stelo corto” che ha una resa inferiore. Inoltre, la forma di allevamento oggi non è più la pergola, ma la controspalliera (guyot). Con una resa inferiore a 10.000 kg per ettaro è possibile ricavare un vino con una notevole intensità di colore e pienezza di frutta. Una speziatura nobile, acquisita attraverso l’affinamento in piccole botti di rovere, conferisce ai vini più pregiati ulteriore fascino e carattere. Nella versione rosata, il vino viene anche chiamato “Lagrein Kretzer”. Già nel lontano 1370 l’imperatore Carlo IV elogiò il Lagrein come “pesten Poczner” (il miglior vino bolzanino). Adesso questo vitigno è riuscito a riconquistare, in maniera sorprendente, la buona fama di cui godeva in passato. Oggi Bolzano è nuovamente considerata la patria del Lagrein, dove il vitigno raggiunge una superficie vitata di 200 ettari.
Gewürztraminer
Il nome stesso rivela la sua origine: Tramin ovvero Termeno sulla Strada del Vino, una delle più importanti località vitivinicole dell’Alto Adige. Il “Traminer” di Termeno era già noto nel XIII secolo in tutta l’area germanica. Pare che nel XV secolo fosse il vitigno più coltivato in Alto Adige. A causa delle rese limitate e della bassa resistenza sia al gelo che alle malattie da virus, il vitigno rischiò l’estinzione 100 anni fa. Oggi si è,affermato nuovamente come cavallo di battaglia dei produttori altoatesini. Con il Simposio Internazionale del Gewürztraminer, che si tiene ogni anno dispari nel mese di luglio a Termeno, è stato possibile rafforzare il suo ruolo pionieristico anche a livello mondiale. Grazie al suo ricco ventaglio di profumi con note di petali di rosa, garofano, litchi e frutta tropicale, il Gewürztraminer rappresenta la quintessenza di una varietà aromatica. Inoltre, considerando il suo colore intenso, il suo grado alcolico più alto rispetto alla tipologia di appartenenza e la sua struttura opulenta, è il vino da meditazione per eccellenza. Ciononostante, fortunatamente, i Gewürztraminer dell’Alto Adige sono vini con una buona digeribilità garantita da un’acidità ben presente e vivace, grazie al fatto che l’uva viene spesso coltivata ad altitudini elevate che possono raggiungere anche i 700 metri. Dalla fine degli anni ’90 è aumentata la varietà delle tipologie. Prodotto con una discreta quantità di zuccheri residui oppure in versione dessert, nobile e dolce, da ogni nuova annata nascono dei veri gioielli dell’enologia italiana.

Focus - L’Alto Adige in cifre …
- circa 5100 ettari di superficie vitata
- 740.000 ettari (7400 metri quadrati) di superficie totale
- soltanto il 14 % della superficie totale si trova sotto i 1.000 metri
- il 98 % della superficie vitata è Doc
- 330.000 ettolitri è la produzione media annua di vino
- il 52 % della produzione è di vino rosso e il restante 48 % è di vino Bianco
- l’Alto Adige contribuisce con uno 0,7 % alla produzione vinicola nazionale
- il 35 % dei vini altoatesini viene esportato
- l’Alto Adige conta 490.000 abitanti (due terzi della popolazione parla il tedesco e un quarto l’italiano; nella zona delle Dolomiti vive una piccola comunità che parla il ladino).

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