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VISIONI

Creare valore e fare sistema: le sfide (di sempre) del vino italiano nel post-pandemia

“Milano Wine Week” 2021: le riflessioni di organizzazioni di filiera, consorzi e aziende tra le più importanti di un settore che guarda al futuro
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Il futuro del vino italiano al centro della Milano Wine Week

La pandemia ha cambiato senza dubbio l’equilibrio tra i canali distributivi del vino, ha creato occasioni di consumo diverse, ha aperto prospettive nuove, accelerato cambiamenti già in atto. Ma alla fine, i grandi temi, le grandi sfide da affrontare per il vino italiano, sono sempre le stesse: la costruzione di un valore aggiunto ancora lontano dai livelli di altri, francesi in testa; il “fare squadra”, o “sistema”, che dir si voglia, tra imprese, territori e player della filiera; raccontare meglio la grande varietà, ricchezza e diversità del vino italiano, sempre più legata al valore del made in Italy come “ombrello”, e in maniera trasversale alla storia, alla bellezza e all’esperienzialità di cui dovranno vivere sempre di più in futuro i territori; far crescere la managerialità all’interno di un sistema imprenditoriale molto, o troppo, parcellizzato; trovare nuovi modi di comunicare con una platea che è sempre meno “business” e sempre più “consumer”, ma fatta di tanti consumatori diversi a seconda dei mercati. Sfide che, dunque, sono esattamente quelle che erano sul tavolo prima che l’irrompere del Covid-19 sospendesse più o meno drasticamente lo scorrere della vita più in generale, e degli eventi “in presenza”, che, ripartiti un po’ alla spicciolata con diverse iniziative territoriali, in questi giorni in qualche modo segnano la ripartenza di eventi nazionali, come la “Milano Wine Week”, di scena dal 2 al 10 ottobre, nella città meneghina.
“Il vino nella nostra enogastronomia e agricoltura è un settore trainate, il più avanzato. Siamo il primo Paese al mondo per produzione, ma dobbiamo diventarlo per il valore riconosciuto ai nostri vini, lavorando anche sulla formazione di chi li vende, a partire dai ristoranti”, ha detto da Palazzo Bovara il presidente Coldiretti, Ettore Prandini. “È fuori luogo gongolarsi sul fatto che siamo i primi produttori al mondo in quantità - ha rilanciato il presidente Assoenologi, Riccardo Cotarella - anzi, quando c’è troppo prodotto si deprezza e si distrugge valore, noi dobbiamo lavorare sul valore aggiunto, e siamo indietro rispetto al mondo nonostante abbiamo da raccontare tante cose quanto nessun altro. I “consum-attori”, ormai coprotagonisti della filiera, voglio sapere tutto del vino, c’è una sete di cultura del vino a cui dobbiamo saper rispondere. La qualità è talmente scontata che raccontare che un vino è buono è di una banalità allarmante: dobbiamo raccontare al mondo quello che davvero è l’Italia del vino, perchè lo sanno in pochi. E forse neanche noi ci rendiamo conto di quanto il vino sia una bandiera vera del nostro Paese”. “Dobbiamo pensare che abbiamo un grande numero di racconti diversi che possiamo unire e coniugare in maniera diversa a seconda dell’ascoltatore, del mercato. I territori rappresentato qualcosa di unico, attraverso le denominazioni, e questo dobbiamo raccontare”, ha aggiunto il presidente Federdoc, Riccardo Ricci Curbastro, sottolineando come, al netto di una tenuta importante del sistema vino agli urti della pandemia, ci siano tanti tempi aperti, e tanti attacchi al sistema da non sottovalutare, “dal rischio che in nome di una sacrosanta battaglia per la salute si penalizzi un prodotto che non è alcol, ma fa parte della nostra alimentazione e della dieta mediterranea, minandone la promozione orizzontale in Ue, che è il primo mercato, o mettendo a rischio i fondi Ocm nel quadro del piano europeo contro il cancro. Ed ancora, il grande tema della tutela del sistema delle denominazioni, contro il quale la richiesta della Croazia di registrare il Prosek è un attacco frontale”.
Al centro di tutto, o meglio a tenere tutto insieme, però, c’è sempre e prima di tutto il valore dei territori, come hanno raccontato i vertici di alcuni dei Consorzi protagonisti dei “Wine Districts” in cui è articolata la “Milano Wine Week”. “Le Colline di Conegliano Valdobbiadene nel tempo sono riuscite a mantenere una bellezza e una naturalezza che oggi è tutelata dall’Unesco - ha ricordato Elvira Bortolomiol, presidente del Consorzio del Conegliano Valdobbiadene Prosecco Superiore Docg - e l’uomo ha saputo con un lavoro eroico mantenere l’equilibrio. Il vino è stato il motore dell’evoluzione del territorio, per tutta la comunità che ha portato nel mondo un prodotto apprezzato per naturalezza e qualità. In questo territorio, la differenza l’ha fatta e la fa la comunità, il saper fare squadra: abbiamo aperto ad un turismo esperienziale, fatto di persone che non vengono solo per degustare vino di qualità, ma per vivere esperienze. Con l’Associazione delle Colline Unesco stiamo creando un cammino che attraverserà tutta la denominazioni guardando non solo al vino, ma anche all’aspetto paesaggistico, religioso e così via. Unicità, bellezza e territorio le nostre parole chiave”. “Il nome Franciacorta esiste da mille anni, averlo legato al vino è stato fondamentale - ha aggiunto Silvano Brescianini, presidente del Consorzio del Franciacorta - ma dobbiamo lavorare ancora sul territorio, perchè per quanto ci si attrezzi è sempre più forte la richiesta di servizi. Non basta aprire le cantine, serve uno sforzo collettivo di istituzioni, imprese, ristorazione infrastrutture. Noi italiani corriamo un rischio, perchè siamo nati nella bellezza, ne siamo assuefatti, ma non la possiamo dare per scontata. Ci sono storie incredibili dietro una pieve, dietro un paesaggio, e dobbiamo raccontarlo, meglio di quanto stiamo comunque facendo”. “Dobbiamo ricreare sinergie con la ristorazione e con il settore alberghiero per dare risposte sull’enoturismo, che è sempre più importante per far conoscere vino e territorio - ha aggiunto Alberto Zenato, vicepresidente del Consorzio del Lugana - perchè il turista che beve i nostri vini qui poi vuole riviverne l’esperienza comprandoli anche nel proprio Paese quando tornano a casa”.
Ma serve un lavoro costante e fatto in sinergia, perchè “per fare promozione del vino e dei territori non c’è una ricetta che va bene per tutti, ma è un continuo seminare - ha aggiunto Carlo Veronese, direttore del Consorzio dei Vini dell’Oltrepò - e noi stiamo seminando tanto, stiamo ricreando una forte identità di territorio, con 300 aziende che lavorano insieme, e non era scontato”. “Il binomio vino-territorio è sempre più importante - ha detto, dal canto suo, Valentino Di Campli, alla guida del Consorzio Vini d’Abruzzo - ed il nostro è uno dei territori del vino con la maggiore biodiversità d’Italia, andiamo dal mare alle montagne di 3.000 metri. Ma dobbiamo raccontarci al mondo perchè pochi ci conoscono, ed in questo senso fare aggregazione è fondamentale. Senza sinergie e senza le risorse che i Consorzi di tutela possono ottenere, per esempio, si fa poco”.
“Da anni abbiamo una strategia che è “Prosecco Doc Italian Genio” - ha detto Luca Giavi, direttore del Consorzio del Prosecco, denominazione locomotiva del vino italiano - noi non vendiamo un prodotto, ma quello che portiamo dentro ad una bottiglia è lo stile italiano, è un altro modo di vedere il vino. Fare sistema è possibile, oltre che necessario. Dopo che abbiamo lanciato il Prosecco rosè, per esempio, in tanti ci hanno detto che, grazie a questo, si è alzata l’attenzione sui rosati italiani in generale, spesso marginalizzati sui mercati. Ma per evolvere servono strumenti anche normativi importanti che hanno altri Paesi, e penso, per esempio, all’interprofessione alla francese. Solo stando insieme si vince, solo partendo dal made in Italy, altrimenti ci si ferma alle nostre battaglie provinciali, e al dire “io sono meglio di”, che, però, non funziona più”. Visione su cui concorda Giacomo Bartolommei, vicepresidente del Consorzio del Brunello di Montalcino: “il nostro è un piccolo grande territorio, fatto da 30.000 ettari di cui 3.500 vitati. Ma nei mercati del mondo e a chi da tutto il mondo visita il nostro territorio non portiamo solo il nostro grande vino, ma quello che siamo, il nostro stile, la nostra cucina, vendiamo un’esperienza. Ma si deve partire sempre dal made in Italy prima, in maniera coesa, e poi arrivare al territorio”. “Dobbiamo stare uniti, dialogare, avere poche chiare infrastrutture a cui rivolgerci, e poi fare sistema, raccontare quello che abbiamo ma anche accompagnare i nostri visitatori, e clienti e turisti dal nostro vicino, a farli assaggiare non solo il nostro, ma anche il suo vino”, ha aggiunto Stefano Ricagno, vicepresidente del Consorzio dell’Asti e del Moscato d’Asti Docg.
Serve, insomma, un fare squadra davvero, perchè se il sistema nel complesso ha retto, la pressione si sente forte, come testimoniato da Marco Alessandro Bani, direttore del Consorzio Vino Chianti: “abbiamo compensato il calo delle vendite all’export crescendo sul mercato interno nei mesi più duri della pandemia, ma è cresciuta però la grande distribuzione che dà meno redditività alle aziende. E su questo fronte qualche problema c’è”.
E se questa è la visione delle priorità per i Consorzi, le imprese aggiungono altri temi come la necessità di conoscere meglio i mercati, di avere managerialità più preparate, di aver accesso a strumenti finanziari più moderni e, non da ultimo, dimensioni più grandi, che non vuol dire solo crescere in termini di dimensioni aziendali, ma anche fare alleanza commerciali. “L’individualismo è stato un plus in passato, ma oggi non lo è più - ha detto Beniamino Garofalo, ad Gruppo Santa Margherita, uno dei top player del vino italiano - perchè dimensioni e presenza nei mercati è importante. Santa Margherita esporta in 90 Paesi e in molti di questi è leader in alcuni segmenti. Ma le cose stanno cambiando, il mondo del vino è sempre meno b2b e sempre più b2c, va capito il consumatore, ma si deve lavorare su managerialità a cui servono più competenze anche su come proporre il vino vino nei diversi Paesi. Servono, però, anche investimenti sul digitale, sulla infrastrutture, serve il supporto di tutti. Il mondo del vino è sempre molto polverizzato, anche se si stanno vedendo tanti movimenti tra aziende, ed investimenti, che stanno facendo riflettere. La dimensione può fare la differenza, come l’aggregazione, che non sempre va tradotta in vendita o acquisizione di aziende. Si possono usare spalle di colleghi di dimensioni più ampie, magari fare alleanze commerciali, farsi distribuire i prodotti. È chiaro che servono investimenti, importanti, però, che spesso il piccolo non può sostenere”.
In questo senso è evidente che anche nuovi “strumenti finanziari siano molto importanti - ha aggiunto Riccardo Pasqua, a capo della Pasqua Vigneti e Cantine, tra le realtà leader del veneto e del vino italiano - per accelerare alcuni processi e compiere anche un passaggio generazionale nella comunicazione del nostro settore, che è ancora molto tradizionale. Servono nuove energie e competenze per capire come parlare ai tanti diversi consumatori. È fondamentale stare su più mercati, il made in Italy è già un brand nel mondo, in alcuni Paesi come gli Usa abbiamo una presenza di seconda e terza generazione di origine italiana che spinge. Però, c’è grande differenza tra esportare e internazionalizzare: la seconda strategia è molto più complessa, ma ti permette di stare sul mercato sempre e capire bene e subito il consumatore”. “È vero che, nel settore, c’è un gap di managerialità - ha aggiunto Igor Boccardo, ceo di Genagricola - ma il vino ha delle unicità, ha una penetrazione altissima, è un prodotto sia maschile che femminile, è conviviale e solitario. L’ingresso di capitali da fuori del settore darà un boost a questa evoluzione manageriale che è fondamentale, perchè il consumatore ed il mercato cambiano ed evolvono continuamente, e sempre più velocemente lo faranno nei prossimi 5-10 anni”. Certo è che “fare aggregazione e sinergia tra realtà diverse è fondamentale - ha aggiunto Alberto Serena, alla guida di Montelvini, cantina di riferimento del territorio di Asolo - ma è altrettanto vero che a volte ci sono talmente tanti interessi diversi che non è facile mettersi insieme. Ma è importante che le aziende crescano e facciano partnershisp”. Anche perchè per emergere, per diventare “brand”, nel mercato del vino, oltre agli investimenti, servono anni, ha ricordato Pierluigi Bolla, presidente Valdo Spumanti, “per via della frammentazione e della vastità del mercato, enorme. Servono competenze nuove, ma c’è anche un grande tema, che è quello del passaggio generazionale nelle aziende, che non va sottovalutato”. Una criticità, ma anche un valore, se ben gestito, come raccontato da Federico Dal Bianco, vicepresidente di Masottina, una delle più belle anime del Prosecco Docg: “io rappresento la terza generazione della famiglia alla guida dell’azienda, ed il tempo per noi è stato fondamentale per mettere insieme i 280 ettari di vigneti da cui nascono i nostri vini”. Perchè tutto, in conclusione, parte dalla terra.

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