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D / La Repubblica Delle Donne

E’ la nuova wine-society. In cantina succede tutto. Il vino dopo la tavola, conquista aperitivi e locali alla moda; sommelier intriganti, enoteche alternative ed eccentrici corsi di degustazione creano la nuova tribù degli enomaniaci ... Il mio regno per un cavallo. Anzi per un bicchiere di vino. Meglio se in purezza, da uve autoctone, fermentato in acciaio e affinato in bottiglia, con profumi primari pronunciati, a ridotto tenore di solforosa, fresco, con note erbacee e minerali, da viticoltura biodinamica. Oppure un uvaggio, da vitigni internazionali, fermentato in botte, affinato in barrique, rotondo, morbido, lungo in bocca e con un pronunciato bouquet di frutta matura, spezie, crosta di pane. Briciole di glossario enologico per la tendenza più modaiola e persistente dell’universo alimentare di inizio millennio, con il suo carico di nuova cultura ed eccessi. In un giorno, tutto quello che avreste voluto sapere sul vino e non avete mai osato chiedere. Il 25 maggio, infatti, si ripete l’ppuntamento con “Cantine aperte”. La festa organizzata dal Turismo del Vino: fra le 10 e le 18, mille cantine dalla Valle d’Aosta alla Sicilia apriranno le porte per sedurre nasi e palati, senza distinzioni di sesso, età, nazione. (Per informazioni, telefonare allo 080.5234.114, o collegarsi con il sito internet www.movimentoturismovino.it). L’anno scorso, oltre un milione di enoturisti, soprattutto giovani, festeggiarono i dieci anni della manifestazione, scegliendo di trascorre una domenica tra degustazioni di vino e assaggi di prodotti tipici. Un segnale con i dati che premiano il turismo del vino con un giro d’affari di 2 miliardi e mezzo di euro, e una previsione di incremento oscillante tra l’8 e il 10%. L’idea del secondo decennio di vita, è di allargare “Cantine aperte” anche ad altri Paesi, europei ed extra europei, a forte caratterizzazione vitivinicola e con un legame altrettanto forte con le tradizioni enogastronomiche. Ma quel che è molto cambiato sono le prospettive. Una volta c’era il vino-alimento, quello con cui rimpinguare un introito di calorie quotidiane a scartamento ridotto per colpa della povertà. Pane e vino, non solo per la sua forte valenza rituale e religiosa, ma anche e soprattutto per tenersi su, grazie all’uva trasformata in alcol e zucchero. Bere per nutrirsi e zittire i morsi della fame, anche a costo di mettere in pericolo il fegato, vuoi per qualità, quasi sempre ridotta ai minimi termini per scellerate tecniche di produzione e conservazione. Dove la tradizione popolare lo permetteva –un po’ in tutto il Nord, e segnatamente nelle campagne- bere fin da piccini, il ciuccio intinto nel bicchiere di rosso, un dito di vino nelle feste comandate. La fine dell’emergenza alimentare più stretta, che ha toccato la stragrande maggioranza degli italiani negli ultimi 30 anni, ha prodotto tra i suoi effetti collaterali una diversa presa di coscienza del fenomeno vino, promosso ad alimento voluttuario, di tutta piacevolezza, capace in alcuni casi di abbandonare addirittura la cadenza quotidiana di consumo (anche dal punto di vista della spesa) per approdare all’olimpo dei beni di lusso. In Italia, oggi si bevono poco più di 55 litri di vino l’anno a testa, contro i 53,6 del ’97, ma soprattutto contro i 78 di mezzo secolo fa, quando un litro di vino costava in media 120 lire al litro! In Europa, i bevitori più tosti sono i lussemburghesi (64,5 litri di vino a testa contro i 50,4 del ’97) seguiti dai francesi (58,77 litri pro capite contro i 59.03 del ’97).

Salute alla salute

Con le sue 9 calorie per grammo d’alcol, il vino non è esattamente quello che si dice un alimento dietetico. Non a caso, i regimi (ci sarà un motivo per chiamarli così!) dimagranti prevedono un subitaneo azzeramento di Chianti, Chardonnay e affini. Però. Però i dietologi più intelligenti (non necessariamente i più tolleranti) sanno che una piccola trasgressione qua e là garantisce risultati lusinghieri a lungo termine. E allora, ecco apparire il bicchiere –meglio si di bollicine o di rosso- in molti menu a calorie controllate, possibilmente bevuto la sera, insieme alle proteine (mentre i carboidrati, da consumare a pranzo, vogliono acqua o meglio ancora nulla). Allo stesso modo, fegato e reni sono organi supersensibili all’introduzione degli alcolici. In compenso se ne giovano cuore, colesterolo e perfino l’intestino. Sempre a patto di un consumo moderato. Un discorso a parte merita la solforosa, sostanza in parte prodotta naturalmente dal vino durante la fermentazione, in parte introdotta dall’esterno come conservante. Ce ne accorgiamo subito per il cerchio alla testa figlio di vini, per l’appunto, ricchi di solforosa, diffusi soprattutto tra bianchi e muffati. Così, in Francia, un ampio manipolo di produttori”eticamente avvertiti” ha fondato un’associazione di viticoltori che aggiungono dosi minime di solforosa ai loro vini -come da decalogo della produzione biologica e biodinamica - anche a costo di rischiare qualcosa in termini di conservabilità (pericolo controbilanciato da una cura ancora più accentuata di vigne e vinificazione). In Italia è il dottor Vanni Zacchi (corso Venezia 10, Milano, tel. 02.2046.307), docente di medicina funzionale nei master post-laurea, che testa gli indici di tolleranza agli alimenti (alcol compreso). Se non ci sono intolleranze in atto, consente l’assunzione di un bicchiere di vino la sera, con preferenza per quello rosso (che ha azione cardioprotettiva) e le bollicine (che hanno poca solforosa). Qualche perplessità, invece, nei confronti dei bianchi.

Enoteche meeting point

Tutto questo, per dire quanto il pianeta-vino sia variegato, complesso, in continua evoluzione. E di fortissimo, meraviglioso impatto sulle ultime generazioni. Perché mai come oggi, sdoganati dal fumo, vapori e umori alticci, i luoghi del vino sono diventati veri e propri punti di riferimento dei protagonisti della nuova socialità pubblica, ovvero giovani e donne. Secondo le ultime ricerche di mercato, infatti, gli uni come le altre bevono di preferenza fuori casa. Il vino come occasione d’incontro, allora: gradevolezza da consumare insieme, curiosità e sperimentazione da verificare lontani dall’abitudinarietà della sequenza pranzo-cena. Per questo, i wine-bar - eredi evoluti di osterie e bottiglierie - sono entrati in concorrenza diretta e spietata con i bar più o meno tradizionali. Da una parte, i locali dell’aperitivo hanno messo a punto la figura del “bar-tender”, attualizzazione del mestiere di barman, abile nel lanciare cocktail sempre diversi, attraenti, innovativi: basta pensare alla creazione dei cocktail “solidi” e ai sorbetti a base di long-drink, il tutto ben radicato nell’oramai usata (e troppo spesso abusata, in termini di qualità) happy hour. Dall’altra, sommelier e wine-scout hanno inondato scaffali e carte dei vini con etichette per tutti i gusti, le tasche, i palati, in una ricerca che sembra non avere mai fine. A Milano, l’enoteca Ombre Rosse (via Plinio 29, tel. 02.2952.4734) vanta un’accurata selezione di vini al bicchiere e ospita periodicamente i corsi più allegri e trasgressivi della città, grazie alla verve e alla competenza di Giuseppe Frigerio, vulcanico importatore di vini e formaggi dalla Francia. A Roma, invece, imperdibile l’aperitivo al Gusto (piazza Augusto Imperatore 9, tel. 06.3226.273) che ha appena llargato i confini gourmand della sua proposta con l’inaugurazione del primo bar-à-fromage italiano, forte di strepitose proposte casearie di Guffanti, affinatori in Piemonte, e di sfiziosi abbinamenti enologici

Nuovi guru, nuovi adepti

I neo-adepti della religione del vino, infatti, spessi si sentono piuttosto disorientati. Perché a fronte di poche centinaia di superesperti in grado di dire praticamente tutto di tutti i vini in circolazione, esiste una larga quantità di nuovi guru, ai quali un paio di corsi di degustazione - e a volte le stesso diploma di sommelier - ha regalato l’infallibile certezza di poter discutere alla pari con Veronelli. Sono quelli che in un vino sanno cogliere profumi e sapori mirabolanti, e di fronte ai quali ci si sente miseri bevitori di aranciate prestati all’alcol. Mai visto la sigla di “Non c’è problema”, il programma satirico di Antonio Albanese, andato in onda qualche mese fa? Eccolo lì, il signor So-tutto-io, capace di estrapolare da un bicchiere i suoi più reconditi segreti, tranne finire, nell’ultima puntata, bruscamente licenziato. Quindi, mai fidarsi degli improvvisati Soloni: meglio annusare, assaggiare e commentare in allegria, in nome del motto “bere meno, bere meglio”, che ha beneficamente segnato l’ultima edizione del Vinitaly. Se poi, la domanda di cultura enologica - non tanto saper fare un vino, ma saperne riconoscere le caratteristiche per meglio apprezzarlo o abbinarlo a un piatto - si fa impellente, non resta che andare a scuola. Ma per andare sul sicuro nella scelta di un vino, si può cominciare ad affidarsi agli indirizzi-cult dell’enologia. Che non significa spendere cifre proibitive per una buona etichetta: anzi, la sfida degli esperti è proprio quella di scovare e proporre vini meno modaioli dei “soliti noti”, ma di grande impatto e piacevolezza. A Milano, fatevi consigliare da Angelo e Maria Betti, titolari di Ricerca Vini (via Monti 33, tel. 02.460.471), dove troverete anche moltissime produzioni del Sud del mondo e, affiancata, una preziosa osteria dove abbinare i vini al meglio delle gourmandise nazionali e non. A Roma, invece, regalatevi una visita da Trimani (via Cernaia 37b, tel. 06.4469.630). E a fine acquisto, passate nel contiguo wine-bar, dove troverete perfino gli Champagne in degustazione.

Una donna sommelier

Frequentare una scuola di vino oggi è come una volta i corsi di ricamo, di inglese, di bricolage: se non necessari, propedeutici. Almeno per tutti quelli che intorno al rito della bottiglia pensano di costruirsi un pezzo di futuro, visto che il crescere della cultura enologica sta inducendo un numero sempre maggiore di locali a dotarsi di un sommelier per orientare le scelte dei clienti. I riscontri a livello di formazione sono evidenti, se è vero che i corsi dell’Ais - l’Associazione Italiana Sommelier - hanno subito un’impressionante impennata di iscrizioni. E con l’Ais, straripano di richieste tutti gli appuntamenti dedicati ai segreti del vino, che hanno sede in enoteche, ristoranti, wine-bar. Altro dato importante: la composizione delle classi, analizzata secondo l’identità sessuale delgi iscritti, rivela che le allieve rappresentano il 50% del totale. Del resto, le donne sommelier sono ormai una realtà diffusa e non certo relegata a locali di scarso rilievo. Attente, professionali, difficilmente inclini a credersi Bacco in gonnella: E con un atout specialissimo: non le vedremo mai affidare per principio la carta dei vini al cliente maschio, o chiedere a lei: gradisce un bianco, magari frizzantino? Maida Mercuri, intrigante proprietaria del Pont de Ferr (Ripa di Porta Ticinese 55, Milano, tel. 02.8940.6277) è stata la prima sommelier donna ad aver servito il vino a Papa Giovanni Paolo Secondo (in un viaggio pastorale a Cremona). Nel suo locale, troverete pane ma soprattutto vino per i vostri denti (e palato), dai più beverini ai grandi rossi da meditazione. E raccontati da lei, saranno ancora più affascinanti e memorabili. (arretrato di "D - La Repubblica delle Donne" del 24 maggio 2003)

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