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Da “The Paradox of Choice” all’acquisto in enoteca: ecco il primo studio sulla teoria psicologica dell’eccesso di offerta firmata “Wine Economics”, che svela come il vino sia davvero un bene unico, che non sottosta a nessuna regola preconcetta

Italia
Il paradosso della scelta non conta nel mondo del vino

Cosa si celi dietro ad una decisione è da decenni argomento di studio e dibattito tra gli psicologi di tutto il mondo, e nella complessità particolarmente interessante è l’analisi della decisione d’acquisto, uno dei comportamenti sociali, nella società odierna, quella dei consumi, più importanti da comprendere. Tra le tante teorie che hanno provato a spiegare le dinamiche che portano all’acquisto di un bene piuttosto che di un altro, c’è quella dello psicologo Usa Barry Schwartz che, nel 2004, ha pubblicato “The Paradox of Choice”, un bestseller capace di ispirare centinaia di studi sull’autonomia e la libertà di scelta del consumatore americano, oppresso da un eccesso di offerta che non fa che aggiungere complessità, e moltiplicare i momenti di scelta e, con essi, lo stress. Alla base di tutto, come ha rivelato il Nobel per la psicologia Daniel Kahneman ci sono gli obiettivi che ci poniamo, e quindi la soddisfazione che può darci l’acquisto di un bene. Tutto, insomma, ruota intorno alla felicità e, proprio basandosi sulla “Happiness Scale”, Schwartz, come altri colleghi prima di lui (su tutti David Myers e Robert Lane), è arrivato alla conclusione che una sovrabbondanza di possibilità, e quindi di scelte, porta ad un maggior livello di stress, ad una scarsissima soddisfazione e, a volte, a vera e propria depressione.
Lo studio, che ancora oggi divide il mondo della psicologica, è diventato una pietra miliare dell’analisi dei consumi, e “Wine Economics”, grazie alla collaborazione di Douglas Zucker, proprietario della catena di enoteche “Stew Leonard’s Wines”, ha pensato bene di “calarlo”, per la prima volta, sul mondo degli acquisti enoici. La ricerca, divisa in tre parti, ha coinvolto inizialmente 4.000 wine lover, che hanno risposto ad un sondaggio sulle loro abitudini d’acquisto; di questi, è stato selezionato un campione di 100 consumatori, con i quali si è passati dall’analisi qualitativa (ossia quella relativa al sondaggio) all’osservazione diretta all’interno del punto vendita; infine, gli stessi clienti sono stati intervistati dopo l’acquisto, per valutarne il livello di soddisfazione. Il risultato, però, è ben diverso da quanto ci si aspettasse. Se l’eccesso di scelta, in inglese “Choice Overload”, è un fenomeno analizzato da 40 anni in decine di ambiti di consumo, sempre con risultati che ne confermano la validità, non sembra essere un ostacolo nell’acquisto di vino.
L’importanza dello studio del “Wine Economics”, così, è ancora maggiore, perché racconta, su basi solide, l’unicità di un settore, quello del vino, in cui la grande varietà di scelta non è un problema (come sostengono il 70% degli intervistati), ed il livello di soddisfazione dopo l’acquisto è quasi sempre altissimo, ed è questo l’aspetto più importante, perché è proprio l’alto livello di soddisfazione ad annullare gli effetti della “”Choice Overload”. La tesi di partenza, come detto, era ben diversa, e poggiava sulla convinzione che una bottiglia di vino, per sua stessa natura, fosse un bene paragonabile più ad una merce dall’alto valore intrinseco (come un elettrodomestico), che ad un bene di consumo quotidiano, ed invece la sua peculiarità sta proprio nel posizionarsi a metà: il vino, pur essendo un bene dall’alto valore intrinseco, in qualche modo non delude mai, ed il wine lover Usa, nella stragrande maggioranza dei casi, sa già cosa vuole comprare, quale bottiglia lo renderà felice, ed è quella che va a cercare, ricevendo in cambio un alto livello di soddisfazione.

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