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Dai diritti di impianto alle autorizzazioni, la viticoltura italiana ad una fase cruciale con una superficie vitata in arretramento. Domenico Zonin, presidente Uiv: “il Vigneto Italia si indebolirà per colpa della burocrazia, ma decide il mercato”

Italia
Domenico Zonin, presidente Unione Italiana Vini

Oggi, in Italia, sono in circolazione 50.000 ettari di diritti di impianto, dei quali il 90% in mano produttori, e il resto nelle riserve regionali: un regime che terminerà alla fine del 2015, e, al suo posto, verrà introdotto un meccanismo dinamico di gestione delle autorizzazioni per i nuovi impianti, che prevede una crescita annua limitata all’1% delle superfici vitati. Il vigneto Italia, che attualmente si estende su 654.823 ettari, ha perso quasi 120.000 ettari, il 15%, dall’inizio del nuovo millennio, mentre l’ammontare dei diritti di impianto non utilizzati è sostenuto, e abbastanza stabile nel tempo. Poco meno del 10% del potenziale viticolo italiano, quindi, è come “ingabbiato”. Il problema è che “ci sono Regioni che stanno piantando perché c’è richiesta sul mercato di quei prodotti - spiega, a WineNews, Domenico Zonin, presidente Uiv (Unione Italiana Vini) - e, dall’altra parte, Regioni che non lo fanno e che anzi stanno riducendo la propria superficie a vigneto. Abbiamo chiesto al Ministro Martina la possibilità, fino alla fine del 2015, di trasferimento dei diritti da Regione a Regione. Ma questa operazione è impedita a causa dell’opposizione di alcune regioni nella Conferenza Stato-Regioni. Un sistema che si blocca”.

“Chiediamo al Ministro Martina - continua Zonin - di fare forza per sbloccare questo provvedimento, per evitare il rischio di piantare solo una piccola parte di vigneto, rispetto al potenziale in nostro possesso. Rischiamo così di perdere 30-40.000 ettari a causa di un blocco tutto burocratico, sostenuto dagli interessi di qualche assessore regionale. Non è bloccando i diritti che si incentiva il mercato. Il problema è che il Vigneto Italia si indebolirà - conclude il presidente Uiv - per colpa di alcune regioni che si tengono stretti i diritti, sperando che poi ricomincerà una fase di aumento degli impianti. Ma è il mercato che decide”.

Con il nuovo sistema delle autorizzazioni, a ogni viticoltore che espianta viene automaticamente concessa la possibilità di richiedere un’autorizzazione per il reimpianto del medesimo ettaro. Ma se l’espianto è dovuto a cause economiche o semplicemente all’età avanzata del titolare, quell’ettaro di vigneto andrà perduto per sempre: primo, perché l’autorizzazione è data nominalmente all’azienda e ancorata alla sua superficie, per cui se l’azienda cessa, scompaiono anche le sue prerogative; secondo, perché con la soppressione del regime dei diritti, scompaiono anche le “riserve”, che avrebbero potuto fungere da centri di raccolta delle autorizzazioni non richieste a seguito di espianto.

In un Paese come il nostro, che ha visto e continua a vedere forti erosioni della superficie vitata, anche prima del triennio delle estirpazioni con premio, il sistema autorizzativo mostra una prima crepa. Tuttavia, le autorizzazioni portano in dote anche la possibilità di ampliare le superfici a vite degli Stati membri. Ogni anno, a partire dal 2016, gli Stati membri possono concedere autorizzazioni a piantare nuovi vigneti per una quota non superiore all’1% del totale vigneto nazionale. In Italia, se entrasse in vigore domani mattina, il potenziale sarebbe di 6.000 ettari. Vanno esclusi dal computo i diritti in portafoglio e quelli delle riserve, pari come abbiamo detto a circa 50.000 ettari: estremizzando, però, se venissero convertiti e piantati tutti nel giro di due anni, allora entrerebbero anch’essi nel calcolo dell’1%, contribuendo ad aumentare leggermente gli ettari a disposizione. Si leggono in questo senso le pressioni che si stanno facendo sul Ministero affinché imponga alle regioni da una parte di sbloccare i diritti detenuti nelle riserve e dall’altra di revocare, ove previsti, i limiti alla commercializzazione extra regione, consentendo di sfruttare al massimo il meccanismo delle compravendite fino al 31 dicembre 2015.

I diritti validi potranno essere convertiti in autorizzazioni, che non sono comunque commercializzabili, al contrario dei diritti. Sebbene diritto e autorizzazione abbiano un’unica finalità, quella di consentire al soggetto titolare di impiantare un vigneto, le differenze sono sensibili. Innanzitutto, il diritto oggi è commercializzabile, quindi si può venderlo slegandolo dalla terra (cosa non prevista nel sistema francese, dove ogni diritto all’impianto è sempre legato a una particella di vigneto). Il diritto, in un Paese come il nostro, ha quindi un valore di mercato, direttamente proporzionale alle richieste di acquisto. L’autorizzazione richiama invece lo schema francese: viene concessa nominalmente, quindi non può essere ceduta, neppure a titolo gratuito.

Per i diritti in portafoglio, però, viene comunque consentita la possibilità di estenderne la durata, come misura transitoria, consentendo agli Stati membri - e quindi anche l’Italia - di continuare con il regime di diritti attuale per un massimo di cinque anni. I Paesi membri possano mantenere in vigore il sistema dei diritti come lo conosciamo oggi da un minimo di tre a un massimo di cinque anni. L’Italia ovviamente si avvarrà del tempo più ampio, quindi fino al 31 dicembre 2019, quando anche produttori del Bel Paese si allineeranno al sistema delle autorizzazioni che sarà nel frattempo entrato in vigore dal 2016 nel resto d’Europa e che cesserà nel 2030 per tutti.

Il diritto, oltre a una sua naturale scadenza più ampia rispetto all’autorizzazione (5-8 campagne a seconda delle regioni), consentiva innanzitutto più opzioni al produttore: piantare vigneto oppure venderlo, mantenendo però il possesso della terra, che poteva essere destinata ad altri scopi. Aveva quindi un suo valore intrinseco a livello di patrimonio aziendale. Ma quel che più conta, a livello di potenziale viticolo nazionale, il diritto era una sorta di paracadute per il vigneto Italia: consentiva a chi intendesse smettere l’attività produttiva di cederlo ad altri soggetti intenzionati invece a espandere la propria, attivando una staffetta che a conti fatti limitava il depauperamento di un potenziale produttivo che comunque non poteva per legge crescere (si ricorda che nell’Ue vige tuttora il blocco degli impianti).

Lo sforzo di allontanare i rischi di eccesso di produzione fa perdere al contempo la possibilità di dotarsi di adeguati meccanismi, che possano consentire di agganciare i vigneti alle fasi di sviluppo del mercato. Per l’Italia, si aggiunge l’opzione di una gestione del sistema a livello locale, con appiattimento dei criteri di ammissibilità e polverizzazione del già scarso patrimonio di ettari disponibili. Con il rischio concreto di una perdita del potenziale viticolo nazionale.

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