Sulla questione dei diritti di impianto, che, dal 2016, diventeranno autorizzazioni, non c’è solo il rischio, come segnalato da Unione Italiana Vini (http://goo.gl/FNTb25), di vedere persi i 40.000 ettari oggi non utilizzati sui quali, chi detiene i diritti, non vuole vendere (il termine scade il 31 dicembre 2015) se non a prezzi giudicati da molti eccessivi. Ma c’è anche il rischio di una concentrazione, in certe aree, che potrebbe portare sia ad una riduzione della varietà della produzione del Belpaese, sia ad una sorta di monocoltura in alcuni territori. A dirlo, a WineNews, Attilio Scienza, uno dei massimi esperti al mondo di viticoltura e docente all’Università di Milano.
“I rischi ci sono per quelle zone marginali della produzione vitivinicola che stanno perdendo superfici, e che stanno vendendo i diritti di impianto, mentre dove si compra si sta creando una grande concentrazione. E allora la viticoltura italiana, che è sempre stata una viticoltura diffusa e frammentata, si sta spontando verso una viticoltura diciamo così, polarizzata, come quella francese, che ha di fatto quattro grandi zone, Bordeaux Borgogna, Champagne e Valle del Rodano, e tutto il resto è molto marginale, e in sofferenza. Noi stiamo facendo un po’ lo stesso percorso. Abbiamo Prosecco, Amarone, Barolo, Brunello e Bolgheri, sostanzialmente, mentre tutto il resto è in fase di smobilitazione, si vendono i diritti, le persone anziane lasciano, i giovani si spostano dove c’è più interesse, e quindi ci sarà sempre più concentrazione di zone, produttori e vigneti”.
Ed il rischio di arrivare, in certe zone, ad una sorta di monocoltura, secondo Scienza, è reale, “perchè poi servono investimenti importanti, non solo per comprare i diritti. La terra da vigna in certe zone vale molto, il vigneto va creato e piantato, e bisogna aspettare perché entri in produzione, e quindi è chiaro che uno si concentri su quello che rende di più. Basta vedere a quello che è successo nel Barolo, dove si sta piantando vigna dove c’erano noccioleti e boschi, o nel Prosecco, dove si fa vigna dove c’erano mais e soia, ed è chiaro che sia così, perchè se spendo 15.000 euro per i diritti di impianto e poi tutto il resto, quel terreno mi deve rendere, io devo utilizzarlo il più possibile, non posso lasciare spazio ad altro, e questo è un grosso rischio perchè si perde variabilità. Ed è anche possibile che molti vini, nei prossimi anni, non li berremo più”.
Una provocazione, in parte, quella di Scienza, che deve essere da stimolo per una riflessione che “dovrebbero fare gli organi preposti al governo del mondo del vino, che sono le organizzazioni sindacali, di produttori, le Istituzioni, che devono controllare che questa Italia mantenga una sua indentità e una sua variabilità. Perché e vero che siamo in un mercato libero, e ogni può investire come vuole, ma un minimo di controllo e di guida ci vuole”.
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