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TAVOLA ROTONDA COLDIRETTI

Difficoltà e opportunità per il vino italiano nei principali mercati del mondo

Resiste negli Usa, crolla in Cina, cala in Germania: ma, tra promozione e digitalizzazione, c’è spazio per tornare a crescere
Coldiretti, COVID, DIGITALE, FUTURO, GINO COLANGELO, GIOVANNI MANTOVANI, INTERNAZIONALIZZAZIONE, JOSE RALLO, MERCATI, vino, Italia
Il mercato Usa resiste alla crisi

Il vino italiano è in mezzo al guado, tra gli effetti di un lockdown primaverile, superato di slancio in estate, e le sabbie mobili di una seconda ondata che torna a strozzare i consumi, in Italia e all’estero. Il quadro, però, per quanto duro, non è drammatico, perché il comparto ha dimostrato, in questa ed in tante altre situazioni di difficoltà, di saper accettare e vincere le sfide, trovando sempre nuove strade e nuovi modi per risalire la china. Dai mercati, intanto, arrivano segnali diversi, positivi dagli Usa, dove l’Italia, nei primi 8 mesi 2020, ha spedito in Usa 1,16 miliardi di euro di vino, il 2,3% in più dello stesso periodo del 2019, negativi dalla Cina, che ha visto un vero e proprio crollo, del -38% nel “semestre Covid”, ossia tra marzo e agosto 2020.
Ciò di cui c’è bisogno, adesso, oltre al sostegno economico alle imprese, è un cambio di passo nella promozione, che deve passare necessariamente per la digitalizzazione, e imparare a ragionare di sistema, specie perché nel mondo sospeso di questi mesi, ha guadagnato spazio una certa autarchia, con le produzioni nazionali in grande spolvero anche sul fronte enoico. E allora, sia tra aziende del vino, che all’interno di quella galassia che è il made in Italy, di cui fanno parte tanto altri comparti, dalla moda alla meccanica, uniti dallo stesso fascino e dalle stesse radici culturali, bisogna parlare con una voce sola. È il punto di inizio di “Covid, la sfida del vino made in Italy”, la tavola rotonda digitale andata in scena oggi, organizzata da Coldiretti e condotta dal presidente Assoenologi Riccardo Cotarella, che ha guidato gli interventi di Vincenzo Gesmundo, segretario generale Coldiretti, Francesco Ferreri, membro di giunta Coldiretti e componente del Comitato Nazionale Vini, Josè Rallo, alla guida di Donnafugata e nel cda dell’Ice - Istituto per il Commercio Estero, Raffaele Borriello, direttore generale Ismea, Giovanni Mantovani, direttore generale Veronafiere, Konstantin Pechtl, responsabile acquisti della catena tedesca Mack & Schühle AG/Weinwelt, Gino Colangelo, presidente Colangelo & Partners, Simone Incontro, responsabile Veronafiere Asia e Ettore Prandini, presidente Coldiretti.

“L’internazionalizzazione è una scelta obbligata per il nostro Paese, che deve cogliere questo momento di crisi per mettere a punto una strategia più incisiva di presenza sui mercati stranieri”, commenta Ettore Prandini. “Vanno aiutate le imprese a superare questo difficile momento e va preparata la ripresa con un piano straordinario di internazionalizzazione anche con la creazione di nuovi canali commerciali e una massiccia campagna di comunicazione superando l’attuale frammentazione e dispersione delle risorse puntando, in primo luogo, ad una regia nazionale attraverso un’agenzia unica che accompagni le imprese in giro nel mondo, valorizzando il ruolo strategico dell’Ice e con il sostegno delle ambasciate. In questo contesto un primo obiettivo è stato raggiunto - continua Prandini - con la presenza Josè Rallo come primo rappresentante agricolo nel consiglio di amministrazione dell’Ice che viene proprio dal mondo del vino ma anche con l’arrivo per la prima volta nelle ambasciate italiane della figura del Consigliere Diplomatico agricolo come abbiamo chiesto. Serve poi recuperare i ritardi strutturali e sbloccare tutte le infrastrutture che migliorerebbero i collegamenti tra Sud e Nord del Paese, ma anche con il resto del mondo per via marittima e ferroviaria in alta velocità, con una rete di snodi composta da aeroporti, treni e cargo. Una mancanza che ogni anno - conclude Prandini - rappresenta per il nostro Paese un danno in termini di minor opportunità di export e una “bolletta logistica” più pesante per la movimentazione delle merci”.
Per Giovanni Mantovani, alla guida di Veronafiere, “siamo di nuovo in una fase critica, aggravata da una imminente crisi economica, che rischia di scompaginare il settore in uno scenario inedito e sfidante. Il vino sa accettare queste sfide, e vincerle, ma servono linee strategiche e progettuali per tornare a vendere. Vinitaly Nomisma Wine Monitor, nel semestre marzo-agosto 2020, ha evidenziato che gli scambi a livello mondiale sono calati del 15,2%, con una perdita di 1,5 miliardi di euro. Per l’Italia, su base doganale, è il risultato peggiore degli ultimi 30 anni, dopo un eccellente avvio di anno, a +14% nei primi due mesi, cui è seguita una perdita dell'8,6%. Un risultato negativo, che in un altro periodo sarebbe stato di crisi, ma se lo confrontiamo con i nostri competitor, è una mezza vittoria in un bicchiere comunque mezzo vuoto. A pagare, sono le piccole e medie imprese, asse portante del settore, ed è i questo conteso - ricorda Mantovani - che arriviamo a Wine2Wine (dal 21 al 24 novembre, ndr), il forum sul business del vino italiano, quest'anno tutto in digitale, anche se fino all'ultimo abbiamo provato a farlo in presenza”.
A fare il punto sule mercato Usa, tra possibilità e cambiamenti epocali, è Gino Colangelo, che ricorda come il settore sia fortemente “regolato dal Three-Tier-System, diverso da Stato a Stato. È ancora il primo mercato per consumi enoici, e le importazioni rappresentano il 25% degli acquisti. La fascia che cresce di più è quella sopra i 15 dollari a bottiglia, e nel 2020, nonostante tutto, il trend è quello di un aumento della spesa in vino, che toccherà i 50,7 miliardi di dollari (+1,2% sul 2019). Nel 2025 Gen Z e Millennials varranno il 38% del mercato, ma oggi Gen X e Baby Boomers valgono ancora il 60% degli acquisti. Durante la pandemia, il consumo di alcolici in Usa è incrementato del 14%, ed il prezzo medio di una bottiglia di vino è cresciuto di quasi un dollaro: da 10,68 a 11.30 dollari. I brand più grandi - sottolinea Colangelo - si stanno appropriando di una sproporzionata fetta di mercato, ed il 49% delle cantine americane stanno spostando i budget marketing verso attività digitali come eventi virtuali e social media. Passando al vino italiano, nelprimo semestre 2020 è al primo posto per valore, con una quota di mercato tra i vini importati del 35,3%, e volume (29,1%), con una crescita del +1,8% sul 2019, anche in virtù dei dazi che hanno affossato i vini di Francia (-25,3%), Spagna (-12.3%) e Germania (-39,3%)”.
Se il mercato è tutto sommato stabile, a cambiare è soprattutto il contesto, con tre grandi trend che guadagnano spazio. “Si assiste - riprende Gino Colangelo - ad una convergenza tra commercio e comunicazione, con i siti di e-commerce che hanno bisogno di contenuti ed i grandi media che si buttano sull’e-commerce, mentre i retailer promuovono corsi e formazione. L’e-commerce, intanto, ha fatto un salto avanti notevole, e non tornerà certo indietro: oggi vale il 12-15% degli acquisti, per una spesa media di 60-70 dollari, e sono più del 70% i consumatori che fanno acquisti sul web, ed hanno tutta l’intenzione di continuare a farli. Un cambiamento che impatta anche sul rigido Three-tier-System, che adesso scricchiola, perché le aziende non possono passare sempre e solo per gli importatori, esistono canali diretti, come abbiamo visto, sia di comunicazione che di vendita, capaci di rimettere in discussione un intero sistema. Ma non è tutto positivo, anzi, ci sono ostacoli enormi oggi sul mercato Usa: l’Horeca è in difficoltà, specie la fascia alta, e per i vini di qualità è un bel problema. Il lavoro dei retailer, comunque, resta fondamentale, e in questo momento è quasi azzerato, non ci sono eventi di promozione, i più giovani acquistano senza prestare troppa attenzione, mentre i messaggi salutisti frenano i consumi e l’approccio al vino. Le opportunità - continua Colangelo - passano proprio per l’online, la tecnologia al servizio dell’e-commerce, le vendite retail, la crescita della fascia premium e il vantaggio competitivo guadagnato dall’Italia in questi mesi. È nelle pieghe di questi cambiamenti che si trovano le possibilità per le aziende del vino italiano, che devono imparare a raccogliere e analizzare i dati, comunicare alla propria audience, tornare, quando sarà possibile, ad accogliere i wine lover in cantina, diversificare i canali di vendita, ricollocare i budget delle trasferte in iniziative di digital marketing, lavorare con importatori e distributori per degustazioni virtuali ed iniziative di branding, coprire tutta la propria base di consumatori, fare promozione in maniera collettiva”.
Nella Cina che sta tornando alla normalità, racconta Simone Incontro, alla guida di Veronafiere Asia, “e oltre alla preoccupazione c’è voglia di ripartire, da Shenzhen, città giovanissima che ha voglia di ricominciare, e dove siamo di base. Oggi valgono ancora di più qualità e comunicazione, in un Paese in cui i consumi medi di vino sono appena a 1,2 litri l’anno a persona, con l’Italia al quarto posto tra i Paesi fornitori, con numeri a dir poco tragici. Tra gennaio e maggio le spedizioni sono scese a 5,34 milioni di dollari, in calo del 36%, per una quota di mercato del 7% ed un prezzo medio al litro di 4,34 dollari, mentre a giugno si è registrato un leggero rimbalzo dei valori, che non ferma comunque l’emorragia dei volumi. Dobbiamo ancora imparare a comunicare nel modo giusto in Cina, utilizzando gli strumenti adeguati. Ad esempio, è Baidu il primo motore di ricerca, non certo Goggole, e il primo ed unico (o quasi) social è WeChat, da cui passa buona parte della comunicazione. Gli importatori creano gruppi WeChat, ne usano uno per città, o per territorio, si tengono in contatto e fanno marketing così”. Tra gli ultimi eventi, organizzati qui da Veronafiere, “la “Italian Wine Week”, che si è tenuta in tre città a settembre, e ha smarcato il vino italiano dalla ristorazione italiana. Ci vuole una comunicazione diversa, specie per i giovani, che consumano vino, ma mangiano di tutto, e scovarli è difficilissimo. Alla fine, il vino va venduto, e durante il prossimo evento, “Wine 2 Asia”, usando le differenti piattaforme, spingeremo - come Vinitaly e insieme a Ice - per lavorare con gli importatori su degustazioni e vendite online, aiutando davvero le aziende medie e piccole, perché i giganti dell’online guardano solo al prezzo, che spesso si ferma a 1,25 dollari a bottiglia. Che vino si può offrire a quel prezzo? Di buono c’è che, durante questa pandemia, il consumatore cinese sta guardando oltre l’etichetta, a cosa c’è dentro, al territorio, al produttore. C’è bisogno dell’offline, di cui l’online deve essere di supporto. I cinesi hanno scoperto i vini bianchi, il Prosecco, i vini rossi diversi da Amarone e Primitivo, sosteniamo con fiere serie e facendo sistema questo momento”.
Altro mercato fondamentale per l’Italia è, invece, quello tedesco, che, come ricorda Konstantin Pechtl, responsabile acquisti della catena Mack & Schühle AG/Weinwelt, “è il quarto mercato per consumi di vino al mondo, ed il primo a volume per i vini importati: 15 milioni di ettolitri, che valgono il 58% dei consumi complessivi di vino in Germania, che vale l’8,5% dei consumi mondiali, con un consumo medio di 24,3 litri pro capite l’anno. Il mercato nel suo complesso vale 7,3 miliardi di euro, 6,2 nell’off-trade e 1,1 nell’on-trade. Più di 3 bottiglie su 4 sono vendute nei supermercati e nei discount, dove passa il 50% del vino venduto in Germania, con Aldi che da sola vale il 46% del canale discount. Il 28% delle vendite avviene nei supermercati, l’8% in azienda e il 14% in bar, ristoranti ed enoteche. I consumi, a volume, sono in calo da anni, ma nel 2020 è previsto un vero e proprio crollo, a 18,78 milioni di ettolitri, cui seguirà un lento recupero, fino al 20,20 milioni di ettolitri del 2025”.
Così come negli altri mercato, riprende Konstantin Pechtl, “e come raccontano le tendenze di Wine Intelligence, a causa del distanziamento sociale si beve più vino a casa, spesso senza accompagnarlo ai pasti, moltiplicando le occasioni di consumo. La spesa media è in ripresa, ma rimane ancora inferiore ai livelli pre-Covid. Inoltre, l’e-commerce è in forte crescita, e il consumatore si è ormai abituato ad acquistare vino online. Peccato però che si rifugino sempre più spesso nelle loro zone di comfort, e quindi nelle solite etichette conosciute. Quando le misure di contenimento, lockdown o meno che sia, verranno allentate, la gente avrà comunque poca voglia di situazioni affollate, e se ne dovrà tenere conto, così come molte cantine dovranno sopperire in qualche modo al calo della vendita diretta. Senza dimenticare che la crisi economica lascerà nelle tasche dei consumatori meno soldi, anche per il vino. Intanto, con le chiusure di questi mesi la situazioni per molti bar e ristoranti si fa sempre più drammatica, molti non riapriranno più, e la cucina di alta qualità farà più fatica della media. A pagare saranno soprattutto i vini di fascia più alta e le piccole cantine, specie perché gli acquisti si spostano su Gdo e prezzi più bassi”, conclude il responsabile acquisti della catena Mack & Schühle AG/Weinwelt.
A giocare un ruolo chiave nel processo continuo di internazionalizzazione del vino italiano, che avrà bisogno di una bella sterzata per assecondare i cambiamenti e guidare la crescita futura, è l’Ice - Istituto per il Commercio Estero, nel cui Cda siede anche la vignaiola siciliana Josè Rallo.
“L’Ice è un macchina da guerra, ma da potenziare. C’è un “tema Paese” molto forte: da italiani non riusciamo a fare sistema, né tra privati né in sinergia col pubblico. Le linee guida dell’Ice sono improntate alla modernizzazione, verso la diplomazia economica. Che passa per le Ambasciate e gli uffici Ice nel mondo, che da qualche tempo collaborano insieme. Non solo logisticamente, ma nello scambio di dati ed informazioni, oltre che in nuove sinergie. Un lavoro importante, specie dove la politica decide dei flussi commerciali, attraverso dazi o accordi. Altro tema interessante, la comunicazione: il made in Italy di eccellenza tra moda, meccanica e agroalimentar è simbolo di appeal e capacità, che attira consumatori di tutto il mondo, una comunicazione integrata, tra cultura e prodotti, sarebbe cosa buona e giusta, ci sono fondi già stanziati per il 2021. Abbiamo parlato finora attraverso degli intermediari, come il canale Horeca, ma in questa epoca imparare a comunicare direttamente al consumatore finale, sfruttando il digitale, in maniera innovativa e diversa, potrebbe rivelarsi fondamentale”.
In questi mesi, riprende Josè Rallo, “le parola chiave della strategia Ice è stata “digitale”: tutta la strategia delle attività promozionale è stata rimodulata in questo senso, che a volte è l’unico modo per entrare in contatto con mercati e consumatori finali. Nasce così Fiera Smart 365, in cui ci si incontra solo in digitale, una piattaforma che sarà presente anche alle principali fiere. E il vino, come si fa a far assaggiare sul web? Sembra strano, ma crescono sul canale online corsi di sommelier ed occasioni di formazione e aggiornamento. L’impegno dell’Ice, qindi, è forte anche sul fronte dell’e-commerce e dei market place, con attività di supporto a chi vuole iniziare a vendere sul web, e accordi con i principali market place (Amazon, Alibaba) con cui Ice ha preso accordi come se fossero grandi catene della Gdo. Per la prima volta verranno assunti giovani collaboratori con conoscenze digitali e prettamente tecniche scientifiche, per evolversi nelle competenze e metterle al servizio delle imprese. Nel 2020 Ice garantisce la gratuità del servizio alle imprese con meno di 100 dipendenti, ossia quasi tutte quelle del vino. Puntare sul commercio estero è vitale, oggi si fa in modo diverso, digitale ed e-commerce cambiano il modo di vendere e comunicare, e ci auguriamo che la campagna sulla bellezza del made in Italy arrivi presto, per trainare tutti i comparti. E poi, che si faccia sistema, sia come settore che tra settori diversi: siamo tutti dei simboli e tutti indispensabili l’uno all’altro, il vino alla moda, il Parmigiano alla Ferrari, con la cultura - conclude Josè Rallo - come filo conduttore che ci aiuta ad essere al centro e nel cuore dei consumatori di tutti i Paesi del mondo”.
Infine, a fare un bilancio globale sul momento che sta attraversando il vino italiano, tra difficoltà ed opportunità, il direttore generale Ismea Raffaele Borriello. “Il vino è un settore che ha dato molto, in termini economici e di occupazione, e che ha tenuto, grazie a una ripresa importante in Gdo, con acquisti domestici al +8% nei primi 9 mesi. Anche all’estero si registra una crescita importante dopo la fine del lockdown, anche perché in Usa i dazi non ci hanno colpito. In prospettiva, il primo elemento da considerare è l’incertezza, che gioca a sfavore di chi fa impresa. Intanto, per la durata della pandemia, e poi per l’andamento dell’economia globale che, al netto della Cina, vive una riduzione del Pil a due cifre. E questo comporta un calo della domanda, che il made in Italy potrebbe scontare. E ancora, gli effetti delle politiche dei Governi mondiali sul contesto: il recovery fund sembrava cosa fatta, e invece siamo ancora in attesa, anche di capire come verranno usati”.
Ci sono anche le opportunità, “la prima proprio connessa al recovery fund, a patto che venga strutturato bene. E poi dobbiamo affrontare i problemi atavici, come quello della manodopera, ed altri, che limitano lo sviluppo delle imprese. In questo periodo, le iniziative del Governo stanno dando risultati importanti, mi riferisco alla decontribuzione ad esempio, che ha consentito alle imprese di continuare a finanziare i cicli produttivi. Oggi però ci vogliono investimenti, che nell’agroalimentare sono in calo del 40% dal 2006 a oggi. Una minaccia che si profila, quando finirà la pandemia, è quella della competizione con i prodotti nazionali sui mercati esteri. Su questo fronte sono state messe risorse importanti per sostenere le promozione, e anche grazie a Ice si può dare un qwimpulso nuovo. Ma dobbiamo preoccuparci anche di come i nostri prodotti arrivano all’estero: il tema della logistica, evocato da tutti, ha bisogno di un piano serio, ne va della competitività del settore. Il 90% dell’ortofrutta viaggia su gomma, altro che monopattini ...”.

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