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Dopo il tabacco, l’alcol: da Dublino la proposta, che piace alla Commissione Ue, di inserire gli avvertimenti sulla salute anche in bottiglia. A WineNews la levata di scudi del vignaiolo Charrère, del nutrizionista Calabrese e della sociologa Colussi

Italia
Alcol come tabacco ... la levata di scudi del vignaiolo Charrère, del nutrizionista Calabrese e della sociologa Colussi

Dopo il tabacco, l’alcol: nel mirino del più salutare dei Governi Ue, quello irlandese, che dopo una lunga battaglia, iniziata nel 2008, è riuscito a portare sui pacchetti di sigarette di tutta Europa immagini abbastanza shockanti da far dubitare persino il fumatore più incallito, adesso finiscono i superalcolici. Dublino, a dicembre 2015, ha adottato una nuova legge sulla salute pubblica che, per le sostanze alcoliche inebrianti, ha introdotto stringenti divieti promozionali (su mezzi pubblici e vicino alle scuole), divieti di sponsorizzazione, prezzo minimo imposto (pari a 10 centesimi per ogni grammo di alcol), possibilità di divieti di vendita sottocosto durante un periodo limitato (il che vuol dire la messa al bando, potenzialmente, dell’happy hour, ndr) e, soprattutto, l’obbligo di avvertenze sulla salute.

La proposta è ancora in discussione in Irlanda, ma ha già incassato il plauso del Commissario Europeo per la Salute e la Sicurezza Alimentare della Commissione Juncker, il lituano Vytenis Andriukaitis, convinto che “migliorare l’etichettatura può aiutare ad essere consapevoli dei rischi”, e pronto a lanciare per l’inizio del 2017 una proposta Ue per l’indicazione di ingredienti e calorie sulle bottiglie di superalcolici, senza chiudere a misure ancora più drastiche. Ovvio, allora, che la mente vada ai pacchetti di sigarette, e che la paura di molti, tutt’altro che infondata, sia quella di vedere, in un futuro prossimo, immagini shock anche in bottiglia. Timore che sfiora anche i produttori di vino, che pure dovrebbero essere al riparo, perché la riforma irlandese è una modifica delle leggi del 2003 e del 2008 conosciute come “liquor acts”, in cui per “liquor” si intende “distillato”, per cui non solo il vino, ma anche la birra ed il sidro dovrebbero essere “al sicuro”.
Il problema, però, non è esclusivamente legislativo, ha anzi risvolti politici, culturali e sociali, specie se dovesse riguardare il mondo del vino, come sottolinea una voce storica della viticoltura indipendente del Belpaese, quella di Costantino Charrère, simbolo della Valle d’Aosta enoica con Les Crètes, che a WineNews sottolinea come la strada intrapresa dall’Unione Europea sia “particolarmente fiscale e rigida, non solo sulla tematica della tutela della salute pubblica e quindi sui consumi di alcol, ma in tutti i campi, ed appare una strada incontrovertibile. Ci vuole, da parte del mondo del vino, una presa di coscienza, che a mio modo di vedere non c’è mai stata in termini propositivi. Si dovrebbe prendere coscienza di una deriva che dovrebbe essere ridirezionata all’interno di una dinamica che tenga conto del fatto che i Paesi produttori, e quindi Italia, Francia e Spagna rappresentano la storia e la cultura delle produzioni agroalimentari, quindi dovrebbero, insieme, dare degli indirizzi più precisi: la demonizzazione e l’equiparazione del vino alle droghe leggere (come il tabacco, ndr) è un concetto insostenibile ed inaccettabile. Il vino - continua Charrère - rappresenta la civilizzazione del mondo, ha accompagnato l’uomo nel processo di civilizzazione, e inteso come alimento non ha mai creato danni a nessuno, né dei turbamenti nelle dinamiche socioculturali, e come tale dovrebbe essere considerato. Purtroppo il mondo del vino non ha mai avuto questa presa di coscienza, per cui ci ritroviamo con delle norme che ci piovono addosso e danneggiano il nostro sistema, creando danni di carattere identitario ed economico. Si dovrebbe prendere in mano la situazione portando il vino, come alimento, all’interno di un’educazione scolastica, per far capire quali sono le valenze positive e quali le accezioni negative legate all’abuso. Senza dimenticare che il vino è anche cultura, e mi chiedo che cultura si faccia nelle scuole se queste dinamiche non sono affrontate né proposte. Si deve ripartire da qui, e non tanto dalle dinamiche meramente commerciali, anche e soprattutto - conclude il vignaiolo valdostano - per restituire al bacino del Mediterraneo la centralità che sta ormai perdendo, specie in termini culturali, con il vino che ha, in questo senso, un enorme valore identitario”.
E di cultura parla anche Giorgio Calabrese, nutrizionista del piccolo schermo che non perde occasione per ribadire l’importanza del vino come alimento fondante della dieta mediterranea. “Non sono assolutamente d’accordo con la proposta avanzata dall’Irlanda - spiega Calabrese a WineNews - innanzitutto perché, così come per le sigarette non c’è stata alcuna diminuzione se non per motivi economici, e non certo per le campagne di terrore, nel caso dell’alcol bisogna distinguere il concetto di alcol inteso come bevanda alimento dall’alcol come bevanda dissetante. Chi beve l’alcol al posto dell’acqua commette un errore, perché l’alcol è spesso fatto per l’85-90% da acqua (vino e birra), ma il resto è alcol, e nei superalcolici la proporzione diventa anche del 60% di acqua e 40% di alcol, e allora dobbiamo capire che il fumo fa sempre e comunque male, anche mezza sigaretta, perché ha sostanze nocive ed è un vizio, mentre l’alcol, specie vino e birra, è una bevanda alimento, che se inserita nell’alimentazione in odo equilibrato, giusto e mai a digiuno, dà la possibilità di aiutare il nostro benessere, dando gradevolezza al palato, facendo mangiare meno perché è appagante e quindi facendo un duplice lavoro, protettivo da una parte e de gustativo dall’altra. L’Unione Europea - continua il nutrizionista - vuol far passare spesso concetti assurdi, come non mangiare la carne, non bere vino, senza mai porsi problemi importanti di moralità, perché parte dal concetto che l’aspetto che più conta è quello commerciale, non quello della salute, perché se noi avessimo seguito tutte le indicazione dell’Unione Europea in questo momento saremmo degli anoressici che, a un certo punto, mangiano dei prodotti che arrivano da chissà dove ma che sono ben accetti, non creando problemi economici all’Unione Europea, ed in particolar modo ai Paesi del Nord ed alla loro idea di alimentazione, che non li porta certo ad essere longevi come l’Italia. Dovremo, paradossalmente, adeguarci a coloro che muoiono prima ed imparare da coloro che sono obesi come dimagrire: che siano loro - conclude ironicamente Calabrese - ad adeguarsi a noi, che beviamo un buon bicchiere di vino a pasto, anche se, ovviamente, ci vuole educazione per tutto, anche per l’acqua, perché berne 16 litri al giorno non fa certo bene ...”.
Concetti che tornano anche nelle parole, sempre a WineNews, della sociologa Marilena Colussi, che ricorda come “qualsiasi cosa di cui possiamo abusare nuoce alla nostra salute, dire che esiste un prodotto killer in assoluto, in campo alimentare, vuol dire avventurarsi in un terreno molto complicato, perché posso capire il fumo, ma se parliamo di vino, ovviamente di un vino fatto secondo ogni norma di salubrità, è la quantità che può provocare problemi, non il vino in sé. Quindi - continua la sociologa - se classificassimo un prodotto come pericoloso ci troveremmo a dover classificare ogni prodotto come pericoloso. A me non piace quando un prodotto viene bollato come pericoloso, quando in realtà la pericolosità sta nell’uso che ne faccio, compresi aspetti come le modalità di consumo, l’età, se sono o meno una donna incinta: molto dipende dal consumatore, è ovvio che un ragazzo nell’età dello sviluppo non deve bere, così come la donna incinta. Non si può pensare solo di mettere divieti - conclude la Colussi -c’è bisogno di promuovere la cultura del sano mangiare, così come quella del sano bere, tenendo ben presente che è importante indagare anche le cause dell’abuso, e magari prevenirle, senza dimenticare che anche un approcci sbagliato al cibo è, a suo modo, un abuso”.

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