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E-commerce e vino, possibilità di business o mondi incompatibili? A mostrare le criticità per un prodotto “emozionale”, come quello del nettare di Bacco, di entrare nel web è stato Stefano Setti, commercialista ed esperto di vendite on line

L’e-commerce è un business ancora poco sfruttato dal mondo del vino e sembra essere la strada che molte aziende vinicole vogliono percorrere per aprirsi nuove finestre di mercato. Ma il mondo delle vendite on line non è così “facile ed immediato”, come sembra. Le insidie sono infatti dietro ad ogni angolo. Soprattutto in Italia, dove “la fiscalità gioca un fattore determinante ed un ostacolo forte”. A frenare su una presenza massiccia delle vendite di vino nel web è Stefano Setti, commercialista esperto di e-commerce e curatore della rubrica “L’Esperto risponde” de Il Sole 24 Ore, che evidenzia le criticità di un mondo apparentemente “facile”: “se le vendite di vino on line, in Italia, non sono decollate è perché ci sono troppi vincoli di natura legale e fiscale, difficilmente sormontabili. Per non parlare delle complessità della gestione di vendite on line di prodotti soggetti ad accise”, ha detto dal convegno “Vini della Valpolicella: mercati obiettivo e opportunità dell’e-commerce”, organizzato dal Consorzio di tutela Vini Valpolicella e dove sono intervenuti anche Denis Pantini di Wine Monitor, Olga Bussinello, direttore Consorzio Vini Valpolicella e Marco Sartori, vice presidente del Consorzio, per presentare i primi dati dell’Osservatorio Vini Valpolicella.
“I costi per la gestione della vendita del vino on line in ambito comunitario o extra Ue, diventano troppo importanti - ha continuato Setti - nel senso che bisognerebbe appoggiarsi a rappresentanti fiscali iscritti all’Utf (che hanno la licenza fiscale per la vendita e somministrazione di prodotti alcolici) in ogni singolo Stato dove si commercia il vino. Solo l’apertura di un rapporto fiscale costa 2-3.000 euro, la gestione dell’ufficio commerciale si aggira intorno ai 15.000 euro annui, che, moltiplicata per tutti i Paesi Ue, può arrivare a costare 400-500.000 euro annui, e questo solo per vendere. Se poi ci aggiungiamo la pubblicità su tutte le piattaforme social, i costi lievitano. Bisogna poi contare la poca marginalità su un prodotto come il vino, che all’interno dell’on-line va comunque decurtato anche del prezzo rispetto a quello del mercato normale, per renderlo appetibile. Gli altri Paesi dell’Ue, ed anche molti extra Ue, non hanno i nostri stessi problemi fiscali”.
Ma non è una chiusura definitiva, Setti delinea anche le linee guida per avere successo sul web. “Può avere successo in internet il prodotto vino se ben “brandizzato” (cioè solo legato ad un determinato brand) e commercializzato all’interno di siti dedicati appositamente, senza troppa diversificazione del prodotto - dice - perché si rischierebbe di dare poca importanza al prodotto stesso. Al vino, invece, bisogna dargli un’icona particolare.
In un sito di vino, io consiglio di vendere 3 o 4 etichette, guardando alla qualità e alla specificità del prodotto. Prima di buttarsi in un business plan - continua - bisogna capire bene i costi di gestione ed avere un legale ed un fiscale ad hoc per la sola vendita on line, per verificare la giusta normativa che regola le vendite su internet, perché le normative sono molte e complicate. Soprattutto quelle che tutelano il consumatore. Il wine & food nell’e-commerce in Italia vale solo l’1,5% del totale, circa 200 milioni di euro. Questo perché - conclude - nel cibo c’è un valore emozionale importante. Il vino e il cibo si preferiamo andarcelo a prendere con le nostre mani. Con l’on line non c’è contatto con il prodotto”.
Ma l’appuntamento è stato anche l’occasione per fare il punto dei primi risultai dell’Osservatorio Vini Valpolicella, il progetto del Consorzio Vini Valpolicella in partnership con Wine Monitor di Nomisma nato nel 2015. “I numeri - ha detto Denis Pantini, responsabile di Wine Monitor - ci dicono che parliamo di un giro d’affari di 700 milioni di euro, è una denominazione in salute che ha come punto di forza l’Amarone (prodotto premium) e il Ripasso come vino apripista nei mercati. I vini della Valpolicella sono forti negli Usa, primo mercato, e in Canada, ma anche in Europa, con Germania, Svizzera e Regno Unito, come mercati principali. Secondo i dati raccolti nelle aziende che abbiamo intervistato - ha concluso Pantini - la propensione all’export viaggia tra il 60 e il 75% e si stanno aprendo nuovi mercati come quello scandinavo, che viaggia in doppia cifra ormai da alcuni anni”.
“Per gestire il rapporto tra domanda e offerta bisognava partire da alcuni dati - dice Olga Bussinello, parlando della partnership con Wine Monitor - per i nostri territori è fondamentale sapere in quali mercati siamo forti e capire le strategie da mettere in atto. Bisogna però ricordarsi di comunicare soprattutto il nostro territorio, che è l’unicità del nostro prodotto. Ma per comunicare bene il territorio, bisogna legare la vendita di vino con azioni di incoming. Esaminando poi le dinamiche dei Paesi in cui i vini rossi risultano preferiti - ha concluso il direttore del Consorzio - emerge un graduale cambio della guardia fra Paesi storicamente produttori, che hanno consumi pro capite sempre più bassi, e Paesi in cui si può lavorare molto sulla promozione: gli Usa, in cui il vino rappresenta solo il 10% del totale degli alcolici consumati, e la Cina, che fra i mercati emergenti è quello in più in rapida crescita”.
“Vantare un’origine garantita da un marchio collettivo, come nel caso dei vini Valpolicella - ha concluso Marco Sartori, vicepresidente del Consorzio - rappresenta un vantaggio competitivo importante anche nella Rete. Ritengo che la strategia di comunicazione vincente sia mettere in secondo piano i brand aziendali e puntare sul territorio in particolare sui mercati che non conoscono bene i nostri vini, ma non solo”.

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