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È in salute il vino italiano: nel 2015 su fatturati, occupazione e investimenti (meglio dell’economia nel complesso). Sentiment positivo per il 2016. Così l’indagine di Mediobanca. Cantine Riunite-Giv al top per fatturato, Antinori per redditività

Italia
Mediobanca: nel 2015 il vino italiano cresce di fatturato, export, occupazione ed investimenti

Il vino italiano è in salute, e anche nel 2015 ha performato nettamente meglio dell’economia nazionale nel suo complesso. È uno dei dati che emergono dall’“Indagine sul settore vinicolo” del Centro Studi Mediobanca (http://goo.gl/w2U16O), che arriva puntuale a pochi giorni da Vinitaly (10-13 aprile,Verona, www.vinitaly.com). Secondo cui, preso il 2010 come riferimento, con un fatturato pari a 100, quello del vino è arrivato nel 2014 a quota 131,6 punti, mentre quello dell’industria manifatturierà si è attestato a 102,6. Stessa dinamica per le esportazioni: quelle vitivinicole sono a quota 146,6 punti, quelle del manifatturiero a 118,7. Dati che emergono dall’analisi dei bilanci e delle interviste di 136 realtà (tra imprese e cooperative) con un fatturato superiore a 25 milioni di euro, che nel 2014, in aggregato, hanno sviluppato un fatturato pari a 6,2 miliardi di euro, e un tasso di rappresentatività del 59,4% in termini di produzione.
Nel 2015, il fatturato è cresciuto del 4,8% sul 2014, grazie alla crescita delle esportazioni (+6,5%), ma anche delle vendite del mercato domestico (+3,1%), in netta controtendenza rispetto all’intera manifattura del Belpaese, (-2,6%) e dell’industria alimentare (-0,8%). E anche se il 2015 si prospetta per il vino come uno degli anni a crescita più modesta negli ultimi 5, le vendite del settore sono state superiori del 31,6% rispetto ai livelli del 2010 (primo anno in cui si sono sentiti in maniera pesante gli effetti della crisi) sono state superiori, l’export del 46,6%, e il fatturato domestico del 18,7%.
Con le imprese private che sono cresciute del 5,8% sul 2014 (+7,5% l’export), meglio delle cooperative, a +3,7% (+5,1% l’estero). Mentre tra le tipologie la crescita maggiore è stata quella degli spumanti, a +10% nel complesso (15,2% le esportazioni), ma positiva è stata anche la perrformance dei vini fermi, a +3,7% (+5,1% all’export).
Risultati che hanno incoraggiato gli investimenti, cresciuti nel complesso del 17,9% sul 2014 (con punte del 37,2% nel settore della spumantistica), compresi quelli in pubblicità, anche in Italia, a +2,1%, soprattutto grazie al web. E che hanno portato anche ad un aumento dell’occupazione nel settore, cresciuta del 2,4% sul 2014, meglio dell’industria in senso stretto (+1,4%).
Tra le singole realtà, nel 2015, Cantine Riunite-Giv si conferma prima per fatturato (547 milioni, +2,7% sul 2014), seguita da Caviro, che flette del 4,4% a 300 milioni, e da Antinori che guadagna l’8,7% a 202 milioni, primo gruppo non cooperativo; in forte crescita Zonin (+14,3%) che con 183 milioni si porta dalla settima alla quarta posizione; Mezzacorona con 175 milioni (+2,1%) si conferma in quinta posizione; la divisione vini della Campari è sesta con 171 milioni, ma paga la crisi russa e perde il 18,2%; seguono nell’ordine, la cooperativa Cavit a 167 milioni (+1,9%) al n. 7, la Fratelli Martini a 162 milioni (+1,2%) al n. 8, Botter a 154 milioni (+12,5%) al n .9, e la Italian Wine Brands con 145 milioni (+4%), mentre il record della crescita spetta alla cooperativa La Marca, (+25,1%), seguita dal Ruffino (+17%), La Gioiosa (+16,7%), Zonin (+14,3%), Botter (+12,5%), Frescobaldi (+10,7%) e dalla cooperativa veronese Collis (+10,2%). Sul fronte della redditività, invece, al top ci sono Antinori (utile su fatturato al 18,8%), Frescobaldi (17,5%), Santa Margherita (12,1%), Botter (10,9%), Ruffino e Masi (10,2%), mentre la maggior propensione all’export vede in testa la Botter, che realizza all’estero il 94,5% del proprio fatturato, seguita dalla Ruffino (93,1%), dalla Fratelli Martini (88,8%) e dalla Masi Agricola (88,4%).
A livello di Regioni, Veneto e Toscana sono le più virtuose, per ritorno sul capitale (11,6% e 6,2%) e sugli investimenti (9,9% e 7,5%), propensione all’export (58,2% e 65,8%) e alta produttività (100.000 e 79.000 euro per dipendente).
Numeri che regalano, nel complesso, un cauto ottimismo per l’immediato futuro: per il 2016 il 92% degli intervistati prevede di non subire un calo delle vendite, anche se gli ottimisti (crescita delle vendite superiore al 10%) sono solo il 15%; per contro, appena l’8% attende una flessione dei ricavi. Ancora, il 46% degli intervistati ritiene di non andare oltre il 5% di crescita dei ricavi nel 2016. E sul fronte export la tendenza è la stessa il 94,5% degli intervistati prevede un fatturato in crescita o al più stabile nel 2016 (era l’89,5% nel 2015) ma le attese di crescita superiore al 10% arrivano al 24,3%. I pessimisti (riduzione dei volumi) sono solo il 5,5%. La maggiore quota di ottimisti è tra i produttori di spumanti: il 15% si aspetta nel 2016 di aumentare il fatturato totale di oltre il 10%, percentuale che sale al 35% guardando i mercati esteri.
Un settore, quello del vino italiano, che resta ancora, soprattutto, una questione di famiglia Al controllo familiare, spiega Mediobanca, è riconducibile il 54,1% del patrimonio netto complessivo dell’aggregato. Tale quota si ripartisce tra controllo esercitato in modo diretto da persone fisiche (34%) e tramite persone giuridiche (20,1%). Ove si assimilino alla forma familiare le cooperative, le quali raccolgono 32.700 soci, si aggiunge un’ulteriore quota del 22,7% che porta il totale del patrimonio netto familiare al 76,8%. Il restante 23,2% dei mezzi propri è riferibile per il 14,2% a investitori finanziari (e altre tipologie residuali) e per il 9% a società straniere. In termini assoluti, alle famiglie in senso stretto sono riconducibili mezzi propri per 1,94 miliardi di euro (1,22 miliardi in capo a persone fisiche e 0,72 miliardi a persone giuridiche), alle Coop per circa 0,81 miliardi di euro. I soci esteri detengono un portafoglio con valore di libro pari a 0,3 miliardi di euro. I principali soci finanziari sono così assortiti: banche ed assicurazioni con 352 milioni di euro, fondi con 29 milioni, fondazioni e trust con 61 milioni, fiduciarie con 11 milioni e i restanti 57 milioni rappresentano il flottante di Borsa delle due società quotate, Masi Agricola e Italian Wine Brands.
Tra i player più importanti, a livello patrimoniale, la struttura finanziaria più solida è della Cavit che ha debiti finanziari pari al 19% dei mezzi propri, seguita dalla Frescobaldi (20,2%) e dal Gruppo Banfi (23,6%); è particolarmente elevato l’indebitamento della cooperativa La Vis (quasi 14 volte il rapporto); solo due società presentano un debito finanziario prossimo al fatturato: si tratta della Antinori (93,4%) e del Gruppo Santa Margherita (88,5%), che scontano tuttavia un importante impegno in termini di investimenti nei precedenti esercizi. E, a proposito di investimenti, al top ci sono Frescobaldi (14,5% del fatturato), Banfi (11,6%) e Antinori (8,4%).
Una situazione decisamente florida per il vino in Italia, che riflette un quadro sostanzialmente positivo a livello mondiale, come dimostra “l’indice di Borsa mondiale del settore vinicolo” realizzato da Mediobanca, che da 2001, è cresciuto del 449%, ben al di sopra delle Borse mondiali che hanno segnato un più modesto progresso dell’86%. Ma bisogna scegliere Paesi (e società) giusti: in Nord America il vino ha reso 7 volte la borsa nazionale, quasi il doppio in Francia, il 65% in più in Australia e il 35% in Spagna. In controtendenza invece Cina e Cile, che rispetto alla borsa nazionale hanno registrato performance fino al 50% inferiori.

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