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ECCO CIBUS: LO STATO DELL’ARTE DEL GUSTO ITALIANO NEL SALONE DELL’ALIMENTAZIONE DI PARMA (10-13 MAGGIO). FEDERALIMENTARE: “NEL 2010 L’EXPORT TORNA A SALIRE, IL PEGGIO SEMBRA PASSATO”. MA SI PARLA ANCHE DI OGM E DI MENU CON POCHE CALORIE AL RISTORANTE

All’insegna dell’ottimismo, pur con la consapevolezza che esistono tante difficoltà: ecco la partenza di Cibus 2010, il salone internazionale dell’alimentazione di Parma (2.500 espositori, 60.000 operatori in visita, di cui il 20% dall’estero, 1.000 buyers “invitati e finanziati” da Fiere di Parma). A portare un po’ di sereno è stato il presidente di Federalimentare, Gian Domenico Auricchio, nell’assemblea annuale, ormai tradizionale appuntamento del salone: “nel 2010, grazie alla spinta propulsiva dell’export, il settore sta virando verso la ripresa. Nel primo bimestre le esportazioni alimentari sono tornate a crescere, segnando un +2,5% che ci aiuta a compensare la flessione dei consumi interni (-2%). È il primo segno positivo registrato dal settore alimentare dopo oltre un anno e mezzo. Forse è il segnale che il peggio è oramai alle spalle”. E, proprio l’export, e come migliorarlo per le imprese alimentari italiane, sarà il leitmotiv. Un’esigenza, quella di conquistare sempre maggiori spazi all’estero, avvertita anche dalle aziende centenarie del Paese, da Barilla (pasta) a Gancia (vino), da Negroni (salumi) a Ponti (aceto) e così via, fortemente orientate all’export, anche il 60% in più della media nazionale, come rivela la ricerca “100x100 made in Italy” di Federalimentare, con l’incidenza delle esportazioni sul fatturato passata dal 12% del 1980 al 26% di oggi.
Ma a Parma si parlerà anche di consumi fuori casa, di grande distribuzione, e grande protagonista sarà il gusto d’eccellenza, nelle mille interpretazioni che offre il Belpaese, con la “Piazza dei Prodotti Dop e Igp”, dove 69 Consorzi italiani esporranno i principali prodotti alimentari a denominazione d’origine, e vere rarità dal resto del mondo. E domani anche il lancio di “Prendi il volo con i sapori originali italiani”, con Alitalia, Buonitalia e Aicig (Associazione Italiana Consorzi Indicazioni Geografiche), che illustreranno la nuova ristorazione di bordo della “classe magnifica”, ideata e realizzata con il patrocinio del Ministero delle Politiche Agricole.

Focus - Cosa ha detto Giandomenico Auricchio, a capo di Federalimentare
Un 2009 complesso per l’industria alimentare italiana che, comunque, evidenzia la sua capacità di tenuta in un momento difficile per l’economia nazionale. Lo dimostrano i dati presentati a Parma in occasione dell’assemblea annuale di Federalimentare: nel 2009, rallentano i consumi interni e la produzione, ma già dai primi mesi del 2010, grazie alla spinta propulsiva dell’export, il settore sta virando verso la ripresa. “Nel primo bimestre 2010 - ha spiegato Gian Domenico Auricchio, Presidente di Federalimentare nella sua relazione di avvio dei lavori dell’assemblea - le esportazioni alimentari sono tornate a crescere, segnando un +2,5% che ci aiuta a compensare la flessione dei consumi interni (-2%). È il primo segno positivo registrato dal settore alimentare dopo oltre un anno e mezzo. Forse è il segnale che il peggio è oramai alle spalle. Certamente è la conferma della vocazione internazionale dell’Industria alimentare italiana e del suo ruolo di alfiere del nostro Paese nel mondo. A questo proposito constato con piacere e grande soddisfazione che lo spirito del settore che rappresento sembra tendere all’ottimismo. È lo scenario che emerge dalla ricerca “100X100 Made in Italy”, realizzata dal Centro Studi Federalimentare in cui abbiamo analizzato il “sentiment” di 100 nostre imprese centenarie. Scoprire che l’81,3% di queste aziende guarda al futuro con “moderata fiducia” - o addirittura con la certezza che la ripresa dell’economia è ormai vicina - dà ulteriore forza e coraggio a tutte le aziende del nostro comparto.
Ottimismo confermato anche da un altro importante risultato della ricerca: per 7 aziende centenarie su 10 (il 68,4%) le incertezze dell’economia globale possono anche impattare in maniera positiva sul futuro dell’industria alimentare, perché aprono mercati nuovi e permettono a chi sa osare di conquistare nuove posizioni e quote di mercato. Sono risultati che confermano il valore per la nostra industria del “fattore export”, che abbiamo voluto mettere al centro delle riflessioni di questa nostra Assemblea. Lo è sicuramente per le aziende storiche dell’alimentare che si caratterizzano - come emerge sempre dall’indagine - per una maggiore propensione all’internazionalizzazione: in queste imprese l’export vale il 26% del fatturato, contro il 16,7% della media nazionale.
Ma lo è anche per tutta l’industria alimentare se è vero che proprio dall’export arrivano, nei primi mesi 2010, i segnali più promettenti. In questo quadro così complesso, l’industria alimentare si conferma secondo settore produttivo del Paese con un fatturato pari a 120 miliardi di euro. La produzione alimentare ha mostrato una sostanziale tenuta che ha esaltato ancora una volta le sue doti anticicliche. Il trend produttivo 2009, pur in calo, si è attestato al -1,5%. Il 2010 è iniziato meglio: nel primo bimestre, la produzione è aumentata del +2% e l’anno dovrebbe vedere il ritorno della produzione alimentare in prossimità dei livelli del 2008, vicino quindi ai massimi storici raggiunti dalla nostra industria. Malgrado le flessioni di questo ultimo periodo, l’industria alimentare evidenzia, sul passo lungo, performances decisamente più brillanti rispetto al totale industria del Paese: nell’ultimo decennio la produzione alimentare segna infatti una crescita del +10,1%, a fronte dell’arretramento del -18,6% del totale industria nazionale.
Per i consumi, invece, osserviamo una dinamica 2009 con preoccupanti flessioni che purtroppo permangono anche ad inizio 2010. In media d’anno, i consumi alimentari hanno totalizzato un calo in quantità del -3,6%, il peggior dato degli ultimi decenni, che fa seguito al già negativo -2,9% del 2008. Le esportazioni 2009 del settore hanno segnato un calo di solo il -4,9% sull’anno precedente: un dato che evidenzia il netto vantaggio accumulato dal trend di settore rispetto a quello del totale Italia, che ha chiuso l’anno con una diminuzione del -21,4%. Ma il dato più incoraggiante viene da questo inizio 2010: il primo bimestre ha evidenziato un promettente +2,5%”.
Parlando dell’internazionalizzazione, Auricchio ha precisato che “la riconosciuta capacità del nostro made in Italy alimentare di vincere sfide importanti sui mercati internazionali, anche in anni difficili come quelli che stiamo vivendo va sostenuta con politiche e strategie adeguate, di promozione e di tutela. Servono da un lato nuove risorse per l’internazionalizzazione, mirate a favorire la competitività delle nostre imprese all’estero e dall’altro, un sistema istituzionale più coordinato ed efficiente che eviti sprechi e inutili duplicazioni di competenze e di livelli amministrativi.
Il made in Italy alimentare deve, infine, per crescere come merita, appropriarsi di quella fetta di mercato che gli viene sottratta da imitazione e contraffazione. È necessario ristabilire gli equilibri all’interno della filiera, che nell’ultimo decennio ha visto l’industria perdere sensibilmente peso all’interno della catena del valore. Grande Distribuzione e Industria sono due facce della stessa medaglia e non possono esistere l’una senza l’altra. È per questo che ormai da due anni abbiamo avviato un percorso per giungere ad un protocollo d’intesa tra Federalimentare, Federdistribuzione, Ancc-Coop e Ancd-Conad, finalizzato ad instaurare un dialogo permanente, regole condivise e una camera di conciliazione e sono fiducioso che presto saremo in grado di ratificare un accordo capace di dare nuovo slancio all’intera filiera. Riteniamo assolutamente adeguato il sistema attuale di regole europee in fatto di etichettatura d’origine. È una legislazione coerente alle norme del Codex Alimentarius (Fao, Oms) e agli accordi internazionali (Omc), che risulta idonea a tutelare il consumatore senza penalizzare le esigenze di produzione. Non v’è alcun bisogno di introdurre ulteriori requisiti, il cui principale effetto sarebbe quello di aumentare i costi di produzione e perciò inevitabilmente anche i prezzi al consumo degli alimenti, senza produrre vantaggi per il consumatore finale. L’origine degli ingredienti, non mi stancherò mai di ripeterlo, non ha nulla a che vedere con la sicurezza e la qualità. Ciò che contraddistingue la qualità alimentare italiana è la ricetta, la sapiente e accurata selezione delle materie prime - nazionali o all’occorrenza estere - e la loro lavorazione, non certo la provenienza delle materie prime utilizzate.
In fatto di sicurezza alimentare - ha poi proseguito Auricchio - l’Industria alimentare non ammette arretramenti: 60.000 addetti dedicati, investimenti per oltre il 2% del fatturato (2,5 miliardi di euro l’anno), e 1 miliardo di analisi di autocontrollo ogni anno, in media 400 al giorno in ciascuna delle nostre aziende alimentari. Un autocontrollo aziendale che si affianca ai controlli pubblici ufficiali, che si traducono annualmente in 700.000 ispezioni e analisi ad opera delle numerose amministrazioni e autorità territoriali coinvolte.
Federalimentare crede fortemente nell’Expo 2015, quale volano dell’internazionalizzazione del nostro made in Italy. Il tema prescelto per l’Expo 2015 “Feeding the Planet, Energy for Life” rappresenta un’opportunità unica di promozione dell’industria alimentare italiana e di valorizzazione delle eccellenze imprenditoriali, produttive e scientifiche che il nostro settore può senz’altro vantare”.

Focus - Capitolo “tarocchi”
In tutto il mondo copiano i prodotti alimentari italiani, ma, sottolinea Federalimentare, negli Stati Uniti e in Canada le imitazioni sono più diffuse che altrove, tanto che si accaparrano il 40% dei 60 miliardi di fatturato che viene dal falso made in Italy a tavola. Se in genere - secondo lo studio di Federalimentare - nei supermarket di tutto il mondo per un prodotto autentico italiano, ce ne sono tre contraffatti, questo rapporto sul mercato nordamericano diventa di 1 a 8. Usa e Canada sviluppano infatti complessivamente 24 miliardi di euro di fatturato “italian sounding”, su un export dei prodotti alimentari autentici di 3 miliardi di euro. In Europa invece il business dell’imitazione tocca complessivamente i 26 miliardi di euro, su un export che vale circa 13 miliardi di euro (quindi, per ogni prodotto autentico, ne esistono 2 taroccati). Negli altri Paesi l’Italian sounding vale 10 miliardi di euro, su un export dei prodotti made in Italy che vale 4 miliardi di euro. I prodotti più copiati in Usa e Canada sono senza dubbio i formaggi: solo il 15% è autentico. In particolare sono imitati il 97% di mozzarelle e provoloni, il 96% del parmigiano reggiano grattugiato e il 95% delle ricotte. Profumo di... bruciato anche per i sughi della pasta, falsi nel 97% dei casi. Ai consumatori Usa - sottolinea Federalimentare - vengono proposti con accattivanti nomi ispirati a personaggi italici famosi in tutto il mondo, sia del passato (il sugo “Da Vinci”) che del presente (“Gattusò”). “Contadina” o “Duomo” sono invece intitolati i falsi (8 volte su dieci) pomodori in scatola. Largamente imitate (94% dei casi) anche le conserve sott’olio o sott’aceto. Va un pò meglio agli oli d’oliva (solo una quota dell’11% di imitazioni) e alla pasta (28% di falsi).

Focus - Ogm: il Commissario alla salute Ue John Dalli: “scienza sì, ma non ad ogni costo”. Il Ministro della Salute Fazio: “bisogna tutelare i consumatori. Serve un confronto sereno, ma vogliamo tutelare tipicità dei territori”
A Parma, in Cibus 2010, si è parlato anche di Ogm, tema caldo per l’agroindustria italiana e mondiale. “Sì alla scienza ma non ad ogni costo. L’innovazione ha bisogno dei valori della società, deve creare evidenti benefici per i consumatori. L’impegno che voglio portare avanti è quello di gestire l’innovazione”. Parole del commissario europeo alla Salute John Dalli nel convegno “Possono scienza e innovazione creare una catena alimentare sostenibile?”. Dalli ha sottolineato che ai consumatori “vanno date più informazioni sugli Ogm, poi la scelta sta a loro”. Sugli Ogm in ogni caso, secondo Dalli “ci vuole un dibattito più razionale”. E la pensa così anche il Ministro della Salute Ferruccio Fazio, che non chiude alla sperimentazione e alla ricerca: “fino ad adesso la logica degli Ogm è stata una logica distesa intesa soprattutto a semplificare le produzioni riducendo i costi. Questa non è una logica indirizzata ai consumatori. Penso invece che la ricerca debba andare verso l’innovazione in una logica indirizzata al consumatore per avere cibi più digeribili e sostenibili con un minore contenuto calorico, ma che al tempo stesso siano graditi al consumatore e soprattutto mantengano inalterate la caratteristiche del territorio.” Secondo Fazio l’attuale normativa Ogm va nella direzione di un discorso di globalizzazione e appiattimento della catena alimentare. “Noi invece vogliamo mantenere la tipicità del territorio. Motivo per cui lavoriamo con Coldiretti e le altre associazioni come abbiamo sempre fatto. In questa logica è possibile impostare un progetto di ricerca e sviluppo. Presto faremo delle proposte a Letta che vadano in questa direzione”. Una filosofia che trova d’accordo la Coldiretti: “gli Ogm spingono verso un modello di sviluppo che è il grande alleato dell’omologazione ed in grande nemico della tipicità, della distintività e del Made in Italy”.

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