Gli health warnings irlandesi che saranno in vigore dal 2026, e che ora richiede anche il Cile, la direttiva imballaggi che parla di riuso e non di riciclo (aspetto su cui l’Italia primeggia), la riforma della Dop e Igp in Europa, a tutela di produzioni di qualità legate ai territori dove il Belpaese, con il vino e con il cibo, è leader nel mondo: sono tanti i dossier europei su cui il settore del vino italiano, ma anche degli aceti e degli spiriti, ha gli occhi apertissimi, perché si parla di tematiche decisive per il futuro di un comparto che tra vino, aceti e liquori, muove oltre 20 miliardi di euro, e rappresenta storia ed identità dell’Italia nel mondo. Messaggi arrivati dall’assemblea Federvini, oggi a Roma, aperta dal saluto del Ministro dell’Agricoltura, Francesco Lollobrigida, che ha ricordato come il vino sia “traino per tutto il made in Italy, perché simbolo di eccellenza, di legame con il territorio, di quel modello basato sulla qualità e sul consumo moderato che è sotto attacco da parte di chi vuole prodotti standardizzati e delocalizzabili, per abbattere costi di produzione e accentrare il controllo della filiera e del valore. Cosa contro cui lotteremo, non lasciando da solo nessun settore, vino in testa”. Un settore che, come tutto il made in Italy, “ha il supporto dell’Ice, con tanti strumenti e soprattutto con la partecipazione alla fiere”, ha ricordato il presidente Matteo Zoppas. Ma che deve affrontare tanti dossier, a partire dalla nuova ondata di “proibizionismo”, come è stata definita, e che vede nell’introduzione degli health warning sulle bottiglie degli alcolici in Irlanda una sorta di nuova pietra miliare. Che segna, però, una divisione netta tra visioni del mondo, come ha spiegato Gregor Zwirn, ricercatore associato della University of Cambridge.
“Ci sono due approcci: uno basato sulla promozione della salute e sulla riduzione del danno di certi comportamenti, che dice che il consumo moderato di alcol è compatibile con uno stile di vita salutare, e solo il bere smodato è dannoso, che valuta situazioni e circostanze specifiche, e quindi sul quale si interviene con misure che devono raggiungere chi beve in maniera smodata, e avere il minor impatto su chi beve già con moderazione. Ed è quello che hanno Paesi spesso di stampo cattolico e che non hanno avuto grandi esperienze di proibizionismo, come Italia, Austria, Spagna, Grecia, Portogallo, Francia, Ungheria o Grecia. Un altro approccio è basato sugli assi della popolazione e della salute pubblica - ha detto Zwirn - e associa il consumo pro capite di alcol ai danni da alcol correlati, non fa differenza sui modelli o le modalità o i luoghi di consumo, e qualsiasi misura per ridurre i consumi è buona, ed è prevalente in Paesi che sono intolleranti a certi temi, spesso Protestanti e con esperienze di proibizionismo, come Svezia, Norvegia Finlandia, Uk, Irlanda e Russia, tra gli altri. L’Oms appoggia soprattutto questo approccio, secondo cui non c’è nessun livello sicuro di alcol. Ma d’altronde non ha senso. Non c’è niente a zero rischio per la salute, pensiamo allo sport o alla guida delle auto”. Ma c’è di più, perché, spiega Zwirn, “i nostri studi dicono che i pittogrammi come quelli Irlandesi in etichetta non hanno grandi effetti sul cambiamento dei consumi, non danno soluzioni, non dicono come utilizzare un prodotto. Usare health warnings basati sulla paura non vuol dire informare, per esempio, su gli effetti dannosi dell’alcol alla guida o dell’alcol sui tumori. La normativa irlandese sugli health warnings, dunque, non è corretta, parla di correlazione diretta tra consumo e malattie, non dice quanto consumo è associato al cancro e a quali tipi: i numeri dicono che su 200 tipi di cancro il 95% non è associato all’alcol, e che spesso il cancro è una malattia multifattoriale. Quindi ci dobbiamo chiedere se gli health warnings semplicistici, basati sull’effetto shock e sulla paura aiutano ad informare i consumatori, per esempio, o se i consumatori non si ritengono in grado di prendere decisioni in situazioni complesse e quindi vanno in qualche modo spinti, manipolati. In definitiva, non è una battaglia che vede le proprie posizioni basate su dati scientifici, ma su questioni etiche. Su quali sono comportamenti sono considerati cattivi, buoni, tollerati, su cosa è benessere e salute nel suo complesso o meno”. E qui il terreno diventa estremamente scivoloso.
“La scelta irlandese mette sullo stesso piano consumo e abuso, senza intervenire sull’educazione ad un approccio responsabile e moderato - ha commentato Micaela Pallini, presidente Federvini - e quel che è peggio è che si rivelerà sostanzialmente inutile. Sulla questione, l’Italia ha saputo muoversi compatta, istituzioni e imprese, ma dobbiamo ora continuare a fare squadra sul piano internazionale per evitare che il caso irlandese possa indurre altri Paesi a seguire la stessa strada. Le nostre imprese esprimono un patrimonio non solo produttivo, ma anche iconico, per la loro capacità di rappresentare il nostro Paese nel mondo. L’Italia oltre ad essersi imposta a livello internazionale per la sua produzione di vini, spiriti e aceti, è anche un Paese tra i più virtuosi per lo stile di vita, di alimentazione e di consumo moderato. Alla base della decisione irlandese c’è la mancata comprensione che l’abuso si sradica e si combatte con l’educazione, non con il proibizionismo. L’Irlanda e più in generale Bruxelles guardino all’Italia, ai valori della Dieta Mediterranea e alla sua cultura di consumo consapevole”.
In ogni caso, però, gli italiani, quanto meno, si confermano virtuosi, in materia di consumo di alcolici e di vino in particolare, come sottolineato da Bruna Boroni, Director Industry Away From Home di Trade Lab. “Dalla nostra survey su un campione di 1.000 persone, emerge un modello virtuoso, legato ad un consumo limitato di bevande alcoliche, quasi sempre abbinato al cibo, e alla convivialità, e con una elevata consapevolezza degli effetti del consumo eccessivo sulla salute. Soprattutto tra i giovani. Dai dati - spiega Boroni - l’86% degli italiani dichiara un consumo di alcolici molto limitato (37%) e moderato (49%), mentre il 14% dice che qualche volta esagera. Nel 78% dei casi si beve mangiando (33% sempre, 46% nella maggior parte dei casi). Il 98% dice di conoscere molto o abbastanza gli effetti dell’eccesso di consumo di alcolici sull’organismo. Il 52% dice di bere prevalentemente in momenti di convivialità, il 24% negli aperitivi, solo il 4% consuma da solo. L’argomento del consumo consapevole, poi, sta a cuore al consumatore: il 12% è attivo nel sensibilizzare gli altri (quota che sale al 18% tra i giovani), il 30% è sensibile al tema e cerca informazione, il 42% è comunque attento. Il 51% dice anche di volerne sapere di più. E per il 100% dei consumatori è importante fare comunicazione su questo tema, soprattutto sui social”. Un tema importante, quello del rapporto tra salute e alcol, che impatta ed impatterà sempre più, direttamente ed indirettamente sui consumi e sui mercati.
L’educazione al consumo moderato delle bevande alcoliche, in ogni caso, resta una delle mission essenziali di Federvini. Che ha presentato le nuove “Linee Guida sull’autoregolamentazione nella comunicazione commerciale e promozionale delle bevande alcoliche”, un documento organico, realizzato anche con la consulenza dell’avvocato Marco Giuri dello Studio Giuri di Firenze, tra i massimi esperti di diritto del wine & food, che riepiloga le raccomandazioni che tutte le aziende associate devono prendere a riferimento nelle proprie azioni di comunicazione al pubblico. Lo scopo delle Linee Guida è quello di garantire uno standard di comunicazione commerciale e promozionale di bevande alcoliche che sia corretto e trasparente e che promuova modelli di consumo ispirati ai criteri di misura e responsabilità.
“Abbiamo ritenuto fondamentale redigere le Linee Guida di autoregolamentazione nella comunicazione commerciale e promozionale di bevande alcoliche per richiamare quei princìpi e quei valori di promozione del consumo moderato e responsabile, che sono sempre stati parte della mission Federvini. Da questa coscienza, che connota lo spirito delle nostre aziende, nascono le Linee Guida che intendono fornire agli associati uno strumento concreto per la pianificazione di una comunicazione eticamente corretta”, ha ricordato Giuseppe D’Avino, presidente del Gruppo Spiriti Federvini.
La cultura del consumo è stata inoltre al centro dell’iniziativa “No Binge - Comunicare il consumo responsabile” avviata dalla Federazione insieme all’Università La Sapienza di Roma. L’iniziativa è stata presentata da Alberto Mattiacci, professore ordinario di Marketing & Business Management alla Sapienza e da Barbara Herlitzka, presidente del Comitato Aspetti Sociali Bevande Alcoliche Federvini, che ha dichiarato di essere “orgogliosi del successo di questa prima iniziativa che conferma l’importanza di sensibilizzare in particolare i più giovani, sul tema della moderazione. Abbiamo avuto un riscontro estremamente positivo dagli studenti coinvolti che hanno ben recepito il valore educativo di questo progetto. Contiamo di estendere ancora questo perimetro di collaborazione, interessando altre realtà accademiche italiane, con l’auspicio di coinvolgere le istituzioni”.
Comunque sia, però, sul mercato, l’Italia deve giocare la partita della qualità, legata alle sue Denominazioni di origine, elemento trainante per valore e comunicazione per tutto il comparto agroalimentare, vino in testa, come ha ricordato Albiera Antinori, presidente del Gruppo Vini di Federvini, e alla guida della Marchesi Antinori, tra le più importanti aziende vitivinicole italiane. “Il valore delle Indicazioni Geografiche è riconosciuto dal consumatore finale sia sul mercato italiano che su quello estero, facendo registrare un differenziale di prezzo tra vini Dop e quelli da tavola sia in Gdo (+228%) che sul fronte dell’export (+50%). Non solo Indicazioni Geografiche e territorio, tra i driver di scelta dei consumatori assume un ruolo importante anche il brand: a pensarla così sono il 21% dei consumatori, come rivela la consumer survey condotta da Nomisma per Federvini. Raccogliamo con fiducia questi dati, convinti che la strada della valorizzazione sia un percorso a senso unico: solo lavorando sulla qualità intrinseca e sul valore intangibile dei nostri prodotti saremo in grado di mettere al sicuro il nostro settore dalle tempeste che vediamo all’orizzonte. Al Governo chiediamo semplificazione ed un quadro normativo che favorisca la creazione di valore”.
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