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L’INTERVISTA

Enoteca Pinchiorri, la passione non va all’asta. A WineNews parla “re Giorgio” Pinchiorri

Il percorso di una vita, dai suoi “maestri” Gino Veronelli e Beppino Lapi, alla recente asta che ha fatto parlare il mondo del vino

In Italia ci sono undici ristoranti a tre stelle Michelin. In questo pantheon rifulge l’aurea dell’Enoteca Pinchiorri, il tempio dell’enogastronomia, a Firenze, in via Ghibellina.
Dentro questa eccellenza si muove un piccolo esercito di anime ed impegni quotidiani, di ritualità dalla cucina alla sala. Gli chef Riccardo Monco e Alessandro della Tommasina guidano una brigata organizzata, dalla stanza dedicata alla preparazione del pesce a quella della carne, fino a quella dei dessert. Alla direzione della sala, invece, c’è, stabilmente, dal 1995, Alessandro Tomberli, insignito di recente con il premio di miglior sommelier di Italia per “Fifty Top Italy 2020”.
Alla testa di questo piccolo reggimento del gusto e dell’eleganza, composto da cinquantuno dipendenti per un totale di quaranta coperti, ci sono Giorgio Pinchiorri e Annie Feolde. Negli occhi, nei gesti, nei colori di Giorgio e Annie, si celano le visioni che nel corso degli anni, in una storia che prende vita nella seconda metà degli anni Settanta, ha costruito un successo che ha attratto in Italia una clientela internazionale, dai regnanti dei Paesi del mondo in cui ancora esistono linee e discendenze di sangue a regolare i troni fino alle grandi star del cinema; ma in particolar modo degli appassionati di enogastronomia, clienti esigenti disposti ad attraversare la Manica in elicottero per una sera pur di cenare nella “casa” di Giorgio ed Annie.
In questo vortice si aprono le porte del tempio dell’enogastronomia ed anche i cunicoli che portano nei sotterranei, dove il flash delle macchine fotografiche non possono essere messi in funzione per non disturbare un tesoro che può essere considerato mitologico. I vini della cantina dell’Enoteca Pinchiorri. Una roboante collezione di rarità, pregio, massima espressione dell’arte di fare vino ed allo stesso tempo scienza, ma anche ispirazione. Senza imbarazzo di vuoti di annate o di firme importanti nella storia del vino ai suoi massimi livelli, il custode e il demiurgo alla base di un caveaux dal valore inestimabile è Giorgio Pinchiorri.
All’interno del suo regno “a tre stelle Michelin”, Giorgio è un re, che si distingue per entusiasmo e passione ed eccentricità. E che si è raccontato a WineNews (anche in una video intervista che pubblicheremo nei prossimo giorni), dalle origini fino ai giorni nostri, caratterizzati anche dalle grandi aste che hanno visto al centro parte della sconfinata cantina di Pinchiorri.
“I miei maestri- risponde con entusiasmo, Giorgio Pinchiorri - sono stati il “sommo” Luigi Veronelli, che ha insegnato a tutti, e Beppino Lapi (alla guida del Buca Lapi, storico ristorante all’interno di Palazzo Antinori, ndr) che mi ha trasmesso la passione per il vino. Quando guardavo in televisione Ave Ninchi, in bianco e nero, e c’era questo personaggio con il tastevin al collo mi chiedevo che accidenti fosse. In un momento tragico per tutto il mondo, e specialmente per Firenze, cioè il 4 novembre del 1966, quando ci fu l’alluvione, io ero in Buca Lapi che chiuse per mesi, e da allora Beppino Lapi cominciò a trasmettermi la passione per il vino. All’epoca, negli anni Sessanta, vedevo le bottiglie con scritto “Gaja” e pensavo che fosse il nome del vino e non del produttore. Angelo Gaja vedeva già il futuro e voleva imporre il proprio nome e la qualità. Dopo aver svolto il corso, sono diventato primo sommelier d’Italia con un punteggio di cinquantotto e mezzo. Persi un punto e mezzo perché mi chiesero i tre vitigni del Lambrusco, a me che sono di Modena. Mi ricordavo solo Salamino e Grasparossa e non mi veniva il terzo. A causa del Lambrusco non ho fatto il punteggio più alto. Proprio per quel vino che io definisco un “Genio Incompreso” perché dalla cantina al salotto è già sciupato. L’amore per il vino è stata una pazzia all’inizio della storia dell’Enoteca, quando si superavano le 100.000 bottiglie e facevamo 120 coperti al giorno, essendo aperti anche a pranzo”. La storia di Enoteca Pinchiorri inizia diversamente da come poi è andata a cementificare nel mito. Non un ristorante, ma, appunto, un’enoteca. Con le sue prime 3.000 bottiglie e la voglia di portare tanta Francia, ma anche Piemonte, e rarità dalla Toscana. Giorgio ripercorre i primi stadi embrionali dell’Enoteca: “Questo posto nasce come Enoteca, cioè al piano di sotto dove c’è la cantina. Poi è nato il ristorante, grazie ad Annie. La gente veniva ad acquistare il vino poi venne l’idea di dare anche qualche assaggio. Insomma, facevo da mangiare solo a Gianni Mercatali, e altri pochi amici. Poi pensammo al ristorante. Una grande mano, all’inizio della nostra avventura, ce la dette Luigi Veronelli che ci inserì tra i migliori ristoranti, assegnando un suo “Sole”. Nell’1980 siamo entrati nella Guida de L’Espresso, nell’1981 in Guida Michelin, nell’1982 la prima stella, nell’1983 la seconda stella e siamo entrati in Relais & Châteaux, nell’1984 abbiamo avuto, unici in Europa, il Grand Award di Wine Spectator e poi su su. Grazie a tutti i miei collaboratori, in particolar modo a Alessandro Tomberli. L’anima femminile, elegante e francese come una canzone di Edith Piaf, dell’Enoteca Pinchiorri è rappresentata dall’elegantissima Annie Feolde che presidia la sala, si mette a servizio dei suoi collaboratori ed ogni sera si presenta in sala per osservare il balletto che va in scena, in commistione indissolubile tra personale di sala e clientela: “per essere al livello al quale siamo arrivati col nostro ristorante - Annie parla della visione che sta alla base del successo dell’Enoteca - abbiamo dovuto e dobbiamo tutt’ora pensare alla bontà, alla qualità di ciò che serviamo ed a come lo facciamo, contano molto anche le persone che gestiscono la sala. Dobbiamo riuscire a far capire ai nostri clienti americani, quanti buoni vini ci sono in Italia, sapendo però, ciò di cui parliamo. Per lavorare al meglio in un ristorante come il nostro, dobbiamo ricercare prodotti di qualità, buoni al gusto, soprattutto prodotti italiani, in modo da far conoscere ciò che produciamo, poiché tante persone nel mondo non li conoscono. Per noi l’enoteca è come la nostra casa, nacque semplicemente per far assaggiare e vendere vini italiani, ma quando iniziammo a fare successo, cominciammo a migliorarlo sempre di più, fino ad arrivare a dove siamo ora”.
Una vita ad osservare ed ad assaggiare vini da tutto il mondo, il palato di Giorgio Pinchiorri è un archivio storico di annate, vendemmie, capolavori e haute couture enologica. Così, sul cambiamento del settore, del gusto e degli stili di affinamento: “il cambiamento dei vini è coinciso con la tecnica che è cambiata enormemente. Il vino “fatto col cuore e con i piedi” è buono e genuino ma non è un buon vino - dice Pinchiorri - poiché esso non ha a supporto le tecnologie che servono per fare l’alta qualità. Ed anche all’ingresso nelle produzioni dei paesi del “Nuovo Mondo” in cui i vitigni internazionali hanno prosperato. Il Cabernet Sauvignon, ad oggi, può essere della Nuova Zelanda, del Cile, del Sudafrica o della Toscana. Però, insieme alla diffusione di questi vini internazionali, corre in parallelo la diffusione degli autoctoni di ogni paese, specialmente quelli italiani. La vinificazione è cambiata molto nel tempo, anche per il fatto di avere dei mezzi enormi. Se non si hanno i mezzi è inutile piantare l’uva per fare il vino. Oggi ci sono grandi investimenti da tutte le parti; ma anche i piccoli produttori hanno a disposizione i mezzi giusti per fare un grande vino. Tra cinquant’anni ci saranno dei Paesi che daranno noia a tutti. E se nelle grandi Nazioni, ad esempio in Cina o in India, iniziassero ad aumentare il livello di consumo pro-capite, non dico ai livelli della Polonia ma anche solo a quelli d’Italia, non ci sarebbe più vino; non so come farebbero, può darsi che si verificherebbe un abbassamento della qualità. Tuttavia, per fare il vino ci vuole tempo e la quantità non basta. Mentre in sala va in scena la danza del servizio, sincronizzato, in cui almeno tre camerieri per tavolo si occupano di non far mancare niente al commensale e in cucina si preparano i piatti che dettano lo stile e la direzione della cucina contemporanea a livello mondiale, nei piani bassi il caveau custodisce le etichette. Un valore inestimabile è quello che ripete Alessandro Tomberli, non quantificabile economicamente. Nella recente cronaca (che Winenews ha, chiaramente, riportato, ndr), la cantina di Pinchiorri è andata alla ribalta sui titoli giornali perché 2.500 etichette sono state battute ad un’asta di Zachys, per una base di 2 milioni di euro. Dal martello del banditore sono state assegnate etichette mitologiche della collezione “Enoteca Pinchiorri: Legendary Cellar”: Barolo Monfortino Riserva Giacomo Conterno 1978 (2.600-3.800 sterline), passando per le sei bottiglie di Barbaresco Sori San Lorenzo Gaja 2015 (1.200-1.700 sterline) e per le due magnum di Barolo Artist Label Bartolo Mascarello 1990 (1.700-2.600 sterline); i grandi Super Tuscan, come le 12 bottiglie di Solaia 2015 (1.900-3.000 sterline), la jeroboam di Tignanello 1978 (1.300-1.900 sterline), entrambi di Antinori, ma anche la 15 litri di Masseto 2014 (9.500-14.000 sterline); e ancora, tra i tanti lotti in asta, le 12 bottiglie di Sassicaia 2016 di Tenuta San Guido (1.400-2.200); per finire, a Montalcino, con le quattro bottiglie di Brunello di Montalcino Riserva Biondi Santi 1990 (1.400-2.000 sterline).
“Vi racconto la vera storia dell’asta: un mio amico di Zachy’s è venuto a mangiare come cliente. Ha bevuto belle bottiglie - spiega Giorgio Pinchiorri - e mi ha fatto un’offerta per partecipare ad una grande asta a livello europeo. Pensavamo al 2021, considerando che, ad ottobre 2021, sono 50 anni dell’Enoteca e c’era già l’idea di fare un’asta di 7-8.000 bottiglie, ma, anche per aiutare chi ha bisogno. Abbiamo, invece, poi anticipato i tempi ed è stato un gran successo. Da marzo ho passato ore ed ore a guardare e provare cosa ci fosse da dare. Questo mio amico veniva per la prima volta in Europa a fare un’asta, alla fine invece, diminuendo il numero delle bottiglie per lotto, ha accettato di bandire solo i vini di Giorgio Pinchiorri. Ha avuto un bel successo, anche troppo. Perché si sono poi fatti avanti in tanti che non sapevano che io vendevo il vino e sono a caccia di rarità, specialmente francesi ma anche californiane, toscane e piemontesi. Comunque qualora ci fosse bisogno sono disposto a farne un’altra. Mi sono impegnato a garantire gli stipendi a tutto il personale in momenti difficili per l’emergenza Covid e per il futuro ... qualora ci fosse bisogno di fare un’altra asta la farò”.

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