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“Esportare cultura fa bene all’esportazione del vino”: il futuro del vino italiano sui mercati esteri nel convegno by Federazione Italiana Sommelier (Fis): le testimonianze di Riccardo Cotarella, Ettore Riello, Giovanni Mantovani e Angelo Gaja

Per esportare il vino italiano bisogna prima diffondere la cultura che c’è alla base di questo grande prodotto. La cultura del vino è, quindi, il solo elemento in grado di consolidare la riconoscibilità di questa ampia fetta di made in Italy. Esportare cultura rappresenta l’iniziativa principale per garantire delle future certezze, sia nella stabilizzazione dei maggiori mercati di sbocco del vino tricolore, sia nell’approccio alle piazze emergenti. Ecco, in sintesi, i contenuti del convegno “Esportare cultura fa bene all’esportazione del vino”, organizzato dalla Federazione Italiana Sommelier (www.bibenda.it), di scena ieri a Roma, con lo sguardo rivolto all’Expo 2015 di Milano. Un grande evento tematico, cui hanno partecipato Franco Maria Ricci, Angelo Gaja, Riccardo Cotarella, Ettore Riello e Giovanni Mantovani, con l’obiettivo di individuare tutti gli interventi immediati e di prospettiva adatti a sostenere e incrementare il mercato del vino d’Italia, attraverso strategie di internazionalizzazione ad ampio respiro.
La globalizzazione, del resto, non vuol dire standardizzazione dell’offerta e livellamento delle preferenze dei consumatori, ma progressivo sviluppo, spaziale e merceologico, dei sistemi economici, prima circoscritti all’interno di una dimensione nazionale. Sono, quindi, tre gli stimoli alle politiche dell’export: la disponibilità di risorse e beni capaci di realizzare vantaggi competitivi sui mercati internazionali (ownership advantage), l’esistenza di luoghi e spazi favorevoli alla penetrazione delle merci e in grado al contempo di sottolinearne il valore (location advantage) e la capacità di ridurre i costi di transazione, spostandoli dentro le varie strutture organizzative (internalization advantage). Tali impulsi tuttavia, pur esprimendo una sicura efficacia nella dimensione di azienda e in questo caso di cantina, amplificano i loro effetti all’interno di una misura più ampia e di filiera, che non può però più prescindere da una comunicazione di tutti quei valori immateriali alla base delle produzioni enologiche. In tre parole: cultura del vino.
“Manca una cultura del vino - ha spiegato il presidente della Fondazione Italiana Sommelier, Franco Ricci - e l’Expo 2015 sarà un’opportunità di conoscenza dei diversi territori del vino italiano che non possiamo mancare”. Per il presidente del Comitato Scientifico Expo Vini 2015 e Presidente degli Enologi Italiani, Riccardo Cotarella, “nessun prodotto marca un territorio e chi lo abita più del vino. L’Expo 2015, quindi, sarà una grande chance per tutto il comparto. Bisogna riempire 6 mesi con attività, seminari e attrattive. Occorre sfruttare al massimo questa occasione perché si prevedono milioni di visitatori”. In un “Padiglione Vino”, che verrà realizzato e gestito, attraverso Vinitaly, da Veronafiere, rappresentata dal presidente Ettore Riello: “vengo da un altro mondo e con responsabilità sono alla presidenza di Veronafiere, un’importante e strategica realtà economica per lo sviluppo del nostro Paese che saprà dare il giusto risalto a questo fondamentale comparto dell’economia italiana”. Per Giovanni Mantovani, dg Veronafiere e membro del Comitato Scientifico Expo Vino, “bisogna dare al vino, simbolo del made in Italy, la visibilità migliore possibile all’interno dell’Expo al fine di favorire un ulteriore sviluppo dell’export delle nostre aziende”.
È arrivato poi il turno di Angelo Gaja che, in un lungo intervento, ha saputo mettere in luce l’importanza del vino e soprattutto il suo essere un prodotto artigianale, rappresentato da personaggi come Valentini o Biondi Santi. Altro concetto essenziale del messaggio di Gaja è “piccolo è bello, ma ben vengano i grandi nei territori”, perché i volumi servono per penetrare e occupare i mercati. “Per realizzare un grande export bisogna farsi le ossa nel difficile mercato nazionale, chi è bravo da noi andrà a gonfie vele all’estero, dove c’è spazio per tutti”. E, proprio sul fronte dell’export, il prezzo medio al litro a cui esporta l’Italia, di 2,50 euro, la metà dei francesi, che secondo molti è un malus, nel ragionamento di Gaja, diventa un vantaggio competitivo, “perché vuol dire che siamo bravi nel rapporto tra qualità-prezzo”. E poi la volta dei consumi: “in Italia, si consuma - ha ribadito Gaja - poco vino, siamo tra i mercati con minore consumo in Europa, anche perché il vino viene equiparato ai superalcolici. Bisogna andare sui mercati e studiarli, solo così si può capire come affilare le armi, senza mai dimenticare di imparare dagli altri”.

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