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FALSO MADE IN ITALY, LA “LONGA MANO” DELLE AGROMAFIE. IL “RAPPORTO SUI CRIMINI AGROALIMENTARI IN ITALIA”, BY COLDIRETTI ED EURISPES, FA LUCE SUI LEGAMI TRA MAFIE E TRUFFE ALIMENTARI. E PROPONE LA CREAZIONE DI UNA FILIERA MADE IN ITALY E TRASPARENTE

Non Solo Vino
Alcuni timbri falsi sequestrati

Tanto si parla di truffe alimentari, ma c’è da comprendere bene la portata di questo “oceano criminale”: è questo il senso del “Rapporto sui crimini agroalimentari in Italia”, organizzato da Coldiretti ed Eurispes, di scena oggi a Roma, con i contributi, fra gli altri, del Procuratore nazionale antimafia, Piero Grasso, del presidente dell’Associazione Nazionale Magistrati, Luca Palamara, e dei procuratori Raffaele Guariniello, Antonio D’Amato e Vincenzo Macrì. Il Rapporto Eurispes-Coldiretti stima che il volume d’affari complessivo dell’agromafia sia quantificabile in 12,5 miliardi di euro (5,6% del totale), di cui: 3,7 miliardi di euro da reinvestimenti in attività lecite (30% del totale) e 8,8 miliardi di euro da attività illecite (70% del totale). Il reinvestimento dei proventi illeciti anche in tale settore, ha come corollario il condizionamento della libera iniziativa economica attraverso attività fraudolente (quale, ad esempio, l’indebita percezione dei finanziamenti nazionali e comunitari - si pensi che nel solo 2009 la Guardia di Finanza ha accertato l’indebita percezione di oltre 92 milioni di euro di finanziamenti per aiuti all’agricoltura), ovvero mediante l’attuazione di pratiche estorsive, imponendo l’assunzione di forza lavoro e, in taluni casi, costringendo gli operatori del settore ad approvvigionarsi dei mezzi di produzione da soggetti vicini alle organizzazioni criminali, influenzando poi i prezzi di vendita (attraverso la gestione delle fasi di distribuzione all’ingrosso e del trasporto dei prodotti agricoli). Nel caso specifico del settore agroalimentare italiano, secondo il Rapporto Eurispes-Coldiretti, il valore aggiunto complessivo (in media 52,2 miliardi di euro su base annua nel quinquennio 2005-2009) rappresenta per la criminalità un forte incentivo, sul piano della massimizzazione del profitto, all’investimento dei proventi delle attività illecite nei comparti dell’agricoltura, caccia e silvicoltura (valore aggiunto medio 26,2 miliardi di euro, 1,9% del Sistema Paese), dell’industria alimentare, delle bevande e del tabacco (valore aggiunto medio 24,6 miliardi di euro, 1,8% del Sistema Paese), della pesca, piscicoltura e servizi connessi (valore aggiunto medio 1,4 miliardi di euro, 0,1% del Sistema Paese); la minore appetibilità, in termini di profittabilità degli investimenti, del settore agroalimentare rispetto ad altri settori a più alto valore aggiunto (attività immobiliari, costruzioni, trasporti, sanità e assistenza sociale) è compensata dalla persistenza e, in taluni casi, dall’aggravarsi, di molteplici fattori di criticità (effetto moltiplicatore), quali: un calo del 15,9% del numero di occupati e del 35,8% del reddito reale agricolo per occupato tra il 2000 e il 2009; il crollo significativo e generalizzato dei prezzi alla produzione; l’assoluta prevalenza di imprese individuali (87,2% delle attive) rispetto a società di persone e di capitali (rispettivamente 8,9% e 2,4% delle attive); l’elevata diffusione di piccole e medie imprese, spesso a conduzione familiare, e del fenomeno del sommerso. Un “canale” primario dell’agrocrimine è quello dell’”italian sounding”, cioè marchi che si richiamano all’Italia, ma che nulla hanno a che fare con la realtà nazionale, per un giro d’affari mondiale di 60 miliardi di euro l’anno: secondo la Coldiretti, “la diffusività e l’entità del fenomeno del falso made in Italy ed il volume di affari connesso a condotte illegali o a pratiche commerciali improprie nel settore agroalimentare sono, ormai, di tale rilievo da poter a ragione parlare dello sviluppo di vere e proprie agromafie, la cui crescita ed espansione appaiono supportate dall’inadeguatezza del sistema dei controlli e della comunicazione dei dati e dalle informazioni, sia con riferimento alla fase dell’importazione dei prodotti agroalimentari, sia con riferimento alle successive operazioni di trasformazione, distribuzione e vendita”. Tutto ciò porta al risultato di crollo del reddito, dell’occupazione, dei prezzi all’origine ... L’idea, il progetto e l’impegno proposti da Coldiretti per combattere questo stato di cose, è la creazione di una filiera agricola, italiana e firmata: completamente italiana, perché tutti i processi devono avvenire in Italia, con prodotti rigorosamente italiani, gestita - quando possibile lungo tutte le fasi - principalmente dagli agricoltori; firmata perché si tratta di una filiera i cui prodotti sono caratterizzati dai tratti distintivi propri dei luoghi di origine e produzione, ossia prodotti immediatamente riconoscibili come totalmente italiani, grazie all’etichettatura all’origine, alla trasparenza della filiera e della formazione dei prezzi, e al legame con il proprio territorio. In questa maniera il patto di fiducia che si è sicuri di costruire con i consumatori, riuscirebbe a riportare l’agricoltura italiana a ricoprire un posto di primo piano nel panorama economico e all’interno della filiera, con evidenti ricadute economiche e di immagine positive, non solo per l’agricoltura stessa, ma per tutte le forze economiche e gli operatori coinvolti o interessati alla filiera agro-alimentare. Perché trasparenza e legame con il territorio sono indispensabili per avere la fiducia dei consumatori e restituire all’agricoltura italiana il ruolo che le compete, in Italia e all’estero. Un ruolo di primo piano.

C’è poi un aspetto che va oltre l’italian sounding, quello de prodotti dell’agricoltura e dell’industria agroalimentare per i quali non è obbligatoria l’indicazione d’origine, rendendone di fatto impossibile la tracciabilità. Un elenco consistente che comprende, tra gli altri, pasta, formaggi, latte a lunga conservazione, carne di maiale, di coniglio e ovicaprine, derivati del pomodoro, frutta e verdura trasformate, derivati dei cereali. La conseguente asimmetria informativa dovuta alla mancata indicazione d’origine di tali prodotti di largo consumo (170 milioni di kg l’anno quello della mozzarella), si traduce inevitabilmente in un’opportunità, per tutte quelle imprese dell’industria alimentare che, spinte dall’esigenza di abbattere i costi di produzione, decidono di modificare le proprie strategie di approvvigionamento di materie prime, rivolgendosi prevalentemente o esclusivamente ai mercati esteri piuttosto che a quello interno. Ma anche in un rischio per l’intera filiera agricola italiana, in termini sia economici (riduzione della produzione agricola, dei prezzi all’origine e della possibilità di accesso alla rete della grande distribuzione), sia occupazionali (chiusura delle aziende, cassa integrazione, disoccupazione). Senza dimenticare l’inganno di cui sono vittime i consumatori, che non sono in grado di distinguere tra un prodotto di filiera agricola tutta italiana (vero Made in Italy) e un prodotto importato dall’estero e finiscono per operare scelte di consumo basandosi esclusivamente sul prezzo. Una problematica che riguarda anche il mondo del vino: nel 2010 l’Italia ha importato dall’estero 32.219 tonnellate di uva fresca o secca (valore 53,9 milioni di euro), e i paesi da cui proviene la maggiore quantità di uva sono la Turchia, il Cile e l’Egitto (rispettivamente 53,3%, 16,4% e 8,5% del totale), con un controvalore economico delle importazioni che supera i 41 milioni di euro (77,6% del totale). Nello stesso anno, il nostro Paese ha importato dall’estero circa 62.375 tonnellate di vini di uve fresche, per la quasi totalità provenienti dagli Stati Uniti e solo marginalmente da Cile, Argentina e altri paesi. Mentre per le uve fresche e secche le importazioni sono esclusivamente definitive, nel caso dei vini di uve fresche si registrano casi, seppur marginali, di reimportazioni e importazioni temporanee (rispettivamente 4,9 tonnellate e 300 kg nel 2010). Relativamente alla provincia di destinazione dei prodotti importati, per i vini di uve fresche si registra una significativa concentrazione delle importazioni (in termini quantitativi il 96,3% delle merci è destinato alla provincia di Cuneo, l’89,1% in termini di controvalore economico).


Focus - Coldiretti: per 60% italiani frodi a tavola le più temute

Le frodi a tavola sono quelle più temute dagli italiani con sei cittadini su dieci (60%) che le considerano più gravi di quelle fiscali e degli scandali finanziari, secondo l’indagine Coldiretti/Swg, poiché possono avere effetti sulla salute. Al secondo posto (40%) vengono quelle legate al fisco, mentre le truffe finanziarie sono lo spauracchio del 26 % degli italiani, seguite a stretta distanza da quelle commerciali, come la contraffazione dei marchi (25%).

“Si tratta - ha sottolineato il presidente di Coldiretti Marini - di un crimine particolarmente odioso perché si fonda soprattutto sull’inganno nei confronti di quanti, per la ridotta capacità di spesa, sono costretti a risparmiare sugli acquisti di alimenti. Spesso la criminalità si avvantaggia della mancanza di trasparenza nei flussi commerciali e nell’informazione ai consumatori. In questa situazione c’è spazio per comportamenti illeciti dagli effetti gravissimi sia per la salute delle persone che per l’attività economica delle imprese. Gli ottimi risultati dell’attività di contrasto messa in atto dalla Magistratura e da tutte le forze dell’ordine impegnate confermano - prosegue Marini - la necessità di tenere alta la guardia e di stringere le maglie troppo larghe della legislazione a partire dall’obbligo di indicare in etichetta la provenienza della materia prima impiegata, voluto con una legge nazionale all’inizio dell’anno approvata all’unanimità dal parlamento italiano ma non ancora applicato per le resistenze comunitarie. Occorre peraltro - dice ancora Marini - rendere pubblici i dati delle aziende italiane destinatarie di prodotti importati. Un’operazione a costo zero che aiuterebbe la trasparenza e permetterebbe di capire dove sono finiti le carni di maiale cilene importate a Modena o i pomodorini tunisini finiti a Ragusa. Sugli scaffali, in particolare, due prosciutti su tre provengono da maiali allevati all’estero senza una adeguata informazione, tre cartoni di latte a lunga conservazione su quattro venduti in Italia sono stranieri mentre la metà delle mozzarelle sono fatte con latte o addirittura cagliate provenienti dall’estero, ma nessuno lo sa perché non è riportato in etichetta. Senza dimenticare il concentrato di pomodoro cinese spacciato come italiano, con le importazioni dalla Cina che corrispondono ormai al 15% della produzione nazionale. I rischi crescono con l’allungarsi della filiera e l’aumento degli intermediari che si frappongono tra produttore e consumatore perché nei troppi passaggi si infiltra la criminalità che fa aumentare i prezzi e riduce la qualità. Un danno - continua Marini - per le imprese agricole che vedono ridursi la redditività e per i consumatori costretti a pagare un sovraprezzo per prodotti di bassa qualità. Per accorciare la filiera e rendere più diretto il rapporto tra produttori e consumatori la Coldiretti è impegnata nel progetto per una filiera agricola tutta italiana per arrivare ad offrire direttamente senza intermediazioni i prodotti attraverso i mercati degli agricoltori, le botteghe di campagna amica, le nostre cooperative i prodotti agricoli italiani garantiti al 100% dagli stessi agricoltori”.


Focus - Coldiretti: apre il primo salone degli inganni a tavola

Dalle mozzarelle senza latte al concentrato di pomodoro cinese avariato e “spacciato” come Made in Italy fino al prosciutto ottenuto da maiali olandesi e venduto come nazionale, con tanto di fascia tricolore, ma anche grandi marchi di vini contraffatti, olio di semi imbottigliato come extravergine o Chianti prodotto in California. Sono questi alcune curiosità esposte nel “Salone degli inganni” aperto dal Presidente della Coldiretti Sergio Marini a Palazzo Rospigliosi a Roma in occasione della presentazione il primo Rapporto sui crimini agroalimentari in Italia realizzata da Coldiretti e Eurispes.

Si va dai reperti sequestrati nell’ambito delle operazioni antifrode delle forze dell’ordine Carabinieri dei Nas, il Corpo Forestale dello Stato e l’Ispettorato Repressioni e Frodi come il vino con marchi inesistenti o il miele con l’aggiunta illegale di zucchero, agli inganni scovati dalla Coldiretti in Italia e all’estero. Il fatto che in Italia sono state importati 63 milioni di cosce di maiali dall’estero a fronte di una produzione di 26 milioni di cosce sta a significare che 3 prosciutti su 4 venduti in Italia in realtà derivano da maiale allevati all’estero anche se agli occhi del consumatore sembrano tutti italiani. Secondo i dati forniti dalla Coldiretti 1 mozzarella su 4 non deriva direttamente dal latte ma da cagliate, un semilavorato industriale spesso importato dall’estero, come pure i formaggini che sono stati ottenuti da polvere di caseina e formaggi fusi. La situazione non migliora nel comparto vegetale dopo che nel 2010 - secondo la Coldiretti - sono stati importati ben 115 milioni di chili di concentrato di pomodoro, il 15% della produzione nazionale, destinati ad essere esportati come Made in Italy. E proprio concentrato di pomodoro cinese è stato sequestrato dai carabinieri dei Nas che hanno messo a segno operazioni che riguardano anche olio di semi con l’aggiunta di clorofilla spacciato per olio extravergine d’oliva, miele contraffatto con l’aggiunta di zucchero pronto per essere venduto come miele italiano con gravi rischi per la salute nel caso di consumo da parte di inconsapevoli acquirenti diabetici. E non mancano neppure falsi prosciutti di Parma Dop. Latte, biscotti e succhi cinesi contenenti melanina e, dunque, pericolosi per la salute dopo lo scandalo che in Cina ha portato alla morte di numerosi bambini, sono stati scoperti dagli uomini del Corpo Forestale di Stato, i quali hanno sequestrato anche prodotti di qualità contraffatti come la Mozzarella di Bufala Dop, l’aceto balsamico di Modena Igp o il pregiato vino Amarone Doc. L’Ispettorato centrale per la repressione delle frodi ha invece portato alla luce false bottiglie di vino Chianti e barattoli di pomodoro San Marzano fasulli, e persino bottiglie di vino con il nome di ditte inesistenti.


Focus - Il commento del Ministro Saverio Romano

“Il Rapporto Coldiretti-Eurispes sulle cosiddette agromafie, sottolinea l’attualità e la pervasività del fenomeno relativo ai crimini agroalimentari nel nostro Paese, non solo per il volume d’affari complessivo stimato in oltre 12 miliardi di euro, ma per l’ulteriore danno di credibilità, di concorrenza sleale e d’inquinamento di un sistema agricoltura che al contrario si rivela sano e capace di produrre risultati economici positivi. In questo contesto ribadisco il valore dell’impegno che il Ministero che ho l’onore di presiedere sta assumendo in tema di controlli e, quindi, di sicurezza alimentare. Contro le agromafie stiamo mettendo in campo una strategia che si basa sul rafforzamento dei controlli e sul maggiore coordinamento dei quattro organismi di diretta collaborazione col Ministero per le Politiche Agricole, Alimentari e Forestali: Carabinieri delle Politiche Agricole - Nucleo Anti Contraffazioni, Ispettorato Controllo Qualità e Repressione Frodi, Corpo Forestale dello Stato, Capitanerie di Porto - Guardia Costiera. Tali organismi sono impegnati quotidianamente in un’azione di repressione e contrasto degli illeciti, che devono essere debellati per garantire la fiducia dei consumatori, il lavoro del sistema produttivo e l’immagine del nostro Paese nel mondo. A luglio riferirò sul tema presso la Commissione parlamentare monocamerale di inchiesta sui fenomeni della contraffazione e della pirateria in campo commerciale, ribadendo come questa sia una delle priorità assolute del mio Ministero. Reprimere tali crimini ci consentirà di avere maggiori risorse e di salvaguardare l’intero sistema agroalimentare italiano”. Così il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali Saverio Romano ha commentato il primo Rapporto sui crimini agroalimentari in Italia presentato oggi da Coldiretti-Eurispes.


Focus - Le soluzioni del Procuratore Nazionale Antimafia Piero Grasso

Inserire la sofisticazione tra i reati riconducibili alla mafia, incrementare i mercati dei produttori agricoli e le cooperative che sorgono sui terreni confiscati e mettere in campo un maggiore coordinamento di magistrature e forze di polizia. È la ricetta contro il fenomeno delle agromafie illustrata dal procuratore nazionale Antimafia Piero Grasso, intervenuto all’incontro per la presentazione del primo Rapporto sui crimini nell’agroalimentare realizzato da Coldiretti e Eurispes. “Per i reati che da subito vengono identificati come crimini di mafia non abbiamo particolari problemi - ha spiegato il magistrato -, ma per quelli di sofisticazione sì, perché hanno tempi di prescrizione brevissimi poiché non collegati alla mafia dal codice penale. C’è una commissione agricoltura che sta approfondendo il fenomeno, ma ci vogliono delle politiche agricole che controllino i mercati”. Grasso ha iniziato il suo intervento con lo slogan “Aggiungi un posto a tavola”, “perché c’è un invitato criminale che ogni giorno si siede a tavola con gli italiani. Possiamo nascondere questo convitato dietro un pomodoro o un cesto di lattuga, ma rimane un criminale che aleggia sulla ristorazione”. Per contrastare adeguatamente le infiltrazioni mafiose nella filiera agroalimentare il primo passo è senza dubbio il taglio delle intermediazioni, che causano un aumento dei prezzi indiscriminato, di cui gli unici a non trarne giovamento sono proprio gli agricoltori, “per dire eliminare i monopoli e contrastare le infiltrazioni mafiose. Oltre al discorso del prezzo c’è però anche quello delle sofisticazioni. La tutela della salute è un aspetto essenziale per la comunità. Ci sono tanti enti che dovrebbero sorvegliare, ma hanno mezzi insufficienti e inadeguati. C’è comunque da dire che nel panorama generale c’è bisogno di un migliore coordinamento, nonostante abbiamo già raggiunto dei grossi risultati. Io sono un convinto assertore che solo attraverso un coordinamento delle forze in campo si possono tutelare la salute e le tasche dei cittadini. Certamente la globalizzazione ha dato grossi vantaggi alle organizzazioni criminali - spiega Grasso -, poiché ogni stato difende le proprie aziende ed è difficile che ci venga incontro in indagini di questo tipo. Ormai noi dobbiamo agire attraverso lo scambio delle informazioni tra autorità giudiziarie di diversi Paesi e lasciar perdere le rogatorie. La filiera produce reati lungo tutto il percorso, quindi dobbiamo avere la cooperazione di tutti gli Stati attraverso i quali è passata la filiera. Dobbiamo assolutamente allargare la forchetta di reati riconducibili alla mafia, quelli che in Usa chiamano “Serious crime”. In questo modo possiamo utilizzare i metodi di indagine tipici dei reati di mafia anche per questi crimini: agenti sotto copertura ed intercettazioni, per fare qualche esempio pratico. Al giorno d’oggi - conclude il Procuratore Nazionale antimafia - se troviamo una bolla falsificata o che non corrisponde al prodotto trasportato, catturiamo gli autisti dei camion, ma non riusciamo ad arrivare alle teste dell’organizzazione”.


Focus - La proposta del Magistrato della Repubblica di Torino Raffaele Guariniello

“Noi dobbiamo costruire una nuova organizzazione giudiziaria, una procura nazionale specializzata nel campo della frode e della sicurezza alimentare”. È la proposta fatta da Raffaele Guariniello, magistrato della Procura della Repubblica di Torino, alla presentazione del primo Rapporto sulle Agromafie realizzato da Coldiretti e Eurispes. “Come mai le perquisizioni si fanno solo per i reati di criminalità organizzata? Bisogna entrare nelle stanze dei consigli di amministrazione, certi problemi non nascono per un singolo dirigente, ma sono il frutto di scelte aziendali - ha denunciato Guariniello. Infine va analizzato il problema internazionale che ci troviamo di fronte. Questo settore ci porta a fare indagini a carattere internazionale, perché certi prodotti non arrivano mai dall’Italia, ma da altri Paesi europei ed extraeuropei. Basti pensare quanti problemi ci ha creato ultimamente la Germania. Noi dovremmo vedere come si fanno certi prodotti, effettuare controlli all’origine. Siamo quindi costretti a chiedere le rogatorie, che però richiedono tempi lunghissimi e quasi mai vengono concesse. La globalizzazione dovrebbe essere anche per le indagini, ma dagli altri Paesi c’è sempre una certa riottosità ad accettare certe cose. Se poi c’è di mezzo la Cina - conclude il magistrato - è tutto più complicato, persino interrogare, o semplicemente incontrare i responsabili, diventa un’impresa impossibile. Mentre tutto viaggia alla velocità della luce noi andiamo ancora con la diligenza”.


Focus - Le contromisure del presidente dell’Associazione Nazionale Magistrati Luca Palamara

“Sul piano legislativo e quello giudiziario occorre focalizzarsi sulla depenalizzazione e sulla durata dei processi. Sulla questione della depenalizzazione bisogna però prestare molta attenzione, tutelando il perseguimento del falso alimentare, garantendo il rispetto delle regole e accertando la reale violazione della regola”. Sono le parole pronunciate da Luca Palamara, presidente dell’Associazione Nazionale Magistrati, intervenuto alla presentazione a Roma del primo Rapporto sulle Agromafie realizzato da Coldiretti ed Eurispes. “Purtroppo i numeri ci dicono che sono 1 milione e mezzo i processi penali pendenti, perché purtroppo gli accertamenti richiedono tempi lunghi. Pensiamo alla guida senza patente, per la quale bisogna impegnare ben tre grandi di giudizio per il pagamento di una somma di denaro - continua Palamara. Poi ci sono altri due temi che ci riguardano da vicino: quello dell’organizzazione degli uffici giudiziari e quello della professionalità. Sono entrambi cavalli di battaglia, perché quando si parla di riforma della giustizia noi proponiamo un’auto-riforma che passa attraverso l’organizzazione sia esterna che interna degli uffici. Per quanto riguarda l’organizzazione esterna, l’obiettivo deve diventare la riorganizzazione della dislocazione degli uffici sul territorio italiano, realizzata in un tempo ormai lontano, in cui i reati non erano così diffusi come oggi. Dal punto di vista dell’organizzazione interna, il focus deve invece diventare la specializzazione degli addetti ai lavori per le varie tipologie di reati: l’obiettivo è creare degli standard per lo svolgimento delle indagini, un modulo organizzativo che preveda la specializzazione in gruppo e, conseguentemente - conclude il presidente dell’Associazione Nazionale Magistrati -, occorre investire molto sulla formazione, decentrata e centrale, su questo tema, spesso considerato reato di secondaria importanza, meno grave, mentre invece non è affatto così. I fatti lo dimostrano”.


Focus - Donato Ceglie, Procura della repubblica di Santa Maria Capua Vetere: La sfida per la legalità parte dai territori

“È una sfida di professionalità quella che lanciamo, per scoprire percorsi permanenti di professionalità: la sfida delle regole non è un problema di buoni e cattivi, gli imprenditori devono supportare questo tema per costruire il loro sviluppo, il loro futuro. Pensiamo alle informazioni che ci giungono anche in questi giorni da altri Paesi e riflettiamo”. Lo ha detto Donato Ceglie, della Procura della Repubblica di S. Maria Capua Vetere, all’incontro promosso da Coldiretti e Eurispes in occasione della presentazione del primo Rapporto sulle Agromafie. “La nostra sfida è il tema delle regole, della legalità sul territorio e nei territori, le regole che ci sono e vengono violate e le regole che non ci sono ancora e dovrebbero essere previste per far fronte al piano criminale - sottolinea il magistrato. Altra sfida giocata - e vinta - è far sedere tutti i protagonisti di questo progetto e ciascuno di loro ha dato un contributo importante per farci scoprire molti retroscena sul percorso del cibo che arriva sulle nostre tavole. Il libro presentato oggi sulle Agromafie vuole essere la base di un ragionamento, un approfondimento che parta dal territorio e ritorni ai territori, non vuole essere un documento stantio. Piacevole è stato scoprire l’interesse dei giovani agricoltori della Coldiretti rispetto a questo tema, giovani che vogliono proporre un modello nobile e alternativo di produzione, nel rispetto delle regole. Questo rapporto vuole quindi essere un racconto di storie e di partecipazioni, per rendere perseguibile la vittoria di questo Paese rispetto alle Agromafie”.

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