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“Festival del Giornalismo Alimentare”: la ricerca applicata al cibo fa notizia, ma spesso in modo sensazionalistico ed allarmistico. Per le difficoltà degli scienziati a comunicare, e per quelle dei giornalisti trattare certi temi

La ricerca e la scienza applicata all’alimentare possono fare notizia, ma spesso la fanno in modo sensazionalistico ed eccessivamente allarmistico perchè questo “fa titolo”. E le difficoltà ci sono sia da parte dei giornalisti, che spesso su temi come epidemie o malattie come per esempio l’influenza aviaria o la “mucca pazza” sono impreparati, così come sull’analisi di fonti e statistiche, sia perché gli scienziati non sono bravi a comunicare le loro scoperte, e altrettanto spesso devono giostrarsi tra un’informazione che deve essere rivolta sia al grande pubblico che agli addetti ai lavori, che tra i rischi che un’informazione data in un modo piuttosto che in un altro possono far crollare, in maniera ingiustificata, un intero settore produttivo ed economico. Anche perché una notizia del genere spesso nasce da una comunicazione scientifica complessa, che poi viene semplificata e sintetizzata in un take di agenzia da qualcuno che magari non è esperto della materia, e poi arriva nella routine delle redazioni che devono tenere conto sia della veridicità della notizia che delle esigenze e dei tempi del lavoro giornalistico. È la sintesi delle riflessioni che emergono da “Come la ricerca agroalimentare può fare notizia”, nel “Festival del Giornalismo Alimentare” di scena all’Università di Torino, con il patrocinio della Presidenza del Consiglio dei Ministri e del Ministero delle Politiche Agricole.
Un tema davvero delicato, quello della comunicazione della ricerca applicata al cibo, materia su cui la sensibilità del pubblico è altissima. su cui si sono confrontati scienziati e giornalisti come Maria Caramelli (Istituto zooprofilattico Piemonte, Liguria, Valle d’Aosta), Maria Lodovica Gullino (Università di Torino - Agroinnova), Laura Gasco (Università di Torino - Dipartimento Scienze Agrarie, Alimentari e Forestali), Massimo Agostini (Agrisole - Sole 24 ore) e Battista Gardoncini (Tg Leonardo Rai). Ultime esempio lampante la notizia, di qualche mese fa, dell’aumento di possibilità di sviluppare un cancro dal consumo regolare di insaccati che fece titolare a moltissimi giornali “Insaccati cancerogeni”. “Notizia che, verificata, non era come è stata gridata”, spiega Gardoncini, e che poi si è cercato di ridimensionare, anche se nella realtà un “titolo fa il 50% del lavoro informativo, ed è per questo che a volte lavoriamo anche un’ora per rifinirlo al meglio”, ha aggiunto Agostini.
“Chi fa giornalismo deve avere un approccio corretto, equilibrato, spiegare bene le cose perchè altrimenti i messaggi al pubblico passano in maniera distorta, vi chiediamo un aiuto su questo, come sul tema delle biotecnologie che sono tante cose che ci semplificano la vita, e non solo gli Ogm”, ha detto la dottoressa Gullino.
Anche se uno dei problemi maggiori, ha concluso Gardoncini, “è che la scienza spesso non ha, e non può avere, su certi temi, risposte univoche. L’esempio classico, in questo senso, è quello del nucleare, sul quale ci sono tonnellate di dati e ricerche a favore, e altrettanti contrari”.

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