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FORUM DI CONFAGRICOLTURA - (TAORMINA, 27/29 MARZO) - RICERCA CENSIS SU 150 AZIENDE AL TOP DELL’AGRO-ALIMENTARE “MADE IN ITALY” - PIU’ PROFESSIONALITÀ E QUALITA’, MENO COSTI, NUOVI MERCATI DA CONQUISTARE. DA MINORANZA TRAINANTE A MAGGIORANZA EMERGENTE

Dominare i cambiamenti di mercato e non subirli: è la “parola d’ordine” di 150 imprese “leader” dell’agroalimentare italiano, associate in Confagricoltura, prese a campione da una ricerca del Censis, commentata nel Forum “Futuro Fertile” di Taormina, dal presidente Giuseppe De Rita. Un focus di approfondimento dello studio presentato lo scorso anno sulla cosiddetta “minoranza trainante dell’agricoltura italiana”. Una minoranza che rappresenta il comparto “ricerca e sviluppo” del settore, in grado di indicare la meta del nostro futuro. Una “minoranza trainante” che può diventare una “maggioranza emergente”.
Sei le parole chiave delle imprese che crescono e che fanno da volano all’agricoltura di domani: mercato, gestione, capitale umano, distribuzione, verticalizzazione, politiche di marchio.
Imprese che puntano su nuove politiche commerciali e distributive, che cercano professionalità sempre più evolute per gestire gli aspetti finanziari (90%), igienico sanitari (83%), occupazionali (67%) ed energetici (49%). Imprese che nella maggioranza dei casi (65%) puntano sul miglioramento qualitativo delle produzioni (il 70% delle imprese vitivinicole, oleicole, ortofrutticole e florovivaistiche), e sulla differenziazione del prodotto (soprattutto imprese zootecniche), ma anche sull’aumento della quantità (seminativi).
Fondamentale il ruolo delle reti collaborative a vasto raggio, che aiutano le imprese a raggiungere i risultati prefissati: quasi tutte si affidano a collaborazioni con Associazioni di categoria (un giudizio lusinghiero, questo, per Confagricoltura) con un giudizio positivo, il più elevato tra tutti. Ma sono importanti anche le reti con i fornitori, con i commercianti e, con una percentuale inferiore ma da incrementare, con le Università.
Reti (o consorzi) tra produttori che sono anche gli strumenti preferiti (vi fa ricorso il 65%) per migliorare le performance di commercializzazione. Nella politica commerciale è invece privilegiato il marchio individuale, utilizzato dall’87% delle imprese. Ma è il brand aziendale quello impiegato in percentuale maggiore: nel 49% dei casi. Meno utilizzati i marchi consortili o collettivi ed i marchi di origine.
Grande importanza è data all’espansione delle quote di mercato sui nuovi mercati internazionali: il 69% delle imprese vitivinicole ed oleicole ed il 48% delle imprese ortofrutticole e florovivaistiche, oltre ad una quota minore di imprese di seminativi e zootecnia, sono attivamente impegnate nell’export.
Sui canali di vendita, il ricorso alle industrie di trasformazione (60% delle aziende) è più gradito della vendita diretta, pur largamente praticata (63,3%) e ai rapporti con le reti di distribuzione. Mentre il canale più apprezzato dai produttori è quello che passa attraverso consorzi e reti tra i produttori.
Ma la trasformazione della materia prima agricola ha comunque una particolare rilevanza. Solo il 13% delle aziende intervistate commercializza il prodotto senza trasformazioni successive: il 41% delle imprese lo trasforma direttamente (il 65% nel caso della trasformazione oleicola e vitivinicola ed oltre il 50% per i prodotti ortofrutticoli e florovivaistici). E’ pure notevole la percentuale di prodotto affidato a consorzi e cooperative per la trasformazione; una percentuale (25%) comunque superiore alla quota di prodotto affidato all’industria di trasformazione (21%). A testimoniare, ancora una volta, il ruolo diretto delle imprese agricole nelle attività successive alla fase di produzione.
L’indagine, analizzata dal presidente del Censis, Giuseppe De Rita, ha evidenziato come, al fianco di una significativa componente di imprese altamente strutturate, in grado di realizzare autonomamente evolute scelte guidate e orientate dal mercato (market driven e market oriented), che consentono loro di confrontarsi da una posizione di forza con i diversi circuiti distributivi internazionali, ve ne sono altre che riescono a circoscrivere le difficoltà di contesto, agendo con particolare intensità su alcuni, ben definiti, meccanismi:
- vi sono aziende di giovani dinamici e innovativi, che prediligendo la leva dell'innovazione e puntando su politiche commerciali altamente selettive riescono a collocarsi in nicchie di mercato molto remunerative, che utilizzano come punto di partenza per un progressivo consolidamento;
- vi sono dei segmenti attivi di filiera ad alto potenziale di crescita, costituiti di solito da imprese di piccole dimensioni che operando singolarmente non avrebbero la forza sufficiente per reggere alle sfide del mercato, e che tendono a sopperire a tale limite facendosi promotrici di un intenso processo di aggregazione che le porti a realizzare economie di scala nella fase della produzione e ad avere un maggiore peso contrattuale nei confronti della rete distributiva (in termini di volumi offerti e di risorse economiche, che consentono loro l’introduzione di politiche di marchio di tipo collettivo o consortile);
- vi è, infine, il cosiddetto baricentro stabile, formato essenzialmente dai produttori di seminativi ed altre commodity, che come è noto non hanno la possibilità di agire direttamente sul mercato e tanto meno di adottare autentiche politiche di marchio, ma che ciò nonostante riescono a mettere in pratica comportamenti virtuosi per tutelare l'accesso al mercato delle proprie produzioni, per esempio mediante la stipula di accordi di filiera con acquirenti e industrie di trasformazione.

Censis, la sintesi della ricerca - La via italiana in agricoltura. Buone prassi e strategie per i leader del mercato
Aziende agricole con un nuovo potenziale di crescita
C’è un tessuto imprenditoriale agricolo emergente, portatore di innovazione e di un nuovo orientamento al mercato; un tessuto fatto di piccola e media impresa, composto da poche migliaia di strutture capaci di fare massa critica sufficiente per affrontare scenari sempre più complessi, avari di marginalità crescenti, sospinti da forze competitive difficili da governare. Con l’intento di focalizzare l’attenzione su questa parte vitale ed emergente del sistema agricolo nazionale sono state analizzate in profondità le strategie organizzative e gestionali, le modalità di innovazione produttiva e le strategie di mercato di un campione di 150 aziende tendenti alle dimensione medio-grande (il fatturato medio, nel campione, è infatti pari a 1.650.000 euro e la superficie agricola utilizzata - Sau media è risultata pari a 157 ettari) ed in fase di crescita.
Il profilo delle imprese leader emergenti
Pochi dati essenziali, tratti dall’analisi su un campione di 150 aziende, sono sufficienti a definire il profilo di una minoranza di imprese agricole oggi in una fase di miglioramento del proprio posizionamento di mercato e portatrici, per lo più, di buone prassi riproducibili in altri contesti.
Emerge in primo luogo una marcata spinta alla crescita registrata negli ultimi anni: più della metà delle aziende analizzare ha registrato sostanziali incrementi del fatturato nel 2007, cui si aggiunge una quota del 31% che ha mantenuto stabili le buone posizioni già precedentemente raggiunte. Il ridimensionamento del business riguarda, dunque, il restante 13% del campione e comunque solo in rari casi tale fenomeno ha rivelato aspetti realmente critici, mentre nella maggior parte dei casi si è trattato di un fisiologico calo congiunturale.
Il marcato dinamismo espresso da vasti segmenti delle 150 aziende prese in considerazione, è confermato dai dati sul ciclo di vita aziendale: poco più del 41% si colloca in una palese fase di crescita generata o dal recente accesso a nuovi mercati o dall’aver saputo cogliere incrementi della domanda di specifici prodotti; a tale quota si aggiunge un ulteriore 33,8% di aziende poste in una fase che può definirsi di “consolidamento attivo” ovvero dedite, attraverso strategie e strumenti ben studiati, a rafforzare un già soddisfacente posizionamento di mercato. In sostanza 3 imprese su 4 sono in una fase di crescita, mentre le rimanenti sono in una fase di stazionarietà dovuta tuttavia a fattori esogeni, cioè a fattori di contesto più che a limiti interni alla stessa struttura produttiva.
L’atteggiamento proattivo dei leader emergenti si innesta in un sistema complesso di strategie che, come più volte sottolineato, coinvolge:
- la gestione dell’organizzazione interna e del capitale umano;
- la programmazione dei cicli della produzione e gli investimenti in innovazione di processo e di prodotto;
- gli strumenti di accesso al mercato ed ai processi di internazionalizzazione.
Per ciò che concerne il primo aspetto, è interessante rilevare come la larga maggioranza delle aziende analizzate punta oggi ad un forte processo di ottimizzazione e di efficientamento dell’organizzazione, agendo:
- sulla razionalizzazione dei costi e dei canali di accesso ai mercati (58,2% del campione);
- sulla crescita e acquisizione di figure professionali “alte” (l’84% ricorre a figure addette all’attività economico-finanziaria, l’83% ad addetti stabili ai servizi sanitari, il 79% ad esperti in tecnologie informatiche, il 73% ad addetti alle funzioni logistiche, il 71% a figure addette ad attività commerciali);
- sull’integrazione, quando possibile, tra produzione in campo e trasformazione del prodotto, al fine di garantire e controllare meglio il livello qualitativo del prodotto stesso e sviluppare un canale corto di accesso al mercato (oltre il 66% delle aziende analizzate effettua in autonomia o tramite un consorzio o cooperativa la lavorazione dei propri prodotti).
Per ciò che concerne la gestione del processo produttivo, l’approccio prevalente nel campione è quello del miglioramento costante del livello qualitativo delle produzioni: il 65% degli intervistati opera in questo senso (tale quota supera il 70% degli imprenditori nel comparto florovivaistico, dell’ortofrutta, olivicolo e vitivinicolo), cui si aggiunge una interessante quota del 23% che punta in via prevalente sui processi di diversificazione, che possono essere intesi come un’ulteriore aspetto del miglioramento qualitativo. Solo l’11% degli imprenditori intervistati ha come strategia prevalente l’incremento quantitativo della produzione.
Inoltre, ben l’80% delle aziende analizzate opera una diversificazione produttiva (42,3%) o varietale (36,7%), ciò nella consapevolezza che al mercato occorre offrire, quando possibile, prodotti diversi per gusti ed orientamenti differenti.
Nell’ambito delle strategie produttive evolute, assume, inoltre, particolare importanza la trasformazione della materia prima agricola. Solo il 13% delle aziende intervistate commercializza il prodotto senza trasformazioni successive, mentre il 41% trasforma direttamente (il 65% nel caso della trasformazione oleicola e vitivinicola ed oltre il 50% per i prodotti ortofrutticoli e florovivaistici). E’ egualmente notevole la percentuale di aziende che trasforma conferendo a cooperative o consorzi, pari al 25%, superiore al numero di coloro che affidano il prodotto direttamente all’industria della trasformazione (21%), a testimoniare il ruolo determinate che l’impresa agricola può e deve continuare ad avere nelle fasi successive alla raccolta del prodotto.
Uno degli aspetti più interessanti delle aziende emergenti resta, tuttavia, l’approccio moderno al mercato. Il 65% delle 150 strutture analizzate ricorre in modo intenso a consorzi o reti tra produttori per accedere al mercato e migliorare le performance di commercializzazione. Il marketing fondato su un sistema a rete e cooperativo si rivela, così, un’arma strategica essenziale, un fattore capace di contribuire ai processi di crescita di molte aziende agricole, che con difficoltà possono, da sole, governare le forze ormai mutevoli del mercato. E’ considerata positivamente anche la cessione del prodotto alle industrie di trasformazione (il 60% delle aziende analizzate vi fa ricorso), sicuramente privilegiata alla vendita diretta (che viene in seconda battuta) ed ai rapporti con le reti di distribuzione.
A questo complesso meccanismo di commercializzazione, anche e soprattutto, attraverso sistemi cooperativi e di rete, si innesta un ulteriore elemento rappresentato dalla “leva di marchio”. Ben l’81% delle imprese considerate realizza una parte o tutti i prodotti ricorrendo ad una strategia fondata su un brand (sia esso aziendale, o di certificazione di prodotto tipico). Ma soprattutto occorre evidenziare come ben il 46% del campione qui considerato commercializzi attraverso un proprio marchio ed il 26% con un marchio consortile. Forte appare, dunque, l’indipendenza operativa sul mercato di tali aziende, cui dovrebbe corrispondere un apprezzabile potere contrattuale (pricing, forza di contrattazione con i buyer della grande distribuzione o con i grossisti).
Anche la presenza sui mercati esteri appare, infine, come l’espressione di una agricoltura che ha chance di cambiare attraverso strategie di mercato profondamente proattive. Nel campione analizzato mediamente il 40% delle imprese ha dichiarato di esportare, ma tale quota raggiunge il 69% tra le aziende vitivinicole e oleicole e il 48% tra quelle dedite alle produzioni ortofrutticole e florovivaistiche. Tra le imprese esportatrici se è vero che il 66,2% distribuisce sui mercati esteri per il tramite o di intermediari o inserendosi nei circuiti della GDO, una quota molto interessante e consistente, pari al restante 33,8% opera in autonomia attraverso prodotti di nicchia.
Sono individuabili dunque quattro differenti gruppi tipologici di imprenditività agricola emergente:
- le imprese market driven e market oriented (28,6% del campione costituito da imprese emergenti), altamente strutturate, in grado di realizzare autonomamente scelte evolute guidate e orientate dal mercato che consentono di confrontarsi da una posizione di forza con i diversi circuiti distributivi internazionali;
- le aziende guidate da giovani dinamici e innovativi (16,6% del campione), che prediligono la leva dell’innovazione e, puntando su politiche commerciali altamente selettive, riescono a collocarsi in nicchie di mercato remunerative;
- i segmenti attivi di filiera ad alto potenziale di crescita (29,3% del campione) costituiti da strutture di piccole dimensioni caratterizzate da una accentuata propensione all’aggregazione attraverso cui realizzano economie di scala e sviluppano un apprezzabile potere di mercato;
- il baricentro stabile (25,3% del campione) formato essenzialmente dai produttori di seminativi ed altre commodity che pur non potendo operare attraverso politiche di marchio sopperiscono a ciò con integrazioni di filiera produzione-trasformazione, ovvero integrandosi, attraverso appositi accordi, con strutture della trasformazione e della commercializzazione.
Ciascuno di questi segmenti rappresenta un modello di crescita, dimostrando che l’incremento di competitività di molte aziende agricole, pur con sforzi consistenti ed investimenti in risorse materiali ed umane ingenti, è possibile. Crederci è già un buon punto di partenza.
La versione completa del rapporto è su www.confagricoltura.it  

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