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L’ANALISI

Frutta italiana, in 15 anni persa 1 pianta su 5, e consumi in Italia ai minimi da inizio secolo

Al via di Macfrut a Rimini (3-5 maggio). Pesano clima e inflazione, ma anche la concorrenza sleale dall’estero. I dati Coldiretti
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Frutta italiana: i consumi in Italia ai minimi da inizio secolo

Mentre la cronaca quotidiana racconta che, in diverse zone d’Italia, ma in particolare in Emilia Romagna, si è passati in un batter d’occhio dall’emergenza siccità (che è tutt’altro che superata, così come in gran parte del Nord del Paese) ai disastri causati dal maltempo e dalle bombe d’acqua che hanno sommerso campi e vigneti, l’analisi sul lungo periodo dice che nel Belpaese campione dell’agricoltura di qualità e della biodiversità, negli ultimi 15 anni, è scomparsa una pianta da frutto su cinque, con un fenomeno che riguarda tutte le principali produzioni, dalle pere ai limoni, dalle pesche alle albicocche, dall’uva da tavola alle ciliegie, dalle arance alle clementine. E, allo stesso tempo, con il caro prezzi e il cambiamento climatico che ha decimato i raccolti, gli italiani hanno tagliato gli acquisti di frutta e verdura che crollano del 9% in quantità sullo scorso anno, ai minimi da inizio secolo (vedi focus). A dirlo il report Coldiretti “Salviamo l’ortofrutta italiana”, presentato a Macfrut (Rimini, di scena da oggi al 5 maggio), la più importante fiera di un settore, che in Italia muove 15 miliardi di euro alla produzione, 10 miliardi di euro all’export e coinvolge oltre 300.00 aziende (inaugurata ieri, in anteprima, dal Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella). “E dove è possibile vedere e toccare con mano la prima mappa del frutteto italiano vittima della “strage” che ha decimato le varietà coltivate lungo la Penisola con drammatici effetti su economia, lavoro, clima, ambiente e salute degli italiani”, dice Coldiretti.
Secondo Coldiretti, la situazione peggiore si registra per le nettarine, con la scomparsa di quasi la metà delle piante (-45%) come per l’uva da tavola (-43%), per le pere (-34%), ma è anche stata estirpata 1 pianta di pesco su tre (-33%), 1 pianta di mandarino su 5 (-20%) e ben il 16% degli alberi di arance mentre crescono in controtendenza solo i kiwi (+11%). Una strage di piante da frutto che sta provocando la desertificazione dei territori nelle regioni italiane con drammatici effetti sui consumi nazionali, economia, lavoro, clima, ambiente e salute degli italiani. Complessivamente la superficie italiana coltivata a frutta - sottolinea la Coldiretti - si è ridotta a 516.000 ettari, con la perdita di oltre 100.000 ettari rispetto a 15 anni fa con conseguenze sul primato produttivo nazionale in Europa che si estende dai kiwi alle pere fresche, dalle ciliegie alle uve da tavola e alle albicocche.
“Il settore ortofrutticolo nazionale - continua la Coldiretti - garantisce all’Italia 440.000 posti di lavoro, pari ad oltre il 40% del totale in agricoltura, con un fatturato di 15 miliardi di euro all’anno tra fresco e trasformato, il 25% della produzione agricola totale, grazie all’attività di oltre 300.000 aziende agricole che sono oggi a rischio, a causa di prezzi troppo bassi che non coprono i costi di produzione”.
Un trend pericoloso anche dal punto di vista ambientale con degrado e all’abbandono che favorisce le alluvioni e le frane. A preoccupare è anche l’impatto climatico: le coltivazioni, come le foreste, possono generare benefici ecosistemici che non sono solo la rimozione di CO2 ma, ad esempio, il miglioramento della biodiversità e della qualità dell’aria, secondo un’analisi di Rete Clima. Una pianta adulta - precisa Coldiretti - è capace di catturare dall’aria dai 100 ai 250 grammi di polveri sottili e un ettaro di piante elimina circa 20 chili di polveri e smog in un anno. In altre parole quindi con la strage di piante da frutto è venuta a meno in Italia la capacità di assorbimento di ben 2 milioni di chili di inquinanti all’anno.Sul settore pesano poi i rincari energetici che spingono i costi correnti per la produzione della frutta che arrivano ad aumentare del 42% con un impatto traumatico sulle aziende agricole. “L’impennata dei costi di produzione ha colpito tutte le fasi dell’attività aziendale - rileva Coldiretti - dai carburanti per la movimentazione dei macchinari alle materie prime, dai fertilizzanti agli imballaggi. Gli incrementi non hanno risparmiato neppure la plastica per le vaschette, le retine e le buste, la carta per bollini ed etichette, il cartone ondulato come il legno per le cassette. Senza dimenticare gli effetti dei cambiamenti climatici e il moltiplicarsi degli eventi estremi con danni sui raccolti anche a causa degli insetti e dei patogeni alieni e le difficoltà di reperimento della manodopera”. A causa del surriscaldamento sono arrivati parassiti “alieni”, mai visti prima, che si sono accaniti sulle produzioni nazionali, dal cinipide galligeno che ha decimato le castagne alla Tristeza degli agrumi e molti altri come testimonia la recente la biblica invasione nel Nord Italia della “cimice marmorata asiatica”.
Ma a colpire il settore è anche la concorrenza sleale delle produzioni straniere - continua Coldiretti - con la frutta made in Italy stretta nella morsa del protezionismo da un lato e del dumping economico e sociale dall’altro. Le pere cinesi Nashi, ad esempio, arrivano regolarmente nel nostro Paese - rivela Coldiretti - ma quelle italiane non possono andare in Cina perché non è stata ancora concessa l’autorizzazione fitosanitaria. E finché non è chiuso il dossier pere non si può iniziare a parlare di mele, perché - spiega la Coldiretti - i cinesi affrontano un dossier alla volta. Ma porte sbarrate anche ai kiwi in Giappone perché non è ancora completato il dossier fitosanitario aperto dal 2008, in barba all’accordo di libero scambio Jeta siglato dall’Unione Europea con il governo nipponico. Alle barriere commerciali si aggiungono i danni causati dalla concorrenza sleale - denuncia Coldiretti - con quasi 1 prodotto alimentare su 5 importato in Italia che non rispetta le normative in materia di tutela della salute e dell’ambiente o i diritti dei lavoratori vigenti nel nostro Paese, spesso spinto addirittura da agevolazioni e accordi preferenziali stipulati dall’Unione Europea. Un esempio sono le nocciole dalla Turchia, su cui pende l’accusa di sfruttamento del lavoro delle minoranze curde. Ma ci sono anche l’uva dell’Argentina e le banane del Brasile gravati da pesanti accuse del Dipartimento del Lavoro Usa per utilizzo del lavoro minorile ma con i quali l’Unione Europea ha, comunque, avviato l’accordo commerciale di libero scambio Mercosur.
“E’ necessario che tutti i prodotti che entrano nei confini nazionali ed europei rispettino gli stessi criteri, garantendo che dietro gli alimenti, italiani e stranieri, in vendita sugli scaffali ci sia un analogo percorso di qualità che riguarda l’ambiente, il lavoro e la salute, secondo il principio di reciprocità” ha affermato il Presidente della Coldiretti Ettore Prandini. L’export di frutta fresca vale 3,8 miliardi che - continua Prandini - potrebbero aumentare se si riuscisse a superare il gap logistico e infrastrutturale con le opportunità offerte dal Pnrr per garantire trasporti efficienti sulla linea ferroviaria e snodi aeroportuali per le merci che ci permettano di portare i nostri prodotti rapidamente da nord a sud del Paese e poi in ogni angolo d’Europa e del mondo”.

Focus: frutta e verdura, in Italia consumo ai minimi da inizio secolo
Con il caro prezzi e il cambiamento climatico che ha decimato i raccolti, gli italiani hanno tagliato gli acquisti di frutta e verdura che crollano del 9% in quantità sullo scorso anno, ai minimi da inizio secolo. Emerge dall’analisi Coldiretti sulla base dei dati Cso Italy.
“Gli italiani - sottolinea la Coldiretti - hanno ridotto del 17% le quantità di pere, del 11% le arance e l’uva da tavola, dell’8% le pesche, le nettarine e i kiwi e del 5% le mele mentre tra gli ortaggi crollano del 24% gli acquisti di asparagi e del 20% quelli di radicchi. Il risultato è che, con 5,5 miliardi di chili, nel 2022, il consumo di frutta e verdura degli italiani - precisa la Coldiretti - è risultato di mezzo miliardo di chili inferiore a quello dell’anno precedente con preoccupanti effetti sulla salute dei cittadini. Nel 2022 cala al 16,8% la quota di popolazione di 3 anni e più che ha consumato giornalmente almeno 4 porzioni di frutta e/o verdura che ora si colloca su livelli significativamente più bassi rispetto a quanto registrato nel periodo 2015-2018, quando tale indicatore raggiungeva quasi il 20% secondo le elaborazioni Coldiretti su dati del rapporto sul benessere dell’Istat.
Il brusco calo - sottolinea la Coldiretti - ha fatto scendere il consumo individuale sotto la soglia minima di 400 grammi di frutta e verdure fresche per persona, da mangiare in più volte al giorno, raccomandato dal Consiglio dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms) per una dieta sana. Un dato ancora più allarmante, siamo intorno ai 250 grammi di consumo medio procapite - denuncia Coldiretti - se si considera che a consumare meno frutta e verdura sono soprattutto i bambini e gli adolescenti, con quantità che sono addirittura sotto la metà del fabbisogno giornaliero, aumentando così i rischi legati all’obesità e alle malattie ad essa collegate, con una potenziale esplosione della spesa sanitaria.
A livello generale le mele - precisa la Coldiretti - restano il frutto nazionale più consumato, al secondo posto ci sono le arance, mentre sul podio salgono anche le clementine mentre tra gli ortaggi patate, pomodori e carote guidano la classifica. In controtendenza rispetto al dato generale si registra un aumento degli acquisti direttamente dal produttore e nei mercati contadini, secondo un’analisi effettuata da Fondazione Campagna Amica nella rete di vendita diretta degli agricoltori, la più grande d’Europa. A spingere le vendite della frutta locale è soprattutto - spiega Coldiretti - la garanzia della stagionalità e della maggiore genuinità e freschezza del prodotto che, non essendo soggetto a lunghi tempi di trasporto, dura di più e, conseguentemente, azzera gli sprechi, rispetto soprattutto a quello proveniente dall’estero, spesso anche di minore qualità. In molti paesi, dall’Africa al Sudamerica, è, infatti, permesso l’uso di pesticidi pericolosi per la salute che sono vietati in Europa, senza dimenticare il fatto che le coltivazioni sono realizzate in condizioni di dumping sociale per il basso costo della manodopera. Il consiglio della Coldiretti per portare in tavola prodotti di qualità è dunque quello di acquistare direttamente dal produttore e di verificare comunque in tutti i punti di vendita sull’etichetta o sui cartellini l’indicazione obbligatoria della provenienza.
“In un Paese come l’Italia che è leader mondiale nella qualità dell’alimentazione con, è importante valorizzare i prodotti base della dieta mediterranea, a partire proprio dalla frutta e dalla verdura, e ricostruire il legame che unisce i prodotti dell’agricoltura con i cibi consumati ogni giorno e fermare il consumo del cibo spazzatura” ha dichiarato il presidente Coldiretti Ettore Prandini nel ricordare che “la Coldiretti è impegnata nel progetto “Educazione alla Campagna Amica” che coinvolge alunni delle scuole elementari e medie in tutta Italia che partecipano a lezioni in programma nelle fattorie didattiche, mei mercati contadini e nei laboratori del gusto organizzati nelle aziende agricole e in classe con l’obiettivo di formare dei consumatori consapevoli sui principi della sana alimentazione e della stagionalità dei prodotti”.

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