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“Galileo è stato il primo enologo della storia. Diceva che il vino è un composto di umore e di luce”: ipse dixit Giacomo Tachis, padre nobile dell’enologia italiana, cui è dedicato il volume “Giacomo Tachis e la luce di Galileo” (Class Editori)

In una serata buia e bigia come soltanto Milano ad ottobre sa regalare, in un palazzo sontuoso e più precisamente al secondo piano dove da un anno è stato aperto il Circolo privato Ralph Lauren, a riscaldare l’atmosfera è Giacomo Tachis: l’occasione è la presentazione, di scena ieri, del volume dedicato al “padre nobile” dell’enologia italiana, che “metodologicamente” sembrava più un erudito rinascimentale che un freddo tecnico di laboratorio, a meno di un anno dalla scomparsa, il 6 febbraio 2016: “Giacomo Tachis e la luce di Galileo” (Class Editori), scritto da Cesare Pillon, veterano della critica enologica, affiancato da Paolo Panerai, presidente dei Domini Castellare di Castellina ed editore del Gruppo Class, e da Tommaso Ciuffoletti.
Un titolo dovuto al fatto che Tachis questo (anche) pensava del vino, che fosse un “composto di umore e di luce”, come aveva detto proprio Galileo. “Galileo Galilei è stato il primo enologo della storia. Galileo diceva che il vino è un composto di umore e di luce”, aveva detto Tachis in una delle sue ultime interviste. Sassicaia, Solaia, Tignanello, Turriga. I vini di cui Tachis è stato il padre bastano a capire perché è stato considerato come il più grande enologo al mondo. Ma è con il “Galestro” che Pillon ha voluto ricordarlo: “quando si scoprì che il Chianti senza uve bianche era più buono e i nuovi disciplinari prevedevano soltanto bacche rosse, che cosa fare di quelle distese di ettari di vitigni banchi come il trebbiano? Tachis inventò il Galestro, nome che registrò e vino a cui diede un disciplinare, una Doc privatistica, che stabiliva la gradazione massima: 10,5 gradi. Dando così prova della sua lungimiranza, in una società che di lì a poco avrebbe avuto l’esigenza di stare attenta alla linea e alla leggerezza”. Quando Tachis se n’è andato, ha detto Pillon, “si è scatenata come sempre in Italia un’ondata di retorica sgradevole, ma ricordiamoci che quando andò in pensione era stato attaccato perché in Italia si perdona tutto tranne il successo”. E una delle “accuse” che gli erano state fatte fu quella di essere - come lui stesso si era definito - un “mescolatore”: nella sua lunga carriera di enologo Tachis non fece mai vini monovitigno, ma soltanto blend, perché esprimevano meglio un territorio.
A ricordarlo, anche l’enologo Alessandro Cellai, a proposito delle domande così complesse sui tannini che rivolse a Tachis da studente universitario in una conferenza: “vieni a casa mia tra qualche giorno e ne parliamo davanti ad un bicchiere di vino”, rispose il professore. Nella casa di San Casciano Val di Pesa, nacque un sodalizio. “Di lui sono state dette tante maldicenze - ha detto Cellai - come quella di essere un anti Sangiovese. Non era vero. Il vino deve essere fatto per essere bevuto e venduto, diceva Tachis. Se un vino non è all’altezza, devi completarlo con altri vitigni. Tachis mi ha sempre incoraggiato a salvaguardare la purezza dei vitigni, quando questo era possibile dalla qualità delle uve. Ed è merito suo se un vitigno come il Carignano del Sulcis è cresciuto fino ad arrivare in Australia”. Sulla questione del “Sangioveto” (come è chiamato il Sangiovese dai toscani Doc) ha voluto dire la sua anche Panerai: “Tachis è stato accusato di aver utilizzato vitigni internazionali, estranei al territorio italiano, come il Cabernet. Ebbene, il Cabernet è stato portato in Gallia dai Romani”.
Storico direttore delle cantine Antinori per oltre 30 anni, affascinato dalla chimica del vino, Tachis sembrava più un erudito rinascimentale che un freddo tecnico di laboratorio: immerso nei suoi 20.000 volumi sul vino, ma anche di classici greci e latini (oggi per gran parte custoditi dalla Fondazione ChiantiBanca che li ha resi consultabili) fin negli ultimi giorni della sua vita. Un giorno, Tachis “mi chiese - ha ricordato Panerai - di prendere quel volume che parla di Galileo e di quella frase. In quel momento ho preso la decisione di pubblicare un libro che ruotava attorno alla famosa frase - il vino è un composto di umore e di luce - che esprimeva la filosofia di Tachis. Che, nel frattempo, purtroppo, ci ha lasciati”.
Fausta Chiesa

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