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“Giornate Giulio Gambelli - Vini dei Luoghi, Gusto dei Luoghi” by Podere Forte: l’atout del mercato è la ricerca della qualità, legata al concetto di terroir. Dalle parole di Aubert de Villaine (Romanée-Conti), la ricetta per il futuro del vino

Italia
Aubert De Villaine

Luogo, rifiuto della standardizzazione, degustazione geo-sensoriale: ecco alcune delle parole d’ordine del nuovo corso enoico che dalla Francia parla al mondo, con un linguaggio, un senso e, soprattutto, con pratiche, che guardano alla storia e alla tradizione più profonda del vino, a partire dal suo palcoscenico più noto ed importante, la Borgogna, con le parole di Aubert de Villaine, proprietario della griffe più conosciuta al mondo, Domaine Romanée-Conti, protagonista “virtuale” (ha affidato le proprie idee ad un messaggio, ndr) delle “Giornate Giulio Gambelli - Vini dei Luoghi, Gusto dei Luoghi”, il simposio di altissimo livello, dedicato alla memoria di Giulio Gambelli, il “maestro del Sangiovese”, di scena ieri a Podere Forte, cantina fondata dall’imprenditore Pasquale Forte nel cuore della Val d’Orcia, insieme al giornalista Carlo Macchi, in un incontro che ha messo insieme realtà produttive francesi ed italiane (da Montenidoli a Ceretto, da Montevertine a Podere Forte, da Roberto Voerzio ad Agricola San Giuseppe, da Casanova di Neri a Tenuta di Bibbiano, da Poggio di Sotto a Cupano, da Casato Prime Donne a Costanti, da Domaine Prieuf a Domaine Bouvier, da Domaine Thibault Liger-Belair a Domaine Bruno Clavelier, e Domaine Arlaud), che hanno potuto scambiarsi le loro visioni su un mondo del vino che sta attraversando un momento di trasformazione importante (www.podereforte.it).

Ma non solo. A monte, la difesa convinta e costante del suolo, una risorsa sempre più in pericolo, la cui cura è al contempo il rinnovamento della possibilità di donarci i veri grandi vini. E questo è l’obbiettivo dei coniugi Bourguignon, Claude e Lydia
, che da oltre trent’anni lo perseguono, con il loro laboratorio di analisi enologica, nelle migliori aziende enoiche del mondo, da Romanée-Conti a Leflaive in Borgogna, da Troplong Mondot a Canon la Gaffelière e La Tour Figeac a Bordeaux, da Selosse a Fleury in Champagne, da Dagueneau nella Valle della Loria a Beaucastel nel Rodano, da Daumas Gassac a Languedoc Roussillon ad Elio Altare, Vajra e Ceretto nelle Langhe a Podere Forte, Montenidoli e Monteverro in Toscana, fino a Vega Sicilia in Spagna.
Nel messaggio di Aubert de Villaine, il co-proprietario dell’azienda simbolo della Borgogna ha messo in evidenza la trasformazione che ormai è in atto nella concezione sensoriale e complessiva del concetto di Terroir. “Non molto tempo fa - ha scritto - l’idea di Terroir era considerata di retroguardia, era un handicap. Ci è stato detto che il mercato del vino avrebbe lasciato spazio solo ai grandi volumi, quelli che avrebbero consentito di fare un’attività di marketing”. Oggi, invece, sta accadendo il contrario, “chi ama il vino chiede sempre più diversità e sempre di più cerca legami con il Terroir. Il vino - prosegue la nota di de Villaine - è un settore dell’economia in cui, saggiamente, il consumatore rifiuta la standardizzazione. Questo è il motivo per cui dobbiamo difendere questa diversità che soddisfa il bisogno di autenticità che ci viene richiesto. Il successo della Borgogna ne è oggi il miglior esempio”.

Un successo che viene da lontano e che la storia ha, in qualche misura, preparato. “Dal Medioevo, con la determinante influenza delle comunità monastiche di Cluny e Citeaux - prosegue de Villaine - e nei secoli che seguirono fino ad oggi si è costituita quell’idea di “climat” per cui il genio umano si è prefissato il compito di produrre grandi vini su un territorio con condizioni naturali difficili, per esempio, in appezzamenti di vigneti delimitati dalla storia dei cosiddetti “climat” della Borgogna. Ce ne sono 1.247, da Digione fino a Maranges a sud di Beaune. Ciascuno ha un nome, e, a partire da un unico vitigno, Pinot Nero o Chardonnay, a cui si chiede di essere l’interprete, il traduttore delle caratteristiche naturali di quella parcella determinata, produce vino al quale riconosciamo una specifica originalità. Questa scelta di collegare il vino ad un luogo è stata costantemente affermata e difesa nei secoli. Non ci sono grandi vigneti predestinati, ci sono solo testardaggini di civiltà. Questa è la lezione della Borgogna che oggi è considerata il modello di tutta la viticoltura di Terroir e spinge i coltivatori di tutto il mondo a intraprendere la stessa avventura con la medesima filosofia, che si realizza nell’espressione del luogo attraverso un unico vitigno, che ne diviene l’interprete. La ricerca dell’espressione del luogo e dell’eccellenza in essa implicita è una scelta difficile, ma non può che essere ricompensata. E la degustazione geo-sensoriale è la conseguenza immediata e diretta di questa scelta”.

“Oggi ci limitiamo a fare, senza guardare alla storia e alla “weltanschaung” che pensa quel fare - ha affermato Jacky Rigaux, wine writer di Bourgogne Society e ricercatore dell’Università di Borgogna - ma i grandi vini riflettono sempre il luogo dove sono stati prodotti e, in questo senso, sono gli unici ad offrire il più autentico gusto del luogo. Come ci ha insegnato 30 anni fa Henri Jayer, il vino non è fatto per essere annusato, ma è fatto per essere bevuto. Ecco allora che il vino è squisitamente un elemento “gourmet”, è fatto per la bocca. La bocca ha in effetti molti più recettori del naso e sollecita il senso del tatto per il 20-30%. In questo senso possiamo parlare di degustazione geo-sensoriale. In passato, l’assaggiatore assicurava che quel determinato vino era fatto in quel determinato luogo, oggi, invece, riconosce dalla degustazione quel determinato Terroir, che esiste, perché non è un’invenzione. I grandi vini si fanno da sempre - conclude Rigaux - la tecnologia è arrivata dopo e non è dunque fondamentale. Per troppo tempo, nel recente passato, siamo stati abituati a riconoscere il produttore e non il prodotto e, soprattutto, non il suo luogo d’origine”.
Ma la difesa del territorio in bottiglia passa necessariamente dalla terra. “Abbiamo per troppo dimenticato il valore del suolo - ha sottolineato Lydia Bourguignon - e non solo quello dove viene prodotto il vino, un bene voluttuario, ma anche e soprattutto quello dove produciamo il nostro cibo”. E per riprenderci questa risorsa così importante bisogna tornare ad un approccio più complesso “carichi di sapere come un dromedario, con la sensibilità di un poeta, come insegna Avicenna, con la scienza quindi ma anche con grande rispetto - ha spiegato Claude Bourguignon - l’obbiettivo è quello di ripristinare la funzionalità biologica del suolo, non solo eroso ma danneggiato, da concimazioni scriteriate, lavorazioni pesanti e irrigazioni”. Ricercando questa funzione primordiale del suolo, si ripristina anche la forza del Terroir. “Il terreno dei Terroir non è la sua superficie, ma la sua parte più profonda - conclude Bourguignon - ed è proprio qui che rinasce anche il suolo nella sua funzionalità più compiuta. Ma il Terroir è una complessità rilevante, un meccanismo che tiene insieme vari elementi: clima, vitigni, topografia (cioè le esposizioni), la geologia (cioè la composizione ancestrale dei terreni, il vino ama per esempio i terreni calcarei), suolo, densità di impianti, potature e portinnesti”.

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