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“GREEN ECONOMY” DEL VINO: È L’ORA DELLA “FASE 2”. DA ENOLOGICA 33, IL MESSAGGIO È CHIARO: METTERE INSIEME ESPERIENZE FATTE FINO AD OGGI (CHE DEVONO PROSEGUIRE) PER CREARE UN CONCEPT CHE IDENTIFICHI L’ITALIA NEL MONDO COME PAESE DEL VINO SOSTENIBILE

Italia
La green economy del vino

“Magis”, “SoStain”, “Itaca”, “Carbon footprint”, “Montefalco Green Revolution”: sono solo alcuni dei nomi dei progetti e dei protocolli di sostenibilità che alcune cantine italiane, insieme al mondo della ricerca e a diverse Università, stanno portando avanti, da anni nell’ottica di una produzione vinicola più sostenibile per l’ambiente, ma anche per l’economia, per il territorio e per il sociale nel suo complesso. Ma ora è arrivato il momento di passare alla “fase 2” della “Green economy” vinicola: mettere insieme le esperienze e creare un concept unico (pur continuando a sviluppare i singoli percorsi che, per loro natura, saranno per sempre “work in progress”) che identifichi sempre di più, specialmente all’estero, l’Italia come “produttore sostenibile” di vino. Senza cadere nel rischio di identificare sostenibilità (solo) con “biologico”, “biodinamico” e così via. Ecco il messaggio che arriva da “Enologica 33”, convegno-incontro nel cuore dell’Umbria, a Montefalco, patria del Sagrantino, antico vitigno rilanciato dall’azienda agricola Caprai.
“Ogni esperienza ha sviluppato determinati processi e prodotti - spiega il professor Leonardo Valenti, docente di viticoltura ed enologia all’Università degli Studi di Milano - ora bisogna prenderli e discuterli in funzione di una situazione italiana, ed usarli per promuovere la viticoltura della green economy italiana nel mondo. La green economy ha un senso e un significato nel momento stesso in cui non si fa un discorso di personalismi, per cui bisogna mettersi tutti in torno un tavolo, ognuno con le proprie esperienze per cercare un “modus vivendi” italiano che vada nella direzione della green economy, e che porti dei risultati come pubblicizzazione di quello che l’Italia sta facendo verso i mercati internazionali”. Anche perché i valori etici e ambientali, che devono essere perseguiti e coltivati prima della loro ricaduta economica, sono, in ogni caso, anche sempre più richiesti dai consumatori, soprattutto all’estero, al punto che, talvolta, “l’eticità” e la “sostenibilità” di un prodotto è quasi importante quanto la sua qualità intrinseca. E “green economy”, ha sottolineato il giornalista e direttore di “Libero Gusto” Carlo Cambi, è essenzialmente “costruire un ambiente che è economico, etico, culturale, e ambientalmente compatibile con la dimensione alta dell’uomo”. E non c’è niente di meglio del vino per ispirare tutto questo.
Info: www.enologicamontefalco.it

Focus - “Enologica 33”: ecco la “green economy”: la sintesi delle comunicazioni
Carlo Cambi - Curatore “Libero Gusto”: “Coltivare il Rinascimento”
Sarò probabilmente ripetitivo ma mi rifaccio a David Ricardo, il padre dell’economia classica, che ci ha illuminato nel dire “vi sono delle merci che valgono per la loro scarsità e per quanto la domanda è disposta a pagarle”. Tra questi merci ci sono quei “vini che nascono in determinati territori”. Ecco prima ancora che un’opzione culturale - o se si preferisce una manifestazione di buona volontà - produrre in modo diverso il vino è un’opportunità economica e una necessità. Un’opportunità perché sono personalmente convinto che nella globalizzazione per l’Italia ci sia posto solo se produce massima qualità e unicità, una necessità perché è indubbio che si debba produrre valore e scambiare valore. Ma come può il vino a fronte di un’offerta crescente non ridursi a merce, a commodity? La mia personale opinione è che necessario incorporare nel vino valori che sono la sua sacralità, la comunicazione sensoriale, la fruibilità che non deve diventare mai fungibilità, ma che oggi sono la sua identità. Non ci si sofferma mai abbastanza sul dato che il vino è uno e trino. Uno perché si conforma con determinate caratteristiche che sono irripetibili trino perché ha una madre che è la terra, ha un padre che è la vigna ed ha un educatore che è l’uomo. La domesticazione della vite consente all’uomo di dare al vino un imprinting. Ed è questa impronta che oggi può costituire il valore aggiunto dei grandi vini. E’ una economia dell’immateriale che si immagazzina nel vino. Che deve essere necessariamente naturale, ma basta che sia naturale. Ci sono mode e modi. Sono convinto che il biologico, il biodinamico siano contemporaneamente moda e modi di produzione. Ma non sono sufficienti a immagazzinare pensiero nel vino. Non voglio scomodare Heiddegger, ma certo anche la spinta a produrre biologico o biodinamico mi pare essere più vicina al pensiero calcolante. Ciò che oggi invece serve è produrre vino obbedendo ad un pensiero meditante. Significa avere il coraggio di non omologare il vino, avere la disponibilità ad accettare grandi vendemmie e piccole vendemmie, significa riportare il marketing a strumento e non a fine (e qui dovrei aprire il capitolo dei ricchi premi e cotillons della comunicazione delle vischiosità commerciali ma ci sarà altra sede e spero modo di affrontare), significa infine accettare la sfida di pensare il vino prima di produrlo togliendolo dalla schiavitù della serialità. La green economy che non vuole essere moda ma è semmai un modo di produrre significa essenzialmente questo: costruire un ambiente che è economico, etico, culturale, ambientale compatibile con la dimensione alta dell’uomo. Non basta misurare la carbon footprint, o determinare il livello dei solfiti o dire che si è coltivato secondo le fasi lunari per generare una green economy. Servono codici etici dell’impresa, servono valorizzazione dei beni costituenti il territorio (dalle emergenze culturali al paesaggio alle identità antropologiche) e la preservazione delle specificità, serve la costruzione di una catena del valore che parte dalla terra e arriva al pensiero secondo un processo di elaborazione - anche economica - che è rima di tutto basata sull’armonia tra uomo e Creato. Non voglio qui scomodare Marsilio Ficino, ma certo la green economy è la formulazione contemporanea di un approccio neoplatonico al reale. In buona sostanza sono convinto - proprio con il teorico del Rinascimento - che“la materia non ha di per sé nessuna forza che possa produrre le forme”, perché ciò accada occorre che agisca l’anima - la copula mundi - attraverso la qualità che dà sostanza alle realtà corporee. Ecco siccome per dirla con Galileo Galilei il vino è un composto di “umore e luce” serve che l’umore sia il territorio e la luce sia l’intelletto, l’anima. E questo intelletto si esprime attraverso la ricerca e la costruzione della compatibilità tra uomo e Creato nell’armonia del naturale che diventa un codice etico ed un disciplinare produttivo. Questa è la green economy: un’economia che genera valore perché coltiva valori.

Fabio Renzi - Segretario Generale Symbola, Fondazione per le qualità italiane. “Green Italy: Bellezza ed Ecologia”
Green Economy è il nome della nuova economia che dovrebbe nascere dalle ceneri della più drammatica e dura crisi che ha investito l’occidente dopo la famosa crisi del 1929.
E’ la prospettiva di un ritorno ad un’economia reale che genera ricchezza e prosperità grazie alla produzione di beni e servizi in grado di rispondere alle sfide della nostra contemporaneità, prima tra tutte quella del cambiamento climatico, e alle nuove domande, alle nuove aspirazioni, ai nuovi orientamenti culturali ed etici di un consumatore sempre più informato e consapevole delle sue responsabilità. E’ la nuova figura di quello che qualcuno ha chiamato co-produttore, proprio per il condizionamento che le sue scelte esercitano sulle strategie delle aziende e sull’orientamento dei mercati, o consumattore.
La Green economy, come proiezione e interpretazione più direttamente economica della visione e della prospettiva della sostenibilità, investendo e attraversando tutti i settori produttivi ed economici può essere per il ventunesimo secolo quello che l’elettrificazione, la ferrovia, l’automobile, la biotecnologia e le scienze della vita, l’informatica sono state per il novecento, solo per citare alcuni esempi. Il novecento ha così prodotto un’estetica dei nuovi orientamenti etici alla base delle nascenti società di massa, le sue sintesi interpretative della bellezza del proprio tempo. Per questo la green economy e’ una chance soprattutto per un paese come l’Italia famoso nel mondo proprio per la sua capacità di produrre all’ombra dei campanili cose che piacciono al mondo, reinterpretando la frase di Carlo Maria Cipolla. Che pur nella temperie di una crisi gravissima e perdurante rimane il secondo paese manifatturiero in Europa e il quarto esportatore tra i paesi del G 20 dopo Stati Uniti, Cina e Germania. Un posizionamento dovuto soprattutto a quel sistema di piccole e medie imprese, con i piedi ben saldati nei territori e con lo sguardo rivolto al mondo, capaci di produrre beni ad alta intensità di valore d’uso ed estetico. Capaci non solo di dare qualità formale a soluzioni tecniche e tecnologiche ma di sollecitarle a partire da una idea nella quale la prestazione tecnica voluta viene annunciata, più che spiegata, ricorrendo alla descrizione delle sue forme. A dimostrazione che la dimensione estetica e’ una risorsa straordinaria per produrre conoscenza, per immaginare nuove soluzioni, per scoprire nuovi mondi.
Dopotutto l’Italia non e’ forse l’unico paese al mondo che ha donato al mondo una rivoluzione fatta nel nome della bellezza? Cosa e’ stato se non questo la nascita dei Comuni contro il predominio feudale e imperiale? Il nostro saper fare, la nostra vocazione a produrre qualità nascono lì, nello spazio urbano del comune, dove nasce la nuova figura del cittadino, con le sue nuove esigenze culturali e politiche, le sue nuove esigenze di uomo libero e consapevole, dove nascono i nuovi riti civili e sociali con i loro apparati di rappresentazione e celebrazione. Dove l’etica della libertà, civile, politica ed economica, e’ alla base della nascita dell’estetica di una nuova società.
Green Italy e’ il nome di questa possibilità di rinnovare la vocazione dell’Italia a produrre qualità. Una qualità non retrospettiva, stanca, estenuata del nostro passato e delle nostre eredità ma una qualità che è risposta tecnica ed estetica alle sfide e alle domande della nostra contemporaneità. Come dimostrano le tante aziende che hanno dimostrato che questo e’ possibile, conveniente, appagante e vincente. A partire dai nuovi settori più direttamente legati alla dimensione ambientale (energie rinnovabili, gestione dei cicli dei rifiuti, delle acque, ecc..) per arrivare ai settori manifatturieri tradizionali che hanno mantenuto posizioni nei mercati e nelle filiere internazionali grazie agli investimenti nell’innovazione orientata alla sostenibilità, nell’ottimizzazione dei processi e nel miglioramento dei prodotti.
Green Italy e’ una nuova sintesi tra green economy e made in Italy, possibile proprio perché nuovi sono i caratteri che questo e’ venuto assumendo sotto la pressione dei mutamenti sociali, economici e finanziari.
La scelta di molte imprese del vino di competere sul terreno della qualità e’ da questo punto di vista eloquente e vincente. Poco più di venti anni fa il vino italiano aveva scelto di competere sui bassi prezzi e sulle produzioni quantitative. Lungo questa china si arrivò alle sofisticazioni e alla tragedia del metanolo. Oggi produciamo il 40% in meno di vino con un valore nell’export quadruplicato che ha raggiunto il record storico di 3,7 miliardi di euro nel 2020. La voce più importante dell’export agroalimentare nazionale.
Qualità, attenzione alla salute dell’ambiente e dei consumatori, ricerca e valorizzazione della biodiversità e legami con il territorio sono le componenti fondamentali di un settore importante della nostra economia. Un’attenzione alla qualità che ha portato le imprese a fare scelte sempre più green, dalla riduzione dei consumi d’acqua per l’irrigazione al risparmio energetico e all’utilizzo delle fonti rinnovabili, dalla scelta degli imballaggi realizzati con materiali riciclati all’utilizzo di bottiglie in vetro leggero, dallo studio di nuovi contenitori per i vini di prima bevuta, al recupero delle biomasse prodotte con gli scarti delle potature.
Il mondo del vino continua così ad essere una importante e affascinante metafora delle sfide della qualità italiana, delle sfide e delle prove che abbiamo davanti, delle nostre responsabilità, potenzialità ed opportunità.

Michele Manelli - Azienda Agricola Salcheto, Montepulciano. La “Carta di Montepulciano”: la Carbon Footprint quale indicatore importante della sostenibilità ambientale del vino
Sulla scia degli importanti investimenti per il miglioramento ambientale che hanno traguardato la prima cantina energeticamente autonoma inaugurata a Montepulciano nella vendemmia 2011, si è costituito attorno all’azienda il Gruppo di Lavoro “Salcheto Carbon Free” per la continua ricerca di modelli di sostenibilità ambientale per le aziende vitivinicole. Tra i primi obiettivi di ricerca e sviluppo anche l’individuazione di indici di analisi delle prestazioni ambientali, approcciati nella fase iniziale con l’inventario delle emissioni di CO2 quale termine di misura del consumo di energia e conseguentemente di emissione di gas climalteranti, lungo tutta la filiera produttiva della bottiglia di vino. Ne è scaturito il primo calcolo di Carbon Footprint per una bottiglia di Vino Rosso, certificato da CSQA e Valoritalia nell’ambito della norma ISO 14064, innescando un percorso aperto a tutti i soggetti interessati ad influenzare i lavori in corso per la regolamentazione di questo strumento, riunitisi nella “Carta di Montepulciano”. La presentazione sarà l’occasione per esporre i lavori svolti ed anticipare le prossime proposte da rivolgere al progetto aperto.

Alessio Planeta - Azienda Agricola Planeta, Menfi - Il Progetto “Sostain” e la multifunzionalità dell’agricoltura
Planeta è un produttore di vino nato nel 1995 che proviene da una tradizione agricola lunga diciassette generazioni e che oggi rappresenta sei modi di esprimere il territorio attraverso sei tenute nelle quali produce vino, olio e fa turismo: Ulmo a Sambuca di Sicilia, Dispensa a Menfi, Dorilli a Vittoria, Buonivini a Noto, Sciara Nuova sull’Etna a Castiglione di Sicilia e La Baronia a Capo Milazzo. Da due anni Planeta è SOStain. Si tratta del primo grande progetto di certificazione viticola ambientale italiano ispirato da alcune esperienze simili in giro per il mondo del vino. Cswa in California (California Suistainable Winegrowing Alliance), WineWise in Washington St, Live (Low Impact Viticolture & Enology) in Oregon, solo per citare i più importanti. SOStain è un programma di Sostenibilità Aziendale a carattere volontario. Si avvale delle conoscenze della viticoltura tradizionale e di quella biologica coniugandole con la più moderna innovazione scientifica e tecnologica. Il progetto prevede un percorso di miglioramenti continui verso livelli crescenti di sostenibilità. SOStain è il primo progetto del genere in Italia. Sviluppato dall’Università di Piacenza, si avvarrà dell’Università di Milano per la parte strettamente agronomica. Insieme a Planeta c’è Tasca d’Almerita e crediamo sarà un tassello importante per la viticoltura siciliana che potrà, con la serietà ed il supporto di partner scientifici, dimostrare in modo trasparente l’assoluta qualità delle sue produzioni anche dal punto di vista della sostenibilità.

Gianmaria Cesari - Cantine Umberto Cesari, Castel San Pietro Terme: “Rinnovare” il Sangiovese
Ogni rinnovamento è una reinterpretazione. Così Umberto Cesari ha sempre innovato ispirandosi al passato e alla tradizione vitivinicola del territorio. Le pratiche tipiche della civiltà contadina di un tempo imponevano il “riutilizzo” di ogni materiale e sottoprodotto, pratiche che opportunamente “aggiornate” l’azienda porta avanti tutt’ora. Gianmaria Cesari illustrerà nel corso del suo intervento le attività che l’azienda ha intrapreso, e ha intenzione di intraprendere, in materia di risparmio energetico e reimpiego di scarti di lavorazione e sottoprodotti: dalla campagna alla cantina, dalla linea cosmetica Tauleto Wine Fragrance fino al progetto di una centrale a biomasse.

Tito Caffi - Direzione Ricerca e Sviluppo del progetto Vitebio.net e Docente Università Cattolica del Sacro Cuore di Piacenza: “Dalla Ricerca al Servizio nell’ambito della Direttiva per l’uso sostenibile dei fitofarmaci: Vitebio.net, la risposta alla peronospora per i viticoltori biologici
Vitebio.net è un sistema di supporto alle decisioni (DecisionSupport System, DSS) per la difesa dalla peronospora in viticoltura biologica disponibile in tempo reale su piattaforma web, mediante un accesso tramite username e password. Vitebio.net è basato su una rete agrometeorologica, un server in grado di archiviare i dati meteo e le informazioni agronomiche ed operative relative ad ogni specifico vigneto, un complesso di diversi modelli matematici che utilizzano i dati raccolti per generare le informazioni utili per la gestione tattica dei trattamenti antiperonosporici. Vitebio.net è in fase dimostrativa: vigneti biologici localizzati in aziende pilota di diverse aree vitivinicole italiane vengono gestiti secondo le informazioni generate dal DSS e confrontati con la pratica agricola aziendale.

Leonardo Valenti - Docente di Viticoltura ed Enologia, Università degli Studi di Milano. “Progetto “Montefalco 2015: The New Green Revolution”. Sviluppo, introduzione ed applicazione di un nuovo protocollo vitivinicolo per la zona di Montefalco
I presupposti relativi al progetto “Montefalco 2015: the New Green Revolution” hanno risposto perfettamente all’esigenza dell’introduzione di un protocollo vitivinicolo che consentisse di misurare la “sostenibilità aziendale”. Troppo spesso infatti questo termine viene utilizzato senza il supporto di una valutazione reale e oggettiva. Il software GEA.vite, quale strumento per l’autovalutazione aziendale, il calcolatore Itaca, per il calcolo dell’impronta carbonica dell’intero processo produttivo, ed altri strumenti di valutazione della qualità del suolo e degli indici di rischio dei trattamenti fitosanitari hanno tracciato una linea precisa della realtà produttiva di Montefalco. Da qui si è partiti per la stesura di un nuovo decalogo di regole ad adesione volontaria che, sottoposte ad un ente certificatore, condurranno l’azienda verso la certificazione New Green Revolution. Il monitoraggio è stato ad oggi condotto per due anni su tutte le aziende aderenti al progetto, con implementazione del relativo software (www.geavite.it) che genera in automatico indici e grafici riassuntivi utili anche per la comunicazione dell’effettivo impegno aziendale verso il miglioramento.

Michele Crivellaro - Responsabile marketing e comunicazione Csqa certificazioni: “Evoluzione e tendenze della certificazione nell’era della green economy”
La spinta verso la “Green Economy” sta aumentando la corsa a proporre prodotti “green”, a valutare la “footprint” , a diffondere “green claims” sempre più differenzianti. Del resto, sono ormai numerose le indagini che hanno evidenziato quanto il consumatore sia sempre più attento, nella fase di acquisto, agli aspetti “green” di un prodotto e al sistema di etichettatura ad esso collegato(es: ecolabelling).
In questo contesto, la certificazione rappresenta uno strumento importante per lo sviluppo della green economy, sia perché le aziende e i consumatori hanno bisogno di asserzioni sempre più accurate e verificabili (dichiarazioni, etichette, marchi, ecc.), sia perché le asserzioni devono essere in grado di trasferire con efficacia il reale valore “green” di un prodotto (es: la biodegradabilità, la % di riciclabilità, la provenienza da aree gestite in maniera sostenibile, ecc). Di conseguenza, è logico che nell’era della green economy le attività di normazione e di certificazione siano sempre più legate all’innovazione organizzativa, tecnologica e legislativa.
Nell’Unione Europea si attribuisce un ruolo sempre maggiore alle certificazioni accreditate, sia per favorire la circolazione delle merci tra gli Stati membri che per garantire la tutela di interessi pubblici, come la salute e la sicurezza, la protezione dei consumatori e dell’ambiente. Alcuni esempi: Reg.768/2008, Reg.1221/2009, Reg.882/2004, Reg. 509/2006, Reg. 834/2007. Il modello europeo è quindi ben definito e tarato.
Le aziende improntate alla sostenibilità sono sempre più caratterizzate da un coinvolgimento che supera i confini degli stabilimenti produttivi per arrivare fino alle fasi di ideazione, progettazione e post-consumo di un prodotto. Su questi aspetti la normazione è oggi in grado di offrire un importante supporto metodologico per: studiare il ciclo di vita dei prodotti, definire l’etichettatura ambientale, impostare la comunicazione ambientale e molto altro.
Un’altra tendenza che conferma la spinta innovatrice della green economy è l’aumento di standard non definiti dagli Organismi di Normazione ufficiali (ISO, EN, UNI), a volte ritenuti troppo lenti rispetto al mercato. Questa tendenza può determinare un proliferazione di “standard privati”, i quali, se da un lato hanno il merito di focalizzare l’attenzione su tematiche emergenti rendendo pubbliche delle “best practice” dall’altro, rischiano di rallentare la crescita delle nostre imprese o la penetrazione in nuovi mercati se non vengono portati all’attenzione dei tavoli ufficiali della normazione. Le norme certificabili in un mercato globalizzato sono spesso diventate per le imprese uno strumento in grado di creare o di far mantenere posizioni di leadership.

Paolo Ricotti - "Fondatore" di Planet Life Economy Foundation e Docente in Bicocca in Global Communication: “Nuovi valori per i nuovi consumatori del vino italiano”
Le attuali tendenze in atto mostrano una crisi profonda del nostro paese sia in relazione alla sua politica industriale sia in relazione alla comprensione di come si stanno muovendo gli stili di vita e di consumo della gente. L’insieme determina una difficoltà di esprimere un chiaro indirizzo strategico, sostenibile e duraturo.
Eppure le formule e le ricette per uscire dalla crisi sono già a nostra portata solo riconoscendo le forze originali difficilmente replicabili da altri mercati che da sempre sostengono il nostro paese e che, per altro, sono anche quelle che producono un elevato Valore Aggiunto per l’intero sistema economico, un benessere generalizzato per tutte le comunità, un impatto ambientale molto ridotto o addirittura nullo.
Si tratta solo di comprendere la correlazione che esiste tra i contenuti immateriali di un determinato prodotto e il Valore Aggiunto che ne consegue.
Infatti, forse non è a tutti noto che l’elemento più importante sul fronte della Sostenibilità ambientale non è soltanto legato alle sue variabili technico-fisiche-biologiche, ma su come queste variabili ed altre ancora incidono sulla qualità di vita e benessere della gente: una vivibilità e una armonia generale in grado di soddisfare le esigenze di tutti gli attori: imprese, consum-attori, comunità, vitalità dell’ambiente, territorio, paesaggio.
Applicando queste logiche al settore del vino si comprende come, al di là delle tecnologie impiegate per la produzione di vini di qualità (sostanzialmente disponibili ovunque) gli elementi che hanno nella nostra produzione una caratteristica di vera distintività sono massimamente legati ai valori di natura immateriale che il nostro vino è in grado di veicolare.
Mi riferisco al fatto che il bene più prezioso che il nostro vino è in grado di diffondere - oltre alla sua qualità intrinseca - è quello legato ai valori caratteristici di natura immateriale che esprime:
a) Qualità di vita
b) Capacità di esprimere relazioni
c) Capacità di esprimere autenticità e sincerità (in vino veritas)
d) Salute, per i suoi aspetti funzionali (polifenoli, nutrimento, digestione, ecc)
e) Modalità d’uso e di impiego (riti, cultura del suo trattamento e degustazione)
f) Eventi culturali e di intrattenimento in sinergia con tutte le eccellenze del territorio.
g) Abbinamenti enogastronomici e, quindi, tutta la ristorazione di qualità.
h) Valorizzazione di tutti i prodotti, servizi che fanno parte degli orgogli e delle tradizioni locali
i) Valorizzazione dei beni storici e naturali
j) Valorizzazione dei beni artistici e cultuali
k) Coinvolgimento e partecipazione della gente
l) Ospitalità e generosità del popolo italiano
m) Promozione turistica del territorio in cui si produce
n) Paesaggio (elemento vincolante oltre ai temi collegati alla sostenibilità)
o) Bellezza
Tutto questo ed altro ancora fa parte dei valori autentici che il vino italiano è in grado di offrire, un insieme composito non riscontrabile altrove che, se ben integrato, sostenuto e inserito all’interno di una chiaro Posizionamento di territorio non solo produce benessere e valore per tutta la specifica comunità, ma anche per l’intero paese stante la diffusa proliferazione territoriale di questa fondamentale cultura.
Se poi questi valori sono anche sostenibili in relazione ai propri impatti ambientali si determina un cocktail straordinario in grado di garantire vitalità e ricchezza (materiale e immateriale) complessiva per l’intero paese.

Attilio Scienza - Presidente del Corso di laurea di Viticoltura ed Enologia, Università degli Studi di Milano: “Zoè e Bios, la compatibilità ambientale tra esoterismo e razionalità”
L’irruzione della new age e della antroposofia nelle pratiche agricole, se da un lato ha avvicinato molti consumatori al mondo rurale , dall’altro ha messo in discussione secoli di cultura agronomica, riportando tra, le pratiche produttive, l’esoterismo preilluminista.
Il consumatore, sempre più lontano non solo fisicamente dai luoghi dove si producono gli alimenti, mentre manifesta un comportamento fidelistico in alcuni “segni” che il produttore biodinamico adotta e che hanno solo un significato simbolico e che non sono giustificabili dai riscontri del metodo scientifico, accoglie con un atteggiamento di scetticismo le ragioni dei produttori convenzionali.
Probabilmente “la virtù sta nel mezzo”,nella possibilità cioè di utilizzare gli strumenti della ricerca per dimostrare l’efficacia di alcune “buone pratiche “ nella gestione dei vigneti per raggiungere un prodotto di alta qualità organolettica e nutraceutica.
Per rassicurare il consumatore è però necessario sostenere i riscontri analitici con un approccio olistico, che identifichi nel mantenimento della biodiversità del vigneto,in tutte le sue forme,l’obiettivo della viticoltura del futuro.
La gestione dell’interfaccia “suolo-atmosfera” si dimostra a questo proposito cruciale per garantire un alto livello di biodiversità nel vigneto . L’identificazione di questa zona come una sorta di “terzo paesaggio” ,una zona di prossimità tra chioma e radice, (come per G.Clement è la periferia compresa tra città e ruralità,) ci consente di valutare la biodiversità vegetale, animale,fungina ed enzimatica come indicatori dell’equilibrio naturale del vigneto ,non solo per rassicurare il consumatore ma per consentire una riduzione degli imput energetici. A tal riguardo diventerà fondamentale la possibilità di valutare una corretta gestione delle risorse idriche del vigneto,basata non sulla possibilità di irrigare ma sull’applicazione dei principi dell’aridocultura e sulla creazione di portainnesti resistenti alla siccità.

Aldo Longo - Direzione Generale agricoltura e sviluppo rurale Commissione Europea: “La politica agricola comunitaria dopo il 2013: una risposta alle nuove sfide economiche, sociali e ambientali per uno sviluppo intelligente e sostenibile”
Tra recente passato, presente e una prospettiva per il futuro non ancora sufficientemente definita: partendo da un bilancio dei primi anni di esperienza dell’ultima riforma della politica dell’Unione Europea è possibile svolgere alcune considerazioni sulla congiuntura politica attuale e sulle prospettive per il 2013. In questo contesto appare ancor più interessante iniziare a riflettere sugli elementi essenziali di maggior interesse per il settore della proposta di riforma della politica agricola comune che entrerà in vigore nel 2014. Il tutto deve essere inquadrato in una riflessione sullo stato dell’arte dell’attuale scenario di negoziato a livello delle Istituzioni europee, con particolare attenzione al problema della dotazione di bilancio ed alle criticità del dibattito in corso per il settore vitivinicolo.

Mauro Rosati - Direttore Fondazione Qualivita
La qualità assume oggi un significato sempre più complesso e articolato. Cresce infatti la sensibilità del consumatore verso i molteplici aspetti della qualità di un prodotto, che comprendono anche l’impatto ambientale e quello sociale di ciò che consuma. Questa rinnovata percezione della qualità coinvolge anche l’impresa che, come parte del sistema produttivo, deve tenerne conto. In questo contesto, i sistemi di certificazione obbligatoria/volontaria e i bilanci sociale, ambientale e di sostenibilità possono essere considerati strumenti a disposizione delle imprese per rispondere a questa nuova percezione. L’alimentazione è l’ambito in cui il consumatore manifesta maggiormente l’esigenza di essere rassicurato sulla qualità, tenendo conto di fattori quali origine delle materie prime, stagionalità, tipicità, sostenibilità (come dimostra l’emergere di nuovi stili di consumo, ad es. linee di prodotti dedicati anche nella gdo, gruppi di acquisto solidale, orti cittadini, farmers market, ristoranti a km 0).
Un aspetto dell’evoluzione degli stili di consumo alimentare è legato all’accresciuta necessità di mangiare fuori casa, dovuta ai cambiamenti nell’organizzazione del lavoro, dello studio e del turismo. I risultati di una recente indagine in merito dimostrano che 21 milioni di persone in Italia consumano ogni giorno un pasto fuori casa, e che Il 78% di queste persone vorrebbe più informazioni sugli ingredienti e la preparazione degli alimenti. Emerge dunque l’esigenza dei consumatori di essere rassicurati sia sulla qualità del cibo somministrato che sulla veridicità delle informazioni e dei messaggi promozionali comunicati dalle strutture di ristorazione commerciale, ristorazione collettiva e catering, che si sono sempre più diffuse negli ultimi anni (dati ricerca Nielsen).
Tuttavia, esiste un gap di comunicazione fra il sistema produttivo che si avvale delle certificazioni e i consumatori che dovrebbero essere i destinatari ultimi del messaggio che queste contengono. In molti casi il consumatore non conosce il significato delle certificazioni cui l’azienda aderisce o può avere difficoltà ad interpretare l’insieme degli schemi di certificazione utilizzati in modo da riuscire a sintetizzare il comportamento dell’azienda nei vari aspetti della propria attività.
La Fondazione Qualivita ha voluto porre attenzione a queste tematiche, ideando lo Standard Qualivita, uno strumento finalizzato a colmare il gap di comunicazione fra imprese della ristorazione e consumatori, dando un valore oggettivo alla qualità alimentare e responsabilizzando le aziende su questo tema. Lo Standard interviene infatti nel campo della comunicazione delle aziende della ristorazione, contribuendo alla costruzione di una informazione chiara, efficace e attenta a veicolare messaggi i cui contenuti siano affidabili.
Lo Standard Qualivita rappresenta il primo passo per l’introduzione del Bilancio della Qualità delle aziende della ristorazione. L’idea forza della proposta è di fornire uno strumento che rappresenti la sintesi degli altri bilanci (bilancio di sostenibilità, bilancio ambientale, bilancio sociale), in grado di comunicare al consumate in modo efficace, chiaro, fruibile, l’insieme delle politiche di qualità dell’impresa (incluse le politiche in tema di trasparenza e veridicità delle informazioni).

Mario Guidi - Presidente Nazionale di Confagricoltura
Il crescente interesse verso le problematiche ambientali ha incentivato molte aziende a valutare gli aspetti di natura etico-sociale e di sostenibilità ambientale della propria attività produttiva. Le aziende vitivinicole pongono la sostenibilità fra le leve di marketing con cui agire sul consumatore ed, anche se, la percezione della qualità del vino rimane legata fortemente al territorio, essa si sta ampliando velocemente anche a criteri di qualità ambientale. Se si vuole preservare e proteggere la vitivinicoltura mondiale, l’impegno verso il raggiungimento degli obiettivi della sostenibilità ha sempre meno le connotazioni di una scelta e sempre più quelle di una necessità.
L’impegno di Confagricoltura sarà quello di vigilare sulla definizione dei criteri in modo da non vincolare la competitività delle nostre aziende nel mercato internazionale ma al tempo stesso di valorizzare quanto attiene alle nostre specificità produttive.
La sensibilità economica degli operatori oltre che a puntare sulla qualità dei prodotti ha fatto sì che la tutela dell’ambiente e la valorizzazione del paesaggio sia diventato un punto di forza del sistema produttivo italiano. La struttura produttiva è molto solida ed il vigneto italiano nel complesso è realizzato secondo i principi della vitivinicoltura più evoluta e molto vicina anche ai principi della viticoltura sostenibile.
Occorre che ci sia correttamente il giusto equilibrio tra regole e vincoli e un’efficiente gestione economica delle aziende. L’approccio sostenibile alla viticoltura si declina in un senso di moderazione. Le scelte agricole che conservano l’integrità degli ecosistemi, e le tecniche enologiche che esaltano le specificità locali costituiscono la base di un approccio per la sostenibilità del vino, un concetto che va oltre gli stili, i volumi e le tecniche di produzione.

Fernanda Cecchini - Assessore all’agricoltura della Regione Umbria
I temi trattati nei progetti del settore vitivinicolo nell’ambito della Misura 124 del PSR vanno nella direzione di una viticoltura sempre più efficiente e sempre meno impattante, in grado di produrre uve di grande qualità ed anche e con caratteristiche peculiari in un ottica di sostenibilità. Negli ultimi anni, all’interno del settore agro-alimentare, sia l’interesse pubblico, sia gli aspetti legislativi si sono rivolti sempre di più alla sostenibilità ambientale e alla salute del consumatore. Questo fatto porta le aziende che producono prodotti per il consumo alimentare a cercare soluzioni innovative per assicurare ai propri clienti un consumo sicuro; per fare ciò è importante ragionare in un’ottica di filiera produttiva, che comprenda le principali attività e risorse che concorrono alla creazione del prodotto finito.
Per il settore vitivinicolo in particolare risulta indispensabile quindi visualizzare, all’interno di ogni obiettivo che l’azienda si propone, quali possono essere gli aspetti di interesse sia in ambito viticolo che enologico. Durante la produzione dell’uva e successivamente del vino vi sono infatti diverse operazioni indispensabili che tuttavia possono a lungo andare nuocere all’ambiente, ai consumatori e ai tecnici stessi; importante è quindi cercare di minimizzare questi rischi. Il vino inoltre può essere anche portatore di benefici per l’uomo; il lavoro di chi produce vino deve quindi vertere alla creazione di un prodotto con qualità organolettiche gradevoli, ma preservando o agevolando la sintesi di quei composti utili all’organismo umano.
Considerando questi aspetti vengono prese in considerazione alcune possibili innovazioni che si inseriscono all’interno dei progetti di sviluppo di nuovi prodotti/processi/tecnologie/sistemi e metodi di lavoro, di innovazioni per il miglioramento delle performance ambientali dei processi produttivi e di innovazioni per l’utilizzazione di prodotti e sottoprodotti. Gli obiettivi che i progetti si pongono sono di introduzione e realizzazione di innovazioni atte a rendere determinati processi produttivi più efficienti ed ecocompatibili, a minimizzare gli sprechi di energia e di materiali e a massimizzare i benefici salutistici del prodotto finito.
La individuazione e introduzione delle innovazioni di questi progetti ha un obiettivo comune sintetizzabile nell’aumento dell’efficienza del processo di produzione ovvero nella diminuzione degli impatti che ne derivano. Ci si attende quindi che l’introduzione delle innovazioni perseguite e descritte da questi progetti, consentano da un lato di effettuare la produzione primaria con minore spreco di risorse e quindi di conseguire economie a lungo termine, e dall’altro, attraverso la comunicazione dei risultati ottenuti, di dare nuovo slancio alla commercializzazione dei vini così ottenuti.

Donatella Tesei - Sindaco di Montefalco
L’edizione 2012 di Enologica Montefalco focalizza la sua attenzione sulle tematiche correlate alla sostenibilità e alla green economy del sistema territorio: un’analisi approfondita sullo stato attuale per l’avvio di uno studio finalizzato ad individuare gli obiettivi per gli anni futuri. Il territorio di grande valore culturale ed economico del Comune di Montefalco va sostenuto con azioni di promozione volte alla conoscenza delle sue eccellenze e alla tutela del patrimonio ambientale. Supporto fondamentale è la certificazione Emas, strumento di politica e di pianificazione ambientale del territorio, che richiede parametri qualitativi elevati mantenuti durante il corso degli anni dall’Amministrazione Comunale con continuità. La salvaguardia del territorio e la valorizzazione economica della nostra vitivinicoltura sono assolute priorità: il nostro patrimonio agricolo, di cui il Sagrantino è il vero protagonista, può e deve puntare solo sulla qualità che oggi più che mai significa anche sostenibilità, via capace di generare grandi risparmi ed efficienze nelle aziende che si trasformano poi in maggiore competitività.

Focus - Il presidente Mario Guidi (Confagricoltura): “l’Italia può assumere la leadership della vitivinicoltura sostenibile europea”
“L’obiettivo-sostenibilità per chi fa vino oggi è ormai una scelta irrinunciabile, nell’ottica di preservare e proteggere la vitivinicoltura mondiale, creando valore. Il crescente interesse verso le problematiche ambientali ha spinto molti produttori a valutare gli aspetti etico-sociali e ambientali della loro attività produttiva, tanto che un numero sempre maggiore di aziende pone la sostenibilità fra le leve di marketing con cui agire sul consumatore”. Lo ha detto, l’altro ieri, a Montefalco, il presidente Confagricoltura Guidi.
“Il nostro Paese - ha sottolineato il presidente di Confagricoltura Mario Guidi - ha le carte in regola per sostenere una posizione di leadership a livello europeo sulle norme sostenibili: in Italia la biodiversità è molto spiccata, come testimonia il numero di vitigni autoctoni; il paesaggio viticolo, a parte qualche eccezione, è preservato e valorizzato ed il clima agevola la lotta alle malattie del vigneto. Ma perché questo si realizzi occorre che ci sia un corretto equilibrio tra regole, vincoli e un’efficiente gestione economica delle aziende. Proporre un protocollo di vitivinicoltura sostenibile è senz’altro in linea con le esigenze di tutela del patrimonio naturale, ma è importante che sia anche compatibile con la logica d’impresa”.
“L’impegno di Confagricoltura sarà quello di vigilare sulla definizione dei nuovi criteri in modo da non penalizzare la competitività delle nostre aziende nel mercato internazionale e al tempo stesso di valorizzare quanto attiene alle nostre specificità produttive. L’approccio sostenibile alla viticoltura si declina in un senso di moderazione. Le scelte nel vigneto, che conservano l’integrità degli ecosistemi, e le tecniche enologiche che esaltano le specificità locali costituiscono la base di un approccio per la sostenibilità del vino, un valore aggiunto agli stili, ai volumi e alle tecniche di produzione”.

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