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UN “CONTINENTE” NEL CALICE

I migliori assaggi di “Sicilia en primeur”: dalla “città della scienza” Erice i colori di Trinacria

Se la geografia di un territorio può mitigare il cambiamento climatico e i suoi effetti nel bicchiere, la Sicilia si rivela campionessa di stabilità

Fare vino - e non solo, partendo dal presupposto che la viticoltura è innanzitutto un atto agricolo - diventa sempre più difficile, in un quadro climatico che, a causa dei suoi cambiamenti, negli ultimi 20 anni, ha portato a fenomeni sempre più estremi che incidono sul benessere delle piante e quindi sulla qualità di uva che producono. “Sicilia en Primeur” n.18 by Assovini Sicilia, il più importante evento enologico siciliano, ad Erice nel Centro di Cultura Scientifica Ettore Majorana, dal 29 aprile al 1 maggio, non può che partire da questa situazione globale e dai suoi effetti locali per spiegare l’andamento climatico, le previsioni future e le conseguenze nel bicchiere. Cosa è stato e cosa ci aspetta dal clima, dalle vigne e dal vino nelle parole dal consulente enologo trentino di Assovini Sicilia Mattia Filippi e dal professor Marco Moriondo dell’Istituto di Bioeconomia del Cnr di Firenze, nel convegno di apertura della kermesse, che ha preceduto la degustazione ai banchi con i produttori e la degustazione tecnica.
Dal punto di vista macro-tematico, l’intervento del professor Marco Moriondo dell’Istituto di Bioeconomia del Cnr di Firenze, tratteggia il quadro generale dentro cui si devono concentrare gli sforzi nel trovare soluzioni compatibili con i cambiamenti in atto. Il professore spiega, infatti, come la produzione di vini di qualità sia innescata dall’interazione - stabilitasi in base all’esperienza dell’uomo nel corso del tempo - fra suolo-clima e vitigno; e come una minima variazione in uno di questi fattori sia destinata ad alterare la tipicità delle produzioni vitivinicole, con conseguenze misurabili anche su un mercato divenuto ormai globale. “Le evidenze scientifiche hanno già mostrato come l’incremento delle temperature osservate negli ultimi 50 anni abbia alterato i ritmi stagionali di sviluppo e crescita della vite nelle più importanti aree di coltivazione nel mondo - ha precisato Moriondo - determinando, a seconda dell’area geografica, incrementi drastici di produzione (come in nord Europa) o forti riduzioni (come in sud Europa e Australia), con alterazione delle caratteristiche qualitative dell’uva”.
I livelli di Co2 aumentano costantemente dal 1999, con un incremento di di oltre 1/3 dagli anni Sessanta ad oggi. Ciò ha causato un deciso aumento delle temperature, ma non quantità di pioggia: dagli anni Ottanta agli anni 2000, infatti, le variazioni si sono attestate intorno allo zero, mentre ciò che è significativamente cambiato è la distribuzione dell’acqua caduta, che cambia sotto forma di numero di giorni piovosi, in diminuzione in tutta Italia. Insomma, stessa quantità in meno giorni, con eventi più intensi : le famose “bombe d’acqua”. “L’impatto però è asimmetrico - ha spiegato Moriondo - perché la distanza da un giorno piovoso e l’altro è in aumento nelle zone distribuite intorno al Mediterraneo, mentre l’Est Europa ne è praticamente immune, dove Francia meridionale, Spagna, Italia e Grecia (da un punto di vista europeo) sono le zone maggiormente sottoposte a questo tipo di stress”. Sulla vite, in particolare, influisce la temperatura. Più fa caldo, più si anticipa la fase fenologica e si accorciano i tempi fra germogliamento, fioritura, allegagione, invaiatura e maturazione. Questo si traduce in una riduzione del tempo utile ad accumulare biomassa, che significa meno produzione, che si aggiunge alla riduzione delle rese causate dai rischi di ritorni di freddo in fase di germogliamento in primavera.
Anche qui, però, la situazione cambia a seconda della posizione nell’emisfero: nella Germania meridionale, ad esempio, nell’ultimo secolo si è verificato un’importante impennata nelle rese, in corrispondenza dell’aumenta temperature. In queste zone, infatti, non è l’acqua che limita la produzione, ma il freddo, quindi l’aumento delle temperature ha incrementato sia le rese che la qualità dell’uva, grazie alla variazione nel grado zuccherino. All’opposto, in Australia, l’aumento delle temperature dal 1985 ha portato a conseguenze drastiche nel calo di produzione e nella qualità delle uve prodotte.
Traslato in Italia, queste differenze sono percepibili anche fra Sicilia e Nord Italia. Dal 2006 al 2021, la prima ha vissuto una costante riduzione nella produzione, mentre la Lombardia, al contrario, un aumento costante dal 1951 al 2010. C’è, però, un particolare che avvantaggia la Sicilia: l’influenza dei picchi. Mentre il nord Italia soffre ogni variazioni climatica (producendo di più o di meno ogni volta che sale o scende la temperatura), la Trinacria gode di una stabilità sorprendente, probabilmente perché già abituata alla variabilità estrema, cui i vitigni nel tempo si sono adattati, anche grazie alla selezione effettuata dall’uomo di anno in anno. Non solo: pare che anche l’orografia del territorio abbia voce in capitolo. In Australia sono completamente in balia della variabilità climatica (molto più del nord Italia) anche a causa della sua omogeneità territoriale. I territori che invece contengono diversi microclimi, hanno capacità di adattamento maggiore perché gli effetti ne vengono rallentati.
Ma quali sono gli effetti di questi macro cambiamenti climatici percepibili dentro l’acino? “Le temperature in salita aumentano il grado zuccherino e diminuiscono il grado di acidità, disaccoppiando due valori in simbiosi, con effetti deleteri sui risultati enologici, soprattutto considerando i due fattori “temperatura” e “disponibilità idrica” nel bacino del Mediterraneo da qui a prossimi trent’anni (con variazioni significative nelle previsioni a seconda del modello utilizzato) . Come già detto, ci sarà un impatto asimmetrico fra nord e sud Europa, con una proiezione che vede un calo delle rese soprattutto nel sud della Francia, della Spagna e dell’Italia, in Turchia e Grecia. La Toscana, però, se teniamo conto della variabilità geografica del territorio, dimostra che ciò che vediamo a livello globale può essere diverso a livello locale. A 100 metri s.l.m. l’aumento delle temperature fa crollare la qualità delle uve, a 400 metri la qualità aumenta per crollare in un secondo momento, a 600 aumenta gradualmente senza diminuire. Le fasce altitudinali - ha concluso Moriondo - sono quindi un confine da esplorare, perché il rialzo delle temperature rendono disponibili alla viticoltura altitudini che prima non lo erano. La viticoltura quindi non scomparirà: dovrà adattarsi. E la ricchezza geografica e micro-climatica aiuterà questo adattamento.
Mattia Filippi, enologo e co-fondatore di “Uva Sapiens”, illustra nello specifico (ecco quindi il “promettente focus regionale”) come oggi la Sicilia si trovi in una condizione di privilegio rispetto ai cambiamenti climatici europei e globali, sotto forma di preoccupanti dinamiche meteo-climatiche lente, che però fanno i conti con fenomeni meteorici sempre più estremi. L’isola si trova, infatti, in una condizione di assetto viticolo talmente legato alla tradizione che oggi, una serie di variabili produttive ad essa legate, risultano essere estremamente attuali nei confronti dei cambiamenti climatici. Le varietà autoctone giocano un ruolo chiave anche in tal senso. La Sicilia è stata ed è un grande laboratorio vitivinicolo e godrà di un’attenzione speciale per i prossimi decenni da parte di altri importanti territori viticoli, che fanno già i conti seriamente con i cambiamenti climatici, dalla California all’Australia.
Se la natura tende “naturalmente”all’equilibrio, così dovrebbe fare l’agricoltura. Inserendo nell’equazione tutte le variabili climatiche energetiche in atto nell’ambiente, il territorio ci dimostra come ci siano terreni vocati che reagiscono bene e zone non vocati che reagiscono male, con tante sfumature nel mezzo. Se ci aggiungiamo i fattori produttivi causati dall’uomo le cose si estremizzano. Oggi abbiamo gli strumenti per intervenire, in parte calmierare questo risultato e spesso sono azioni che sono legate alla gestione quotidiana e personale dei campi. Questo lavoro continuo, che prende forma dalla tradizione, ci permette di raccogliere esperienza, che l’era contemporanea riesce a trasformare in dati e modelli previsionali. “Da secoli la viticoltura affronta sfide che è riuscita via via a superare; la fillossera con la rivoluzione dei porta-innesti, il passaggio dalla produzione di quantità a quella di qualità, il passaggio dall’enologia moderna a quella post-moderna, ora il clima. “A proposito di porta-innesti, - ha ricordato Filippi - furono Paulsen e Ruggeri ad importare le prime marze di contrabbando fondandone l’industria e dimostrando quanto l’avanguardismo siciliano si insinuasse anche in ambito agronomico. Al tempo non venivano innestati sui porta-innesti i vitigni internazionali, che in Sicilia non arrivavano, ma si sceglievano dalle varietà locali, fra le più forti e resilienti alle difficoltà del luogo. Oggi sappiamo che il Catarratto matura in Sicilia nello stesso periodo dello Chardonnay a Chablis. L’enorme varietà ampelografica siciliana si è creata così e ciò che rendeva anacronistica la regione fino a 50 anni fa, oggi ne fa un punto di forza attuale. Un esempio su tutti: lo Zibibbo è padre di 60 diverse varietà”.
Non basta: esistono 40 forme di allevamento diverse in Italia, che sviluppano chiome diverse. Oggi sappiamo che il nanismo e limitarne la crescita non va più bene per il clima odierno: l’alberello classico siciliano, apparentemente disordinato, regala invece diversi strati di foglie che proteggono il grappolo dall’eccesso di sole o di acqua. Anche sul suolo, la Sicilia ha accumulato esperienze utili, ad esempio, per risparmiare la disponibilità idrica: quando non c’è ci si ingegna a conservarla, sia nel modo di lavorare il terreno, sia nel proteggerne l’humus, tramite sovesci o inerbimenti.
Per quanto riguarda l’analisi dell’ultima vendemmia, il livello produttivo siciliano è stabile sui circa 4 milioni di ettolitri, leggermente sotto la media dei ultimi 10 anni come i trend a livello globale, ma per superficie, e grazie alla visione produttiva, qualitativa, non sta cambiando molto. Il 2021 ha registrato un +8,3% sul 2020. In confronto ad altre regioni del vino italiano, come Toscana, Piemonte, Veneto, Puglia, Emilia Romagna, dove le oscillazioni produttive sono molto più alte, la Sicilia è più stabile, e la costanza è indice di qualità, perché ogni variazione di annata è più facile da gestire grazie alle conoscenze ed esperienze via via accumulate.
Dal punto di vista climatico, dal 1980 le temperature sono in aumento, e dagli anni 2000 la variazione è estrema. Sull’isola le anomalie registrate sono tuttavia minori rispetto al resto d’Europa: il cambiamento è più lento per via delle correnti balcaniche e del mare che attornia il territori. Gli effetti ci sono, certo, ma meno drammatici che altrove: i picchi di caldo e la concentrazione di piogge esistono, ma gli aumenti oltre la media sono piccoli. Nel dettaglio, l’annata 2021 ha registrato un inizio di primavera con temperature sotto la media che ha ritardato il germogliamento e la fioritura, mentre la tarda primavera e l’estate hanno riportato le temperature in rialzo attestandole sopra la media: la produzione è stata quindi ottima, con una riduzione in quantità a causa dello stress. L’indice di siccità è di entità moderata e ad oggi avviene in zone dove la viticoltura non è molto presente. Il problema maggiore della Sicilia, a riguardo, è che l’acqua c’è ma non si riesce a conservare nella rete idrica regionale. Da marzo a fine settembre, durante il periodo vegetativo, gli equilibri nei rapporti idrici sono molto simili da un anno all’altro: si registrano leggeri anticipi o periodi di secca più lunghi, ma nel complesso gli ultimi 6 anni si sono rivelati stabili nelle diverse province: i dati cumulati ci dicono che sono circa 200 i millilitri di pioggia caduta annui, con un rapporto fra pioggia totale e periodo vegetativo del 25%. Le varietà autoctone, ancora una volta, hanno risposto bene allo stress estivo. Il Catarratto e il Lucido sono maturati bene, la produzione di Grillo ha subito un leggero calo ma sviluppando espressione tioliche interessanti e moderne. Fra i rossi, il Merlot e Syrah e Cabernet sono maturati molto bene, confermando che gli internazionali sono stati capaci di adattarsi bene in Sicilia. Nel Sud, l’Inzolia ha sviluppato buoni profumi e livello alcoolico. Il Nero d’Avola, con i suoi caratteri sempre diversi a seconda delle province dove cresce, ha dato a tratti risultati eccezionali. C’è stato qualche anticipo di sviluppo sul Moscato ma ben gestito, il Frappato non ha avuto problemi, mentre sull’Etna i rossi sono maturati prima dei bianchi, regalando un’annata potente e buona, anche per il Carricante e il Nocera.
Da questi presupposti, ecco i migliori assaggi della redazione di WineNews, selezionati a “Sicilia en primeur” 2022 di Erice, fra bianchi, rosati, rossi e passiti, che poi andranno a comporre, insieme anche ad altri assaggi, la newsletter “I Quaderni di Winenews” (a fine maggio):

Fondo Antico, Sicilia Inzolia Sole 2021
Zagara, cedro, mandorla fresca, mentuccia e lavanda, per una bocca fresca e vanigliata, sapida poi, lievemente amaricante di cedro.

Cottanera, Etna Bianco Contrada Calderara 2019
Carricante che sa di pietra focaia con intense note citrine, poi burro; sapido in bocca, si diffonde minerale, con note di agrumi succosi.

Pietradolce, Terre Siciliane Carricante Sant’Andrea 2017
Super concentrato nel colore, giallo di frutta e fiori, sorso largo, intenso, sapido, tannino centrale, poi burro, ginestra e cedro candito.

Vivera, Etna Bianco Salisire 2017
Carricante che profuma di fiori gialli e frutta bianca, melone giallo, melissa e piccola nota burrosa, citrino in bocca, poi vaniglia, scorre sapido colmando la bocca in modo saporito.

Mandrarossa, Terre Siciliane Fiano 2021
Vivace: frutta gialla, fiori bianchi, salvia a dare il tocco balsamico, in bocca è fresco, caldo, pepatino e sapido e scorre bene.

Feudo Principi di Butera, Sicilia Grillo Diamante 2021
Giallo rosato nel colore, sa di fragolina di bosco, mandorla fresca; molto fresco in bocca, poi morbido e ammandorlato, burroso, zagara nel finale, lievemente pepato.

Tasca d’Almerita, Sicilia Grillo Mozia 2021
Naso delicatissimo di zagara, acacia, melone bianco, cedro, mandorla, melissa, in bocca è sapido, materico, poi scorre via con freschezza lasciando iodio, pera, lavanda e mentuccia

Cantine Fina, Terre Siciliane Zibibbo Taif 2021
Un aranceto nel bicchiere, zagara, mandorla fresca e mentuccia, intenso e pulito, anche il sorso è molto intenso, fresco e leggermente sapido nel ritorno.

Dimore di Giurfo, Terre Siciliane Frappato Pian della Signora 2021
Rosato intenso e piacevole, dolce, ma agrumato, note di salvia e timo, rosa, lampone, pompelmo e cedro, che si ritrovano in bocca, fresco e citrino, sapido nel finale, molto floreale e agrumato.

Baglio di Pianetto, Terre Siciliane Syrah Baia Syrah 2021
Rosato luminoso ma molto delicato al naso di boccioli di rosa rossa, in bocca scorre bene, agrumato e floreale e sapido.

Casa Grazia, Sicilia Frappato Laetitya 2021
Ribes rossi, rovo e lampone, dolce e pungente insieme, in bocca è dolce e acido, quasi aspro, tannico ma dissetante.

Planeta, Vittoria Frappato 2021
Chiaro e dolce, ciliegia e vaniglia, aderente, ma si ripiglia in freschezza, rosa rossa, ciliegia e lampone, piacevole nel suo essere grazioso.

Tornatore, Etna Rosso Pietrarizzo 2018
Nerello Mascalese lieve al naso, sopratutto fiori macerati, lampone; il sorso è leggero, il tannino c’è, frontale, gusto di fragola, pepato e fresco nel finale.

Firriato, Etna Rosso Cavanera Rovo delle Coturnie 2016
Arancia rossa, spezia e vaniglia, poi note di ciliegia e ferrose, di sottobosco; in bocca è dolce e fruttato, dove resta la vena verde che allunga il sorso sapido e pepato, con sapore di ciliegia nel finale.

Cusumano, Sicilia Nero d’Avola Sagana 2019
Concentrato di viola, caramella alla mora e vaniglia, spezie dolci, tannino allappante, frontale, poi dolce nel gusto buono e deciso.

Assuli, Sicilia Nero d’Avola Lorlando 2019
Ciliegia, ribes rossi, sottobosco terroso, vaniglia; la bocca è dolce di caramella di viola, sapida, con note di rovo piacevoli.

Feudo Arancio, Sicilia Nero d’Avola Hedonis Riserva 2015
Un concentrato di arancia, vaniglia e tamarindo, c’è tanto tannino e tanta ciliegia, che s’imprimono con spezie legnose dolci, e una chiusura calda e pepata.

Rapitalà, Sicilia Nero d’Avola Alto Reale 2020
Note di wasabi, poi ciliegia, aromi terrosi di radici e poi di vaniglia; il sorso è molto dolce e ha aderenza che sa di caramella alla mora e vaniglia, con una vena vegetale che sostiene.

Baglio del Cristo di Campobello, Sicilia Syrah Lusirà 2019
Sa di viola e vaniglia, frutta rossa in confettura, radici e funghi; la bocca è dolce e vivace di lampone, ribes, vaniglia, pepato, e aderisce restando piacevolmente saporito di agrumi rossi.

Donnafugata, Passito di Pantelleria Ben Ryé 2019
Tanto fiore, nocciola, miele di castagno, cera, è molto dolce, ma anche profondo, salamoia e albicocca disidratata, sapore di fico in bocca, con la cioccolata, la cera d’api, l’arancia candita, è sapido e fresco abbastanza da muoversi, lento, verso la gola.

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