“I vignaioli sono dei benefattori dell’umanità, dei monumenti nazionali che dovrebbero essere onorati come i musicisti, i pittori e i poeti. Io li guardo come colleghi, tali e tante sono le affinità tra l’uomo del libro e quello del vino. Un anno di lavoro paziente, di cure meticolose, le stesse preoccupazioni durante la gestione, i temporali, le grandinate, le gelate tardive, i periodi di siccità … Potatura, diserbo, concimazione, cancellature, rettifiche sono necessità che si impongono nello stesso modo al vignaiolo e allo scrittore fino al momento dell’imbottigliamento o della stampa. Alla fine, si confezionano i libri e si incollano le etichette. In entrambi i mestieri si parla di tirage”. È la riflessione di Gérard Oberlé, considerato uno dei più grandi bibliofili francesi, nel volume “Itinéraire spiritueux”. Attualissima, anche quando lo scrittore francese fa notare i passaggi successivi che accomunano la produzione di un vino come di un libro: “e poi - scrive - la creatura vi sfugge di mano, i critici lo incensano o lo stroncano, è il momento del successo o della delusione. Fiere e saloni, assegnazioni di premi e di medaglie; traduzioni in lingue straniere ed esportazione. La messa in vendita di un millesimo è l’inaugurazione della nuova stagione editoriale del vignaiolo. I bevitori e i lettori attendono le novità. Con gli anni, alcuni di loro diventano fedeli, altri sono delusi e vi abbandonano, ma a volte tornano”.
“Itinéraire spiritueux” è il volume scritto da Oberlé nel 2006 (Éditions Grasset, pp. 280, prezzo di copertina 19 euro) a partire dal presupposto che “spirituale e spiritoso derivano dalla stessa radice”. Da bambino, era in chiesa e nel bistrot che l’autore di “Itinéraire spiritueux” imparava la musica, attraverso inni e bevute, “crescendo come un giglio di campo tra l’acqua benedetta e l’acquavite, in un tempo e in un ambiente dove ad andare di moda erano i buoni mariti, i buoni padri, i buoni lavoratori ed i buoni cristiani”, e la pratica quotidiana di queste virtù esigeva un compenso. “Le stesse virtù che si cercano spesso in una buona bottiglia”.
“Tragitti bagnati, itinerari traboccanti di romanticismo, con baccanali e sbornie domestiche o esotiche, vie solenni e vicoli ciechi, rollio e beccheggio, incontri belli e conti pesanti da pagare, lusinghe e brancolamenti nel buio, 60 anni a velocità di crociera in cui i venti soffiano come desideri di festa, con scogliere dove cantano le sirene, porti senza angoscia, cabaret come ultima possibilità e, sempre, nuove attrezzature”, scrive Oberlé - autore, tra gli altri, nel 1989 per le Éditions Belfond, di “Les Fastes de Bacchus et de Comus, ou histoire du boire et du manger en Europe de l'Antiquité à nos jours, à travers les livres”, catalogo bibliografico di un'importante raccolta di 1.181 libri di gastronomia, nel 1992 di “Une bibliothèque bachique: collection Kilian Fritsch”, catalogo del collezionista di libri di vino ed enologia, e nel 2002 della “Bibliothèque bachique de M. Bernard Chwartz, livres et documents anciens et modernes sur le vin, la viticulture et l'œnologie”, mentre tra i suoi ultimi volumi ci sono le novelle “Heptaméron avec chardonnay” sempre per Grasset - secondo il quale “l’antica parola ubriacone è l’anagramma di vignaiolo”. E di averli voluti celebrare entrambi “in una storia familiare e burlesca dove si incontrano poeti e contadini, brave ragazze e ragazzacci, canonici e cani, baristi, parrocchiani di ogni sorta ... e anche mio padre. Il fondo della bottiglia mi è servito come cannocchiale e i bicchieri da cocktail come caleidoscopio. Diciamo che come visione del mondo è un po’ torbida. Una chance! Quando vedrò le cose come sono veramente, sarà arrivato il momento di chiudere bottega”.
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