
Un mercato che è ancora una nicchia, ma destinato a crescere con prospettive interessanti, anche in Italia, e da vedere non come “antagonista” al vino tradizionale. Per farlo, serve anche una svolta rapida, richiesta dal mondo del vino, per agevolarne la produzione. “Zero alcol e attese dal mercato”, il focus di scena oggi a Vinitaly 2025, a Verona, con in prima linea l’Unione Italiana Vini - Uiv e il contributo di professionisti, dal mondo produttivo agli importatori, dalla distribuzione all’horeca, ha acceso i riflettori sul mercato dei “No-Lo” (no e low alcol). Un mercato globale che attualmente vale 2,4 miliardi di dollari e che punta a raggiungere i 3,3 miliardi di dollari nel 2028 secondo l’analisi dell’Osservatorio del Vino Uiv-Vinitaly, su base dati Iwsr, presentata da Carlo Flamini, responsabile dell’Osservatorio. Numeri che ancora sono bassi, se guardati in un’ottica complessiva del prodotto vino, ma che non possono essere trascurati considerando anche l’evoluzione della produzione, della scelta dei consumatori e gli investimenti degli imprenditori.
Per i no e low alcol è previsto un Cagr (tasso annuo di crescita composto) in volume del 7% nel periodo dal 2024 al 2028 a differenza di un -0,9% del totale vino. Ed ancora, +8,1% in valore dei “No-Lo” e +0,3% del totale vino sempre nello stesso periodo. L’incidenza dei vini “No-Lo” sul totale vino è passata dallo 0,6% del 2019 all’1,2% del 2024 ed è prevista che sarà dell’1,6% nel 2028. Dei 2,4 miliardi di dollari di valore, due terzi (1,6 miliardi) arriva dagli spumanti (0,8 dai vini fermi), e la previsione è che questi saliranno a 2,1 miliardi nel 2028 contro gli 1,2 miliardi dei vini fermi. Il Cagr 2024/2028 segna +2,1% per gli spumanti tradizionali e +6,4% per i “No-Lo”, +0,1% per i vini tradizionali fermi e +11,3% per i “No-Lo”. Guardando allo “share” in valore, nel 2024, i low alcol (63%) sono più gettonati dei no alcol (37%), trainati dagli spumanti low alcol (47%), la categoria nettamente preferita davanti agli spumanti no alcol (19%), no alcol fermi (18%) e low alcol fermi (16%), anche se per quest’ultimi è previsto il maggior Cagr in valore (2024-2028), +14,1%. Venendo ai consumi per i singoli Paesi, nel 2024 gli Usa hanno dominato lo share in valore con il 63%, seguiti dalla Germania (10%), che ha già un mercato più avanzato rispetto ad altri, Uk e Australia (4%), Francia e Canada (2%). Flamini ha evidenziato come il marchio Stella Rosa abbia “prodotto una spinta eccezionale sul mercato americano” dei no alcol segnandone profondamente l’inizio.
Ancora molto marginale il consumo in Italia, siamo ovviamente agli albori, con i “No-Lo” che valgono lo 0,1% sul totale delle vendite di vino, per un controvalore di 3,3 milioni di dollari che - secondo le stime Iwsr - dovrebbe raggiungere i 15 milioni nei prossimi 4 anni, con un Cagr atteso del 47,1% (49,5% solo per i “no”). In Italia, nel 2024, i “no” hanno superato di gran lunga i “low” nello share in valore: 87% contro il 13%.
Per quanto riguarda i consumi di “No-Lo” per singola bevanda, i Paesi monitorati sono Uk, Usa, Germania, Francia, Canada, Giappone, Spagna e Australia, la birra si prende il 67% del mercato, forte anche di una storia più lunga mentre il vino è in seconda posizione con il 16%. Il “No-Lo” rappresenta il 5% del totale per la categoria della birra e il 2% per quanto riguarda il vino. Per i consumatori le principali barriere al consumo dei vini “No-Lo” sono date dalla reperibilità (46%), altri alcolici/“No-Lo” (39%), gusto/qualità (28%), e costo (22%). Per i non consumatori di questi prodotti il primo motivo è la preferenza per gli alcolici (44%), seguito da altri “No-Lo” (30%), e dal gusto (23%). Le prime tre ragioni per la scelta di un prodotto “No-Lo” riguardano il privilegiare uno stile di vita sano (34%), ridurre l’alcol (31%) e per gli effetti dell’alcol (31%), ma c’è anche un 26% che cita la guida. Ridurre alcol, stile di vita sano, ed effetti dell’alcol sono le prime tre motivazioni nell’acquisto di un prodotto della tipologia “low”.
Ma se ormai il vino dealcolato è realtà, in Italia non mancano le preoccupazioni. “La produzione di vini dealcolati in Italia continua ad accumulare ritardo - ha spiegato il segretario generale Uiv, Paolo Castelletti - se il Ministero dell’Agricoltura non interviene sulle disposizioni fiscali previste dal Ministero dell’Economia e delle Finanze le imprese dovranno attendere fino al 2026 prima di poter partire con la produzione. Serve una norma ponte che consenta di definire il quadro fiscale per la produzione in questa fase transitoria. È impensabile che aziende che hanno investito in macchinari per la dealcolazione rimangano bloccate per un vuoto normativo in cui la mano destra della pubblica amministrazione non sa cosa fa la sinistra”. Tra le criticità da risolvere, ha sottolineato Uiv, anche la norma relativa alla promiscuità degli spazi, che prevede l’obbligo di separazione degli spazi e quello relativo alla possibilità di produrre spumanti dealcolati gassificati. “Su entrambe le questioni siamo in dialogo con il Ministero - ha aggiunto Castelletti - dovrebbero risolversi con una modifica al decreto in tempi rapidi. Attualmente paghiamo lo scotto di avere costi produttivi molto più alti di spagnoli, francesi e tedeschi”.
Per il presidente Unione Italiana Vini, Lamberto Frescobaldi, “sui dealcolati oggi il settore è fermo con le quattro frecce: dobbiamo risolvere gli snodi fiscali e normativi e dobbiamo iniziare a produrre”. Sull’interesse dei vini dealcolati, Frescobaldi è positivo: “avremmo mai pensato qualche anno fa di parlare di vini dealcolati a Vinitaly? Si tratta di un bel segnale. Da fuori c’è chi ci vede come un settore “polveroso”, ma siamo sempre stati brillanti. Serve apertura, a me la parola tradizione non piace, è il crogiolo delle nostre paure. Ma ora per il dealcolato serve anticipare l’iter legislativo sul trattamento fiscale. Sulla qualità non sono preoccupato anche perché abbiamo dei “clienti severissimi”. E, quando ci sarà il chiarimento su come fare il prodotto, la qualità crescerà molto e in tempi brevi”.
Castelletti sostiene che “dobbiamo analizzare il fenomeno con lucidità, come un’opportunità aggiuntiva, certo non risolutiva per il vino italiano. Tassi di crescita così elevati riflettono un calcolo numerico a partire da numeri molto bassi, ma resta il dato tangibile di un interesse per un mercato che può rappresentare un alleato importante per le cantine italiane”.
Il presidente Veronafiere, Federico Bricolo, ha spiegato che “c’è molto interesse in questo settore. Oggi è una nicchia, ma crescerà, si tratta di un trend che non poteva non essere portato alla fiera italiana del vino italiano più grande al mondo”.
Francesca Benini, direttore commerciale e marketing Cantine Riunite & Civ, parla di un interesse per i “No-Lo” che “da parte del canale horeca in Italia è aumentato. Credo che sia una nicchia di valore destinata a crescere, una categoria che può dare risposte a bisogni emergenti, ma non sostitutiva al vino tradizionale. Il dealcolato può avere una strada soprattutto sulla miscelazione, il low alcol una sua strada”.
In occasione del convegno è stato presentato da Eugenio Pomarici, professore all’Università degli Studi di Padova, il progetto “Dewine”, in collaborazione con gli atenei di Napoli Federico II, Foggia e della Basilicata: l’obiettivo, attraverso la realizazione di indagini, è di trasferire al settore un quadro aggiornato sull’evoluzione del fenomeno dei vini “No-Lo”. Entro l’autunno è prevista la pubblicazione dei risultati delle indagini quantitative.
Copyright © 2000/2025
Contatti: info@winenews.it
Seguici anche su Twitter: @WineNewsIt
Seguici anche su Facebook: @winenewsit
Questo articolo è tratto dall'archivio di WineNews - Tutti i diritti riservati - Copyright © 2000/2025