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TENDENZA

Il boom del vino bianco nel mondo visto dai territori top del Belpaese enoico

Consumi globali in crescita costante: le prospettive di Alto Adige, Soave, Gavi, Marche, Lugana, Delle Venezie, Maremma e Vernaccia di San Gimignano
ALBERTO MAZZONI, ALBINO ARMANI, ANDREAS KOFLER, CONSORZIO VINI ALTO ADIGE, DOC DELLE VENEZIE, ETTORE NICOLETTO, FRANCESCO MAZZEI, GAVI, IMT, IRINA GUICCIARDINI STROZZI, LUGANA, MAREMMA, MAURIZIO MONTOBBIO, PINOT GRIGIO DELLE VENEZIE, SANDRO GINI, SOAVE, TREND, VERDICCHIO, VERNACCIA DI SAN GIMIGNANO, VINO BIANCO, Italia
Il boom del mercato dei bianchi

La crescita del vino bianco, sul mercato globale dei consumi, è impetuosa, e non si arresterà almeno per il prossimo decennio, come racconta il report “White Wine Market” firmato dalla società di analisi “Fact Market Research”, le cui previsioni sostengono che, da qui al 2031, il mercato mondiale del vino bianco è atteso ad una crescita media annua del 5%, fino a superare quota 60 miliardi di dollari a valore, dai 46 previsti per il 2022. Del resto, anche dal 2016 al 2020 la crescita è stata prodigiosa, superano i 35 miliardi di euro: solo la pandemia ne ha frenato la corsa, ripresa immediatamente in questo 2021. Tanti i motivi del successo dei vini bianchi, a partire da una grande semplicità di approccio e di consumo, passando per una poliedricità che, ad esempio, non hanno i rossi, fino ad un rapporto qualità/prezzo che non si riscontra in nessun altra tipologia di vino. È così che, senza distinzione di età e di genere, il vino bianco sta lentamente conquistando i wine lovers di tutto il mondo, dall’Europa (dove nel 2031 la quota dei bianchi supererà il 50% del totale dei consumi di vino) agli Stati Uniti, fino all’Asia (che nel 2031 varrà il 35% del mercato globale dei consumi di vino bianco nel mondo), con Giappone, Vietnam e Cina mete sempre più interessanti.

E se a fare i grandi numeri, esattamente come accade con i rossi, sono una manciata di denominazioni internazionali (il fatturato dello Chardonnay nel 2022 toccherà i 6 miliardi di dollari, e nel 2031 il Riesling rappresenterà 1/5 dei consumi), le prospettive per le produzioni italiane, legate perlopiù a varietà autoctone, sono comunque in linea con le previsioni del report “White Wine Market”, come raccontano a WineNews i rappresentanti delle più importanti denominazioni bianchiste d’Italia, da Ettore Nicoletto, presidente del Consorzio del Lugana, ad Andreas Kofler, presidente del Consorzio Vini Alto Adige, da Sandro Gini, alla guida del Consorzio del Soave, ad Alberto Mazzoni, direttore dell’Istituto Marchigiano di Tutela Vini, il Consorzio che raccoglie tutte le denominazioni della Regione, dal Verdicchio al Bianchello del Metauro, da Maurizio Montobbio, alla guida del Consorzio del Gavi, ad Albino Armani, presidente del Consorzio delle Venezie Doc, da Francesco Mazzei, alla guida del Consorzio della Maremma, a Irina Guicciardini Strozzi, presidentessa del Consorzio della Vernaccia di San Gimignano.

Ettore Nicoletto, alla guida del Consorzio del Lugana, ma anche ad Bertani Domains, offre una lettura a tutto tondo, dalla dimensione globale a quella territoriale e varietale. “Dando per buone previsioni di lunghissimo respiro, difficilissime da fare, il sentiment in generale è buono, possiamo considerarla una scommessa legittima e condivisibile, magari su traiettorie un po’ più basse. L’Italia questa partita la può giocare, ricordando che è stato primo attore sul mercato dei vini bianchi per 30 anni con il Pinot Grigio, che del resto non mostra segni di difficoltà nemmeno oggi, specie nelle sue declinazioni più caratterizzate territorialmente (pensiamo all’Alto Adige ed altre denominazioni). Escludo da questa analisi gli spumanti - continua Ettore Nicoletto - e nel complesso credo molto nelle espressioni territoriali, specifiche, dal potenziale magari non enorme, come il Lugana, che comunque produce fino a 30-32 milioni di bottiglie. Dobbiamo pensare a cosa fare da grandi, e questo vale, ad esempio, in modo particolare per una varietà come il Vermentino, che non è propriamente autoctono, ma ha una buona associazione con l’Italia. È un vitigno da cui nascono vini di enorme appeal, facili da bere e da approcciare, e che sta conoscendo una fase di ottima ascesa, con tanti poli produttivi che ne limitano il potenziale, perché la Sardegna viene da annate difficilissime, per via del clima e delle sue bizzarrie, la Liguria e la Toscana, a partire dalla Maremma, sono ancora piccole, e nel resto del Paese siamo indietro, ma avrebbe un grandissimo potenziale, che gli potrebbe consentire di sfruttare la volata del Pinot Grigio, specie in Usa”.

Lo sguardo, quindi si allarga ancora, perché “a livello mondiale - riprende il presidente del Lugana - i nostri concorrenti hanno perso qualche treno, penso all’Albariño della Rìas Baixas, una tipologia che deve fungere da riferimento, come profilo organolettico, perché se gestito bene anche lui ha un potenziale enorme. Sono questi i tipi di vino che necessitano di essere promossi, gli altri sono nicchie, o bacini di produzione che si sono morsi la coda negli anni, magari con vette qualitative altissime ma poco appeal internazionale. L’Italia ha il potenziale per guidare questa traiettoria, andando oltre il Pinot Grigio, con altri driver, lavorandoci ed investendoci, con un fronte compatto ed unito, attraverso i Consorzi ed i territori, promuovendo nei paesaggi. Non ci possiamo affidare solo sulle posizioni di rendita. Anche perché - aggiunge Ettore Nicoletto - il vino bianco è la chiave d’ingresso per i nuovi consumatori, è più semplice da approcciare rispetto ad un vino rosso, per definizione più complesso. Sulle denominazioni rossiste, però, abbiamo una qualità tangibile e percepita molto alta, che consente di spuntare prezzi remunerativi, mentre sui vini bianchi non abbiamo lavorato altrettanto bene, e dobbiamo capire perché. Guardando innanzitutto alle aree di produzione: da dove arrivano la prevalenza dei vini bianchi, che struttura ha il tessuto produttivo, e che cultura commerciale c’è? Dobbiamo portare a casa più valore, ma occorre un passaggio generazionale che vada verso la cultura del valore. Si parla spesso di aree produttive dove si fanno ancora i 350 quintali per ettaro, non è un approccio corretto per andare a prendersi un premium price sui mercati. E non è casuale che i vini bianchi siano schiacciati verso il basso: in alcuni mercati la domanda è anelastica, non è detto che con il prezzo basso si venda di più, e al contrario, non è detto che aumentando il prezzo si venda di meno - conclude Nicoletto - ma servono sforzi promozionali importanti per far capire il valore di ciò che stiamo vendendo”.

“Se guardiamo al Veneto, Regione di bianchi, gli ettari aumentano di parecchio, il che vuol dire produzioni maggiori e un mercato in crescita, ma anche il presupposto a che, nel futuro, si possa elevare anche il livello qualitativo, partendo dalle zone storiche, collinari, che hanno dato lustro al Veneto”, commenta Sandro Gini. “A partire proprio dal Soave, che questo percorso di crescita qualitativa l’ha fatto attraverso la ricerca: sarebbe una ottima notizia, i segnali ci sono, poi i numeri vanno anche interpretati, perché qui si parla di un periodo lunghissimo, ma il vino bianco sta effettivamente crescendo, ed è merito anche degli aspetti qualitativi, che li rendono più poliedrici dei vini rossi, a cui “rischiano” di erodere quote di mercato. In Italia se ne fa molto, ed è un segmento, specie nel Nord Italia, dove ormai si raggiungono delle qualità eccellenti, mantenendo un ottimo rapporto qualità/prezzo, aspetto non di poco conto. Per quanto riguarda il Soave - continua il presidente del Consorzio, Sandro Gini - vogliamo proporre dei Soave legati al territorio e ne siano espressione, uscendo con il nome delle unità geografiche, perché dobbiamo far conoscere le diverse espressioni del territorio, tra colline, vulcano, terreni calcarei. V’è un fermento positivo, che darà prestigio anche alle nostre zone storiche, perché più cresce l’interesse, e con esso i consumi, per i vini bianchi, e più spazio ci sarà per poter fare e promuovere la qualità”.

“Sui vini vini bianchi, nelle Marche ma non solo, anni fa abbiamo sbagliato un po’ tutti, espiantando centinaia di ettari per puntare sui vitigni a bacca rossa, spinti dalla grande popolarità vissuta, in quel momento dai vini rossi e dalla comunicazione sui suoi effetti benefici, grazie a componenti antiossidanti come il resveratrolo”, ricorda Alberto Mazzoni. “Adesso, invece, sui mercati internazionali è con i bianchi che cresciamo, poco alla volta ma con costanza. Il mercato interno, così come quello europeo, con tutto ciò che è successo, sta ancora scontando qualche difficoltà, mentre su Giappone, Vietnam e Usa le aziende stanno investendo molto, perché alla lunga saranno gli sbocchi di mercato che ci aspettiamo tutti. Il bianco trova sempre maggiore appeal tra la gente, più o meno giovani, perché è più facile da comprendere, da amare, specie rispetto ai rossi strutturati e invecchiati. E poi è poliedrico, va bene per l’aperitivo e si presta a tanti abbinamenti a tavola. Le varietà italiane, e penso ovviamente in primis al Verdicchio, hanno la capacità di rivelarsi spesso con grandi sorprese, specie tra i vini invecchiati, ma ci vogliono aziende solide e con capacità di investimento, perché tenere ferme le bottiglie in cantina non è una scelta facilmente sostenibile. Ci vogliono investimenti - dice il direttore dell’Istituto Marchigiano di Tutela Vini - esattamente come è stato fatto per i rossi. Con la consapevolezza che questa pandemia ci lascerà un panorama diverso in termini commerciali, con le grandi aziende chiamate ad investire all’estero, ed i piccoli che dovranno invece tornare a puntare sulla vendita di prossimità, spesso più remunerativa e decisamente più nelle corde dei piccoli produttori”.

Parte dai numeri, effettivamente in linea con le ottimistiche previsioni del report “White Wine Market”, Albino Armani, che ricorda come “da dicembre ad agosto la crescita delle Venezie è stata del 7%, nonostante un contesto tutt’altro che semplice. Il bianco principale, a volumi, il Pinot Grigio, converge su questi dati. Non so se, con l’incremento dei prezzi, possano essere sostenibili questi ritmi, ma guardando indietro a quanto registrato negli ultimi anni direi di sì. I nostri, secondo i feedback che riceviamo da ogni angolo del mondo, sono vini piacevoli, moderni, non troppo complicati, sostenuti da un ottimo rapporto qualità/prezzo, anzi, forse siamo anche sottoprezzati, dovremmo crescere da questo punto di vista, per stare nella media del Pinot Grigio mondiale, ben sapendo che anche piccole fibrillazioni di prezzo posso orientare diversamente i mercati”. Guardando all’attualità ed agli aspetti produttivi, da cui tutto nasce, “nonostante gelate e grandine, stiamo riuscendo a portare fuori un’annata buona, sia in qualità che in quantità. Speriamo di non entrare in rottura di stock durante l’anno, perché le regole che ci siamo dati - che hanno portato al blocco degli impianti di Pinot Grigio per i prossimi tre anni a all’abbassamento delle rese da 190 a 130 quintali ed ettaro - hanno portato ad un equilibrio di mercato che, con questi ritmi di crescita, potrebbe vederci un po’ corti, ma vedremo con i prossimi dati di raccolta. Si parla di 27-28.000 ettari, la denominazione bianca più grande d’Italia, cresciuta puntando sulla tutela del prodotto e dei produttori, per cui, se il mercato ci metterà di fronte alla possibilità di crescere ancora, potremo riparlare di aprire a nuovi impianti, per ora non ci poniamo il problema. Inoltre, ci sarà da capire la reazione del mercato al crescere dei prezzi, reso inevitabile dal costo delle uve decisamente superiore ad un anno fa”, conclude Albino Armani.

“Mi auguro che il dato previsionale si possa concretizzare, e che la Maremma possa essere protagonista di questa crescita, perché il Vermentino sta già dando segnali straordinari: crescono superfici vitate (823 ettari), produzione (1.722.400 bottiglie) e parallelamente i consumi. Ho la sensazione che la Maremma possa diventare la versione in bianco della Toscana, dove il Vermentino è già la prima tipologia di imbottigliato. È un vitigno versatile, che si adatta ad abbinamenti con tanti cibi e culture diverse, in Asia senz’altro, ma anche in mercati più maturi, dove la ristorazione ha già dato un benvenuto importante al Vermentino, varietà unica e diversa, che in Usa, ad esempio, ha già una nicchia di consumo importante”, commenta il presidente del Consorzio della Maremma, Francesco Mazzei.

Restando in Toscana, anche la Vernaccia di San Gimignano, come racconta la presidente Irina Guicciardini Strozzi “vive una crescita costante, in linea con le previsioni, con dati, fino alla pandemia, molto positivi. Dopo la pandemia, che ci ha tenuti tutti in sospeso, stiamo comunque registrando, in termini di distribuzione delle fascette, non solo numeri superiori al 2020, ma anche al 2019, a valori molto positivi. E questo nonostante il 48% delle vendite sia legato al mercato interno, perlopiù sul territorio, mentre il 52% di Vernaccia esportata finisce principalmente in Usa e Germania, che si confermano ancora i mercati più interessanti. È ancora un momento delicato, ma appena possibile torneremo a viaggiare ed a confrontarci con mercati nuovi ed emergenti”.

Maurizio Montobbio, alla guida del Consorzio del Gavi, conferma un “andamento degli ultimi anni costante, che se ha visto dei leggeri cali, come nel 2017, è stato per problemi di disponibilità, non per altro. Esportiamo l’85% della nostra produzione, un flusso costante. Nel 2021, rispetto al 2020, nei primi 8 mesi registriamo una crescita del +20%, che ci ha riportato sui livelli del 2019. Adesso per prima cosa dobbiamo capire se la pandemia abbia effettivamente scombussolato le abitudini di consumo, e quindi se il trend di crescita dei consumi di vino bianco sia più solido. Quel +5% di cui parla la ricerca credo che sia un dato credibile, poi starà a ciascuna denominazione conquistare o consolidare le proprie posizioni, con le giuste attività di marketing e promozione, tenendo sempre in conto che ci sono tante variabili da considerare, a partire dai rosati, un competitor importante. Di certo, come dice Oscar Farinetti, le persone hanno più piacere a mettere in corpo una bevanda fresca di una calda, per questo il vino bianco, in un mondo in cui fa sempre più caldo, può avere più fortuna e popolarità dei rossi. Se si comincerà davvero a produrre vino dealcolato, e si consumerà in maniera diversa, è probabile che la platea cresca, così come le occasioni di consumo. Poi, come per i polli di Trilussa, vedremo se saremo tra quelli coinvolti nella crescita globale, ma credo proprio di sì. Molto dipenderà poi dalle mode, che riguardano tipologie, stili, ma anche packaging, su cui non possiamo e non dobbiamo avere delle preclusioni, dobbiamo superare i retaggi culturali che ci tengono lontani da lattine ed altri formati. C’è una parte di mondo, la nostra, legata ad una modalità di consumo tradizionale e liturgica, ma il vino quotidiano ha bisogno di essere sdoganato per renderlo più facile e semplice da consumare. La domanda è: saremo capaci di andare incontro alle nuove generazioni? Perché senza di loro, tra dieci o vent’anni, ci troveremo di fronte a mercati molto diversi”, conclude Maurizio Montobbio.

In Alto Adige a raccontare la crescita dei vini bianchi è prima di tutto un dato: dopo decenni, la Schiava non è più il vitigno più allevato, soppiantata, letteralmente, dal Pinot Grigio, come racconta Andreas Kofler, presidente del Consorzio Vini Alto Adige. “L’Alto Adige, che era terra di rossi, da due decenni ha virato sui bianchi, per motivi che vanno ben al di là delle mode, di natura squisitamente enologica. La sfida oggi è diventata quella di adattare le varietà ad altitudini diverse e ai cambiamenti climatici in corso, perché qui le temperature sono destinate ad aumentare ancora di più del resto del mondo. Il trend di crescita, comunque, esiste, e lo stiamo sfruttando anche noi, basti pensare che dal 2019 il Pinot Grigio è la varietà più piantata, con la Schiava superata, in termini di superfici vitate, anche dal Gewurtztraminer nel 2020, e tra le varietà a bacca bianca, dietro alla Schiava, ci sono Chardonnay e Pinot Bianco. Per noi l’export vale tra il 35% ed il 40% dei fatturati, con gli Usa che si confermano un mercato molto importante, seguiti da Germania, Svizzera, Inghilterra e Russia, ma nel futuro siamo certi che lo sarà anche l’Asia. Tra i motivi della crescita dei bianchi - continua Andreas Kofler - credo che abbiano un ruolo fondamentale le donne, che bevono sempre più vino e, statisticamente, più vino bianco che vino rosso. E poi il vino si beve sempre di più lontano dai pasti, e questo è un altro punto a favore dei bianchi. Anche mangiando, comunque, si va su una cucina sempre più leggera, che ben si abbina ai vini bianchi. Anche la pandemia ha portato dei cambiamenti, influendo sia sull’approccio che sull’acquisto di vino, ma ha anche avvicinato moltissimo produttori e consumatori. I vini bevuti nei mesi del Covid sono stati vini di qualità media piuttosto alta, e questo ci ha aiutati come produttori dell’Alto Adige. Speriamo che il winelover possa in un certo abituarsi ai vini di qualità, grazie ai quali abbiamo superato la tempesta”.

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