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“Il cibo dovrebbe unirci e invece, vegani, vegetariani, no gluten siamo sempre più divisi in tribù alimentari. Per la moda salutista rimettiamo in discussione il modello alimentare made in Italy. È schizofrenia”. A WineNews l’antropologo Marino Niola

Italia
L’antropologo Marino Niola

“Siamo sempre più divisi in tribù alimentari: vegani, vegetariani, no gluten, no carb, ciascuna delle quali si identifica con i suoi totem e tabù e si differenzia dalle altre. E il cibo che dovrebbe essere uno strumento di unione ed apertura all’altro, diventa invece un fattore di divisione. Questo è molto pericoloso, non solo sul piano della salute - perché alla base di vere e proprie malattie, come l’ortoressia, la sindrome dell’ossessione di un’alimentazione sana - ma fa male anche all’ambiente, all’economia, a tutti, dai singoli alla collettività”. Ecco l’altro modo di vedere una tendenza dilagante, analizzata per WineNews nelle sue sfumature da Marino Niola, scrittore, giornalista e professore di Antropologia e Miti e riti della gastronomia contemporanea all’Università degli Studi di Napoli, oggi a Roma dal confronto su “Cultura e formazione: la giusta combinazione per intervenire sui consumi?”, promosso da Federvini. Miti tra i quali, secondo l’antropologo, c’è “il made in Italy alimentare, che è una grande chance per il nostro Paese, che può aprire autostrade di economia, a patto di non sprecarla. Un modello alimentare che tutto il mondo ci invidia, ma che noi, in questo momento, siamo i primi a valorizzare poco. Lo rimettiamo addirittura in discussione, proprio in omaggio a mode salutiste e ad un’idea quasi “medicale” del cibo, che fa fuori tradizioni, vocazioni, produzioni e convivialità”.
“Il cibo è uno dei primi marcatori dell’identità di un popolo - spiega il professor Marino Niola - noi siamo per tutto il mondo “i mangiatori di maccheroni”, identificati con la pasta che è il nostro cibo “totemico”. A nostra volta, identifichiamo i tedeschi con le patate o con la birra, per esempio, e i tedeschi identificano i francesi come i “mangia rane”. Sono antichi stereotipi che hanno un fondamento nel cibo, e che danno ragione a Feuerbach: noi siamo quello che mangiamo”. E, infatti, i ritmi di oggi, l’uso del web, uno “spentolamento” ovunque e in ogni momento della giornata, “trasformano il cibo in una sorta di spettacolo permanente: un reality. Che ha qualcosa di pornografico - secondo Niola - la mattina, la televisione non fa altro che proporci spignattamenti, insegnandoci a cucinare, e la sera ci terrorizza, dicendo che quello che mangiamo ci fa male e ci farà venire malattie di ogni tipo. Siamo in piena schizofrenia alimentare”.
E, invece, la comunicazione enogastronomica “ha un ruolo fondamentale, soprattutto in un momento di svolta decisivo per il made in Italy - sottolinea Niola - buona comunicazione è quella che non si ferma alla sola pubblicità o alla sola educazione alimentare, che ci fanno già, ma così non si va da nessuna parte e non si fa il salto di qualità. Bisogna invece sostituire l’educazione alimentare che è solo un fatto nutrizionale, mentre il cibo è molto di più, con l’insegnamento della cultura del cibo, riconoscendo il suo valore, distinguere quello buono da quello che non lo è. E bisogna cominciare a farlo dalle Scuole Primarie, perché certe cose o si imparano nei primi anni della formazione o non si imparano più. Di conseguenza, anche la pubblicità ne ricaverà un potenziamento e un allargamento del suo bacino. Io credo che oggi il made in Italy alimentare, anche quando si tratta di cibi singoli come la pasta, il parmigiano, la mozzarella o il vino, ha bisogno di questa crescita del bacino di utenza che si fa attraverso una formazione capillare”.
Prendiamo il vino, per il quale sembra esserci una sorta di “proibizionismo di ritorno” che contrasta con l’educare alla corretta alimentazione, e che, secondo lo studioso, “devia la trasgressione verso le sue forme più estreme e deleterie. Molto meglio un bicchiere di vino di altro, bevuto “all’italiana”, non per sballarsi come altri popoli ma per unire, nei pasti, per stare in compagnia, come recita il famoso detto “chi non beve in compagnia o è un ladro o una spia”, che ne se sottolinea il valore sociale e socializzante. Anche in questo caso il salutismo di oggi, che è di marca anglosassone, ha qualcosa di terribilmente penitenziale, e finisce per far fuori le nostre migliori tradizioni. Bisogna dissifidare da certe forme apparentemente salutistiche, ma che in realtà sono forme di integralismo molto pericolose ed anticamera del razzismo, perché distinguono chi è come me che è un eletto e migliore, da tutti quelli che invece indulgono ai piaceri. Vogliamo tornare a Savonarola? Siamo sulla buona strada”.
Ma riusciremo mai ad insegnare educazione alimentare nelle scuole? “Spero proprio di sì - conclude Marino Niola - insieme alla professoressa Elisabetta Moro, abbiamo appena finito di scrivere un libro bianco della Dieta Mediterranea che il 31 maggio presenteremo all’Unesco a Parigi, e dove c’è un capitolo dedicato proprio al ruolo fondamentale che ha alla scuola. È auspicapile che questo Governo che è molto sensibile al made in Italy, compia questo passo decisivo, che sembra piccola, ma che in realtà cambierà il modo di approcciarsi al cibo. È paradossale che nella patria della Dieta Mediterranea siamo schiavi di mode che arrivano d’Oltreoceano e negano la parte migliore di noi”.

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