02-Planeta_manchette_175x100
Consorzio Collio 2024 (175x100)

IL CUSTOZA DOC NON CONOSCE CRISI (INTERA PRODUZIONE VENDUTA). PER I 40 ANNI, ARRIVA LA ZONAZIONE BY PROFESSOR SCIENZA. IL NUOVO PRESIDENTE E’ NEROZZI: “COSTRUIRE RETE DI PRODUTTORI BASATA SU FIDUCIA E RECIPROCITÀ, LAVORARE PER QUALITA’ E TERRITORIO”

Il Custoza Doc non conosce crisi e va controtendenza: nel 2009 gli imbottigliamenti sono aumentati di 1.000.000 di bottiglie rispetto al 2008, e l’intera produzione è stata venduta. Produzione che si attesta complessivamente su 12 milioni di bottiglie, delle quali il 30% viene collocato sui mercati stranieri - in particolare in Germania, Austria ed Inghilterra - e il 70% in Italia, riscuotendo apprezzamento dal mercato e dagli enoappassionati. E, al traguardo dei quarant’anni, questa splendida realtà viticola sulle colline moreniche del basso Garda si regala “La zonazione della Doc Custoza. Manuale d’uso del territorio”, volume edita da Veneto Agricoltura - Settore Economia, Mercati e Competitività, in collaborazione con il Consorzio Tutela Doc Custoza (info: www.venetoagricoltura.org), che vede tra gli autori, il professor Attilio Scienza, ordinario di viticoltura all’Università di Milano e tra i massimi studiosi proprio della zonazione che ha realizzato in tante parti d’Italia.
“I moderni metodi di indagine e le attuali tecniche vivaistiche consentono oggi di indicare quale sia il migliore “abbinamento” tra ciascuna tipologia di vitigno e di clone, quindi anche di vitigni formalmente della medesima uva, e singoli terreni, omogenei per caratteristiche, seppur inseriti nel vasto contesto delle Denominazioni d’Origine la cui estensione comprende aree affatto diverse per composizione e microclima - spiega Franco Manzato, assessore all’Agricoltura della Regione Veneto - la zonazione è appunto questa operazione, che la Regione del Veneto ha attivato su tutto il territorio enologicamente vocato con la collaborazione del proprio braccio operativo Veneto Agricoltura e dei Consorzi di Tutela”.
Il volume rappresenta infatti lo strumento per conoscere in modo approfondito le caratteristiche pedologiche del terreno di produzione e permettere ai viticoltori di operare scelte tecniche fondamentali come la scelta del portainnesto, il vitigno e la sua forma di allevamento, al fine di esaltare ancora di più la qualità delle diverse tipologie di Custoza e le loro caratteristiche di bevibilità e freschezza. Frutto di una attenta ricerca, il Manuale permette quindi ai viticoltori locali di operare nella direzione, oggi ormai indispensabile, di valorizzare i cosiddetti terroir. Un concetto che raggruppa in sè i due fattori che contribuiscono a determinare le caratteristiche del prodotto finale: il fattore naturale (clima, suolo) e il fattore umano che comprende le modalità di conduzione del vigneto, le scelte varietali, le tecniche enologiche, ma anche la tradizione, la cultura e la società intimamente legata alla zona.
Il Consorzio del Custoza Doc conta più di 600 associati, che nelle quattro tipologlie previste dal Disciplinare (Custoza, Custoza Superiore, Custoza Spumante, Custoza Passito) producono complessivamente 12 milioni di bottiglie. La superficie totale iscritta risulta pari a 1.080 ettari per un totale di circa 145.617 quintali di uva prodotta. La produzione 2009 è stata di 173.000 quintali di uva per una produzione di 112.000 ettolitri di vino Custoza Doc. Il 70% è Custoza Doc, il 25% riguarda la tipologia Superiore, il 4% la tipologia spumante e l’1% il passito.

In evidenza - Costruire una rete di produttori basata su fiducia e reciprocità, lavorare per una crescita qualitativa e stimolare la valorizzazione del territorio: ecco il futuro del Consorzio di Tutela del Vino Custoza per il neo presidente Carlo Nerozzi
“Costruire una rete tra produttori basata su fiducia e reciprocità, valorizzando le diverse realtà che compongono questa denominazione storica, lavorare assieme per ricercare una crescita qualitativa sostenibile e moderna, realizzare modalità di comunicazione avanzate utilizzando in particolare i new media e stimolare la valorizzazione del proprio territorio cui il vino è intimamente legato”. Ecco i punti fondamentali stilati da Carlo Nerozzi, fresco presidente del Consorzio di tutela del Vino Custoza, alla guida dell’azienda “Le Vigne di San Pietro” e produttore di vino dal 1981. “Solo con la consapevolezza e l’impegno di tutti - sottolinea Nerozzi - potremo, come accadrà, vincere le sfide che questo particolare momento storico ci presenta. Ho la sensazione che questo nuovo consiglio, attento e presente, mi aiuterà in questo compito non semplice, ma stimolante”.

Focus - “Il senso dell’identità” secondo il professor Attilio Scienza (dal volume “La zonazione della Doc Custoza. Manuale d’uso del territorio”)
Lo stile è l’originale espressione di un periodo culturale, di un prodotto, di un modo di fare musica o di esprimere un’arte visiva. Ci chiediamo se, con il vino prodotto dalle numerose denominazioni d’origine venete, ne trasmettiamo uno riconoscibile, come ad esempio ha fatto la Francia con i vini di Borgogna o di Bordeaux. Purtroppo la risposta è negativa: il Veneto presenta una molteplicità di stili non solo tra le diverse denominazioni ma addirittura tra i vini di una stessa Doc, dove la tipologia dei vini prodotti spazia tra un gusto internazionale e il ritorno ai vitigni autoctoni. Mettiamoci nei panni di un consumatore tedesco o inglese in procinto di degustare uno Chardonnay dall’intenso gusto vanigliato o un Cabernet dall’impronta legnosa, prodotti nel Veneto ma indistinguibili da molti altri vini prodotti in numerose parti del mondo, assieme a un Valpolicella o a un Soave o un Custoza. Il mercato internazionale, costruito con abilità dai Paesi del Nuovo Mondo sul modello francese, ha decisamente condizionato le scelte tecniche dei produttori italiani che, pur di correre dietro ai gusti altrui, hanno abbandonato il loro stile.
Un grande artista ha affermato che per diventare universali è necessario essere locali: il vino veneto ha bisogno di non perdere il suo stile originario, autentico, il cui imprinting qualitativo lo faccia riconoscere dal consumatore straniero e lo faccia per questo scegliere tra altri mille per la sua irripetibilità. Certo non è facile conciliare le due tendenze contrapposte che manifestano i mercati anglosassoni e che diventano sempre più pregnanti anche sul nostro: da un lato una forte spinta a semplifi care e innovare i messaggi della comunicazione, dall’altro la tendenza quasi di segno opposto, volta a soddisfare un’irriducibile richiesta di novità. “Prova qualcosa di nuovo oggi” è il messaggio della più grande catena di distribuzione inglese. Può sembrare paradossale ma questa tendenza sta portando molti Paesi a valorizzare il concetto di territorio e più in generale il nesso tra la viticoltura e un’originale interpretazione enologica dell’uva. Tra i tanti vini prodotti da uno stesso vitigno - e quelli più noti e diffusi nel mondo non sono più di dieci - la novità è appunto data dallo specifico e univoco territorio di provenienza.
Dopo anni spesi alla ricerca della cosiddetta consistency (uno stile consolidato, svincolato dagli andamenti stagionali e dalle caratteristiche del pedoclima), il Nuovo Mondo ha scoperto l’importanza del territorio. Con il termine di “Regional heroes” (eroi regionali) vengono chiamati i vini australiani che provengono da un preciso luogo di provenienza. Questo ritorno alle origini nelle modalità con le quali si designa un vino, con il luogo della sua produzione, rivaluta il ruolo delle tradizioni o meglio di una sua corretta interpretazione, per proteggerci dagli effetti della globalizzazione, senza però farci imprigionare dal fondamentalismo di chi ha rifi utato l’innovazione portata dal progresso scientifico. Infatti comprendere le risorse pedoclimatiche di un territorio viticolo, valorizzarle con una scelta genetica e con tecniche colturali adeguate, vuol dire sfuggire alla crescente banalizzazione dei vini sempre più espressione della tecnologia enologica. Non è peraltro facile per il produttore italiano, a parte qualche eccezione, credere nei valori trasmessi dal territorio come invece hanno sempre fatto i francesi fino dall’epoca medioevale. Per noi la tradizione si è, fino al secolo scorso, limitata a trasmetterci numerosi vitigni, una viticoltura promiscua e la trasformazione enologica quasi come una necessità per l’agricoltore che nel vino identificava soprattutto un integrativo energetico alla sua povera dieta quotidiana. Del legame tra territorio e vino si è iniziato a parlare solo verso il 1965, in occasione della normativa sulle Denominazioni d’Origine. La tradizione va però presa sul serio. Oggi tra i produttori di vino si assiste, da un lato, a un’esaltazione spesso solo verbale della tradizione che però per conservarsi pura dovrebbe restare distinta dal mercato e, dall’altro, a una pervasiva pratica liberistica che ha come solo scopo l’efficienza e la creazione di ricchezza. In particolare, sembra manifestarsi il predominio di una certa versione mortificata della tradizione che guarda al passato solo per celebrarlo e che espelle dal proprio orizzonte culturale la reciprocità tra sfera economica e sfera sociale, che è alla base della formazione stessa della tradizione. Solo la zonazione rappresenta quel “tradimento fedele” della tradizione che coinvolge nel processo di produzione dell’uva risorse “antiche” come il suolo, il clima, il vitigno, utilizzandole però attraverso i risultati dell’innovazione tecnologica che dalla nascita della “viticoltura moderna”, avvenuta con la ricostruzione post-fillosserica, hanno consentito di offrire ai consumatori dei vini adatti al gusto e alle abitudini alimentari dei nostri giorni.
Fortemente connessa al territorio e alla difesa delle tradizioni e dell’ambiente è la produzione dei cosiddetti vini etici, espressione della viticoltura biologica e biodinamica, fenomeno che presenta contorni molto vasti per sigle e ancora poco defi niti per contenuti, ma che sta a indicare che il consumatore culturalmente più evoluto avverte l’esigenza di utilizzare nuovi criteri di scelta che vadano al di là di quelli tradizionali (prezzo, provenienza, vitigno, marchio) e che siano in grado di attribuire signifi cati sociali ed ecologici ai loro acquisti. Il termine “eco-compatibile” nasconde però, al di là dei nobili propositi, il tentativo più o meno esplicito di esorcizzare la crescente banalizzazione del vino nel mondo e di offrire l’occasione a un ristretta cerchia di consumatori di distinguersi attraverso la scelta di questi vini, distinzione esercitata però solo dal loro elevato potere d’acquisto. Nell’eterno dualismo tra conservatorismo e progressismo, queste espressioni di viticoltura “di moda” presentano aspetti interessanti per il rispetto integrale della complessità del terreno (nessuna dispersione di molecole organiche nel suolo, uso di prodotti solo biodegradabili, mantenimento della sostanza organica, ecc.), ma anche l’adozione di pratiche esoteriche che portano a un rigido inquadramento intellettuale del produttore e del consumatore.
La zonazione viticola rappresenta un efficace strumento di sintesi tra le emozioni suscitate da un paesaggio e le caratteristiche sensoriali del vino prodotto in quell’ambiente e, attraverso questa mediazione tra natura e cultura, offre indicazioni per salvare rappresentazioni simboliche ed esigenze ambientali, per raccordare istanze estetiche a fatti economici, per rispettare tensioni produttive e bisogni turistici. Questo significa che all’interno di un territorio definito, quale è quello di una Doc, vanno salvaguardati gli iconemi, cioè quelle unità elementari di percezione di un paesaggio che sempre più stanno perdendo la loro identità, subiscono sovrapposizioni, smarriscono il loro messaggio semiologico. È quindi necessario attraverso le zonazioni legare alcuni tratti significativi del paesaggio, gli iconemi appunto, con il concetto di tipicità di quel luogo. Il termine tipicità, neologismo in -ità che designa le generalità dell’espressione “tipo”, tipico da cui deriva, si rifà ai contenuti espressi da Max Weber nel 1922 dove l’uso del termine “tipico-ideale” rappresenta un modo per classificare la conoscenza e designa appunto l’appartenenza di un soggetto a un genere identificato di facile riconoscimento. Per i francesi identifica un prodotto territoriale difficilmente ripetibile altrove ed è associato a terroir. Per noi il termine è spesso confuso con antico e quindi legato a naturalità e genuinità, anche se l’abuso che ne viene fatto dall’industria alimentare è sinonimo di standardizzazione. Per ridare alla parola “tipicità” il suo significato originario, lo strumento più efficace si rivela la zonazione, con la quale possiamo identificare le sottozone delimitate all’interno di una Denominazione, con un preciso profilo sensoriale del vino e viceversa, in modo quasi istintivo, come facciamo quando riconosciamo una persona dai tratti salienti del suo viso o un quadro famoso dall’insieme delle sue caratteristiche cromatiche e tipologiche. Il paesaggio viticolo diventerà sempre più il vettore essenziale della conoscenza dei vigneti e dei vini di una zona e quindi il supporto più importante per tutte le strategie enoculturali.
Il potenziale metaforico che possiede un vigneto è molto forte. Questo trasferimento delle sensazioni dal paesaggio concreto verso l’immaginario è una procedura consueta operata in un vigneto. Il vigneto è prima di tutto una metafora di grande equilibrio: per l’immagine che affiora da una natura antropizzata, di un’armonia tra l’uomo e la pianta, una sorta di complicità. Ma è anche una metafora eloquente di dinamismo. Il paesaggio è portatore di entusiasmo, ma nello stesso tempo di rigore e di stabilità che conforta e stimola il consumatore. Attenzione però ai risvolti negativi di un paesaggio poco rispettato o di un vigneto mal tenuto: possono esprimere un conflitto irrisolto tra modernità e natura o essere portatori di un messaggio negativo. Lo studio dei paesaggi viticoli, per il loro carattere fortemente identitario, nelle implicazioni connesse alla qualità del vino, è sempre meno orientato verso gli aspetti deterministici ed economici e sempre più legato ai contenuti culturali, all’organizzazione sociale, al progresso tecnico-agronomico. Per questo la zonazione viticola dovrà dotarsi, sul piano metodologico, di nuovi strumenti di indagine e di nuove competenze professionali, per definire quegli iconemi del paesaggio che dovranno essere tutelati e valorizzati e che caratterizzeranno come una sorta di impronta digitale le varie sottozone, per permettere ai consumatori quell’esercizio estetico e sensoriale, che connette il bello con il buono, il bel paesaggio con il buon vino. La zonazione non è quindi solo il punto di partenza per migliorare la qualità dei vini e per consentire al consumatore di cogliere le analogie tra le caratteristiche del paesaggio e quelle del vino, ma anche uno strumento per sviluppare nei produttori la coscienza del “buon governo” del territorio, del rispetto del profilo dei suoli, perché nella successione dei suoi orizzonti si nasconde il segreto della originalità dei vini, evitando sbancamenti, livellamenti indiscriminati o il ricorso a terre provenienti da altri luoghi.
Ci sono inoltre manifestazioni di comportamento sociale che appaiono estranee ai viticoltori, spesso imprevedibili e di difficile comprensione che attraversano la storia economica delle Nazioni e che lasciano tracce profonde nelle abitudini alimentari e nella vita di tutti i giorni. Una di queste, chiamata sul finire del XVII secolo “rivoluzione delle bevande”, provocò un vero sconquasso nel consumo delle bevande alcoliche e voluttuarie della allora nascente borghesia. Tralasciando l’analisi delle cause, non ci si può invece esimere dal considerare le numerose analogie con quanto sta succedendo oggi. La crisi dei modelli tradizionali di consumo del vino, la delocalizzazione dei luoghi di produzione, non solo nel Nuovo Mondo o in Estremo Oriente, ma anche, per effetto delle mutate condizioni ambientali, verso regioni più settentrionali, la necessità del consumatore di disporre di nuove chiavi di ingresso molto semplici per mettere la bocca sul mercato, comportano degli adeguamenti non sempre facili da adottare negli standard di produzione e di qualità dei vini nelle zone di antica tradizione viticola. Se a questo si aggiunge l’effetto non trascurabile del cambiamento climatico sui fenomeni di maturazione delle uve e sulle inevitabili conseguenze sullo stile dei vini, non è difficile prevedere nei prossimi anni delle scelte genetiche e colturali molto diverse da quelle attuali.
Come afferma Andrè Crespy, noto tecnico viticolo francese, il terroir è soprattutto una storia di acqua. L’affermazione si basa sulla constatazione che lo stile di un vino, le scelte genetiche e le tecniche colturali necessarie per produrre l’uva, sono in gran parte determinate dalla disponibilità di acqua durante il ciclo vegetativo, sia in termini di carenza che di eccesso. Molte delle strategie adattative introdotte dai viticoltori nel corso della lunga e travagliata storia climatica dell’Europa, al fine di consentire la produzione dell’uva in condizioni di adeguate disponibilità idriche (combinazioni d’innesto, forme di allevamento, gestione del suolo), rischiano nei prossimi anni di essere vanifi cate dal cambiamento delle condizioni climatiche che, oltre ad aumentare la temperatura media, riduce considerevolmente le disponibilità di acqua. Sarà questa la vera emergenza per la nostra viticoltura collinare. Essa comporterà una contrazione della viticoltura nelle zone più siccitose, con suoli poco profondi, leggeri e grossolani, diffi cilmente irrigabili, introducendo delle modificazioni importanti nelle caratteristiche dei vini prodotti. Come è accaduto in passato, saranno le scelte genetiche (nuovi vitigni e nuovi portinnesti) a consentire migliori forme di adattamento, ma solo dopo lunghe e costose ricerche che peraltro non sono ancora iniziate. Nel frattempo non rimangono che gli accorgimenti colturali i quali sono efficaci a condizione che si conoscano le risorse del suolo e le risposte delle varietà.
Il manuale d’uso del territorio contiene delle indicazioni importanti per ridurre le conseguenze delle temperature elevate o delle diminuite disponibilità idriche nelle diverse Unità Vocazionali delle varie zonazioni. Ma le zonazioni non si concludono con la pubblicazione dei risultati. La valutazione del grado di interazione tra le Unità di paesaggio e i vitigni spesso evidenzia una grande potenzialità inespressa, per la scelta della combinazione d’innesto sbagliata, per le densità d’impianto inadeguate alla fertilità del suolo, per errori nella gestione idrica o nutrizionale, ma soprattutto per la crescente imprevedibilità delle condizioni climatiche. Questo fa sí che la zonazione divenga non un punto d’arrivo ma di partenza per reimpostare la viticoltura di un territorio alla luce dei risultati conseguiti. L’ottimizzazione dell’interazione si raggiunge quindi creando nelle diverse Unità viticole dei vigneti dimostrativi dove sono raccolte e confrontate le varie fonti di variazione del modello viticolo (diversi vitigni e portinnesti, alcune fittezze d’impianto, alcune modalità di gestione del suolo e delle risorse idriche). Dai risultati quali quantitativi raccolti in questi vigneti si potrà valutare sui parametri fi ni dell’uva e del vino non solo l’effetto del suolo, ma anche dell’andamento stagionale e intervenire con adeguamenti di tecnica colturale per evitarne gli effetti negativi. Tra i prodotti non trascurabili della zonazione va annoverato il suo contributo alla crescita imprenditoriale dei viticoltori. In particolare attraverso gli incontri, i seminari, le visite di studio, le degustazioni che vengono organizzate nel corso del triennio di ricerca, si sviluppa tra i viticoltori la consapevolezza delle risorse che il territorio viticolo offre ai fini del miglioramento qualitativo e che le possibilità di fare conoscere al consumatore i progressi ottenuti sono il risultato di un’azione collettiva. Questa volontà di collaborare può far nascere dei nuovi modelli organizzativi, che nel mondo anglosassone (Australia e California), dove sono diffusi, sono chiamati “cluster”, assimilabili ai nostri “distretti”.
Un territorio viticolo è costituito da tante piccole aziende e rappresenta quindi una concentrazione geografica ed economica di più entità coinvolte nello stesso tipo di attività, che condividono una strategia di sviluppo basata sulla cooperazione e la competizione. La zonazione che viene realizzata su questi territori viticoli può quindi rappresentare un forte elemento aggregante. Frammenti di “cluster” sono le Doc, le Docg e i Consorzi di Tutela ma, contrariamente a queste, i “cluster” coinvolgono anche entità produttive o di servizio che sono fuori della fi liera intesa in senso stretto, quali le Strade del vino, gli Enti regionali di sviluppo agricolo, le Università. In questo processo di mediazione tra i diversi soggetti, la zonazione rappresenta il motore della conoscenza dalla quale scaturiscono non solo informazioni tecniche ma soprattutto una nuova cultura d’impresa che è alla base della loro applicazione nell’operare quotidiano.
Attilio Scienza, responsabile scientifico del progetto di zonazione viticola

Copyright © 2000/2024


Contatti: info@winenews.it
Seguici anche su Twitter: @WineNewsIt
Seguici anche su Facebook: @winenewsit


Questo articolo è tratto dall'archivio di WineNews - Tutti i diritti riservati - Copyright © 2000/2024