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LO SCENARIO

Il futuro del consumo di vino al ristorante è l’abbinamento con il cibo, con un approccio più “easy”

Le riflessioni di produttori, sommelier, chef e Master of Wine da “Festa a Vico”, a Vico Equense, con la regia di Gennaro Esposito (10-12 giugno)
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Il futuro del consumo di vino è nell’abbinamento al cibo, con un approccio più “easy”

Il sommelier non solo come “mescitore” di vino, ma anche e soprattutto come narratore del territorio, attraverso il vino; la cultura millenaria che sta dietro al vino come miglior contrasto ai venti di neo proibizionismo che spirano in Europa e non solo; l’abbinamento al cibo, sempre più preciso e frutto di studio e conoscenza, da tradurre con semplicità ed immediatezza, per rilanciare i consumi, oggettivamente in calo; la mixology come canale per riavvicinare i giovani; la fiducia in un prodotto che più volte, nella storia, anche recente, ha vissuto alti e bassi, ma ha sempre saputo reinventarsi, ricollocarsi e ritrovare una sua dimensione come co-protagonista della convivialità: sono tante le riflessioni intorno al vino e al suo futuro, che passa sempre più dal legame con il cibo e la cucina, e che, non a caso, sono state fatte sul palco a “Festa a Vico”, la kermesse enogastronomica ideata dallo chef stellato Gennarino Esposito, a Vico Equense, dove si trova il suo famoso ristorante La Torre del Saracino, da oggi al 12 giugno. Con la moderazione di Marta Cotarella, alla guida con le “sorelle” Dominga e Enrica Cotarella della cantina di famiglia, Famiglia Cotarella, si sono alternati Tommaso Luogo, alla guida di Ais-Associazione Italiana Sommelier Campania, il Master of Wine Gabriele Gorelli, Gianni Piezzo, sommelier de La Torre del Saracino, insieme allo chef Esposito, Lorenzo Mancusi, general manager Drink Kong Bar di Roma, stabilmente tra i migliori locali del mondo secondo la “50 Best Bars”, ed Ernst Loosen, alla guida di Doctor Loosen, cantina simbolo della Mosella.
“Il sommelier - ha detto Tommaso Luongo - non è ancora valorizzato come comunicatore del territorio. La campagna proibizionista anti alcol che si respira in Europa, si contrasta dicendo che il vino non è solo un po’ di alcol e di acqua, ma è un valore culturale, è territorio, è esperienze di vita di persone che fanno un progetto. Il valore del vino è molto grande, il suo riconoscimento passa da chi lo racconta, come il sommelier, che non serve solo vino. La Campania, per esempio, è una regione dove tutti gli intrecci non fanno altro che raccontare come tutta la filiera passa dal legame tra archeologia, paesaggio, territorio, vitigni, valore umano, che però vanno trasferiti al cliente finale. L’enoturismo, in fondo, è uno dei tanti attrattori che abbiamo in Italia e nel territorio, è un modo per comunicare il valore culturale del vino”. E di valori ne abbiamo tanti, “nella vigna, genetici, ma anche territoriali, nel rapporto tra la vite ed il luogo dove viene cresciuta e di cui diventa parte integrante di espressione. Per questo - ha detto il Master of Wine Gabriele Gorelli - ha senso che Ais parli dell’effetto del paesaggio nella degustazione del vino, per valorizzare le nostre unicità. Se l’alfiere di un certo stile è stato un certo territorio, non è sbagliato dire che uno nostro vino assomiglia a quello, perché si deve arrivare al consumatore nel modo più semplice. Ma poi ognuno deve avere la sua identità univoca. Anche l’abbinamento del vino non è solo gastronomico, è legato ad un’esperienza, allo stile che un ristorante ha, e grazie al quale al cliente si offre qualcosa di più rispetto a quello che c’è nel calice, e l’alta ristorazione in questo senso ha un ruolo importante. Sul cambiamento dei consumi e sulla crisi dei rossi corposi e più alcolici, indubbiamente qualcosa sta succedendo, ma non ovunque. In Sudamerica, per esempio, dove i palati sono abituati ai vini simili e le persone da sempre convivono con il grande caldo, i grandi vini rossi, di struttura, vanno molto bene, fanno status symbol e sono molto apprezzati anche dai giovani”. Eppure, il trend generale è chiaro, come racconta Gianni Piezzo, sommelier de La Torre del Saracino. “Indubbiamente il cambiamento degli ultimi anni vede un consumatore che cerca vini più leggeri, anche di alcol, con bevute più fresche, anche sui rossi, e poi nuovi abbinamenti gastronomici, con tisane, gin. Si sperimentano cose diverse studiando i piatti, ed i giovani però si avvicinano sempre di più ai cocktail. Si beve di meno, forse più di qualità, e comunque, in generale, vini più freschi e leggeri. Ma si deve anche trovare un modo diverso di proporre il vino, perché nessuno beve più una bottiglia intera. Nella nostra carta c’è il territorio, ovviamente, ma anche tanta internazionalità, perché c’è chi cerca pairing legati alla territorialità, ma anche chi cerca esperienze meno classiche e abbinamenti meno conosciuti. In sala c’è bisogno di azzardo e rispetto: devi essere cosciente e convinto di quello che fai, ma tutto va sempre studiato. E dobbiamo assaggiare tanto, perché più assaggi e più conosci, più conosci e più puoi proporre novità”. “Il sommelier - ha aggiunto Gennarino Esposito - è una figura importante del ristorante. Oggi a volte assistiamo a lunghe spiegazioni sul vino, e poco sul senso dell’abbinamento, che è il focus del progetto vino di “Festa a Vico”. L’abbinamento perfetto è la magia che succede poche volte a tavola, e quando c’è tu ti emozioni 10 volte di più, è qui la chiave. Il lavoro del sommelier deve essere di abbinare il vino ai piatti. Il consumo di vino è in difficoltà, con l’abbinamento si può aiutare il rilancio. Per come la vedo io, il cliente al ristorante non deve scegliere il vino, così come non deve scegliere il menù, ma affidarsi al ristorante, per il cibo e per il vino, ed il sommelier deve gestire questo aspetto. Il futuro del vino è nell’abbinamento dei piatti. Il lusso non è aprire bottiglie costose, ma far scoprire che certi vini che non credevi così importanti invece lo possono essere, così come un piatto di lusso non è l’aragosta, ma magari una cipolla lavorata in modo da diventare sublime”. Un altro canale per rilanciare i consumi di vino, che magari non piace ai puristi, ma che sta funzionando benissimo, però, è quello della mixology. Dove “si possono trovare le chiavi per conquistare un pubblico giovane, che magari ha un approccio più spensierato. Serve un approccio più diretto al mercato, e più semplicità nella descrizioni, serve un po’ di ritorno all’essenziale”, ha aggiunto Lorenzo Mancusi. In ogni caso, sebbene i cambiamenti di consumo, legati a tanti fattori (salutismo, clima, gradazioni alcoliche sempre più elevate) non debbano essere sottovalutati, il mondo del vino deve guardare al futuro con serenità e ottimismo, come spiegato dal produttore tedesco Ernst Loosen, della cantina Doctor Loosen. “La nostra cantina è di proprietà della nostra famiglia da 200 anni, abbiamo avuto alti e bassi, ovviamente. Ogni generazione ha fatto i conti con problematiche diverse, ora vediamo il cambiamento dei consumi, i giovani che bevono meno. Ma non sono troppo spaventato per questo. Il vino affronta spesso dei trend, 40 anni fa nel primo viaggio in Usa mi sono trovato in questo magazzino pieno di prodotti miscelati, e tutti dicevano che nessuno avrebbe più venduto vino, e invece hanno continuato a berlo, così come poi è stato con il boom della birra artigianale. Alla fine il vino si continua a bere sempre, e io sono positivo sul futuro. Io sono un produttore, ho una grande passione, e devo trasmetterla agli altri”.

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