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Il futuro del vino europeo passa dal taglio all’uso della chimica e dalla difesa delle indicazioni geografiche sui mercati esteri. Così il convegno “La viticoltura europea di fronte al mercato internazionale” by Arev, di scena oggi a Grinzane Cavour

“Il futuro del vino europeo è biologico, è nella pulizia. Dobbiamo bandire i concimi chimici dall’Europa, per questo stiamo riconvertendo tutti i vigneti di Fontanafredda: saranno 200 ettari bio in corpo unico”. L’annuncio, davanti alla platea della tavola rotonda dell’Arev, l’Assemblea delle Regioni Europee Agricole (www.arev.org), di scena al Castello di Grinzane Cavour, nel cuore delle Langhe, è di Oscar Farinetti, patron di Eataly. Bio e uso della chimica, del resto è un dibattito vivo all’interno dell’Oiv, come ammette Jean-Marie Aurand, dg dell’Organizzazione Internazionale della Vigna e del Vino: “dobbiamo creare un processo di revisione sui prodotti che si utilizzano in vigna e in cantina. Mettere dei limiti su prodotti utilizzati e sugli anni di revisione”. Ma il futuro del vino europeo è inimmaginabile prescindendo dagli aspetti commerciali, che spingono la riflessione sugli accordi di libero scambio dei prodotti agricoli tra Europa e Usa, ricordando che per gli Stati Uniti l’importante non è tanto l’origine, quanto il vitigno. “Non siamo contro le liberalizzazioni - saluta Sergio Chiamparino, presidente della Regione Piemonte - ma occorre trasparenza sul vino che berremo domani. Bisogna essere aperti e nello stesso difendere le scelte che sono state fatte e con cui questo territorio ha saputo diventare punto di riferimento”.
Ersilia Moliterno, amministrazione generale Dg Agricoltura e Sviluppo rurale, spiega che “l’economia del vino è soprattutto estero. Oggi è importante proteggere le indicazioni geografiche in quei Paesi dove ancora è difficile farlo: per esempio, in America. Anche dopo l’Accordo europeo del 2006, sul vino non ci sono ancora delle indicazioni chiare”. “Gli Stati Uniti non fanno parte dell’Oiv - dice Jean-Marie Aurand, direttore generale dell’Organizzazione internazionale della vigna e del vino - ed uno dei motivi erano delle divergenze sulla protezione delle denominazioni. Sarebbe ora di voltare pagina: è il primo mercato del vino con 30 milioni di litri consumati all’anno. Avrebbero un posto di tutto rispetto nell’Oiv”. Diversa la lettura di Oscar Farinetti, secondo cui “i problemi non si risolvono con la politica, ma con il marketing della sincerità. Gli Stati Uniti ci copiano: bene. È una buona partenza, ma non basta: è infelice l’uomo che non viene copiato, diceva Ovidio. Dobbiamo dimostrare di essere all’altezza di essere copiati. Dobbiamo avere il coraggio di riuscire a far capire al consumatore finale cos’è davvero il made in Italy. I francesi ci sono riusciti, gli italiani non ancora. Il mercato mondiale del vino è neanche la metà di quello della Coca Cola: crescerà, perché il vino è un prodotto straordinario”.
Andrea Olivero, Vice Ministro delle Politiche Agricole, difende invece le denominazioni di origine, come cultura del territorio e forza delle piccole aziende italiane: “il calo dei consumi interno in Europa ci porta verso l’esportazione. Dobbiamo valorizzare il prodotto e connetterlo sempre di più al territorio. Questo è garanzia dell’origine. È e sarà il nostro punto di forza. Abbiamo aziende piccole, l’80% in Italia produce meno di 10.000 bottiglie. Possiamo fare tutta la massa critica che vogliamo ma se non abbiamo la denominazione di origine perdiamo ogni tipo di forza”.

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