Se la vite fosse naturalmente resistente a funghi, malattie e parassiti, la via del “bio”, tanto di moda e tanto battuta da molte aziende, sarebbe semplicemente la via più semplice e logica: meno trattamenti, meno costi e, nonostante i livelli di sicurezza della maggior parte dei trattamenti oggi utilizzati, meno rischi per la salute di chi lavora in vigna e di chi beve vino. Ci stanno lavorando in tanti, con vari metodi. Tra cui, da anni, l’Università di Udine, con i campi sperimentali dell’Azienda Agraria Universitaria “A.Servadei” dell’Università di Udine e presso il Laboratorio dell’Istituto di Genomica Applicata dove, più di 10 anni fa, gli scienziati e gli agronomi hanno iniziato a sviluppare uno nuovo studio sul Dna della vite per creare oggi 10 varietà naturalmente resistenti ai funghi e alle malattie che possono produrre vini che proteggono meglio la salute e l’ambiente. E che saranno al centro della puntata del celebre format divulgativo Superquark in onda questa sera alle 21.20 su Rai 1.
“Se guardiamo i numeri del vino più da vicino, la coltivazione della vite - si legge in una nota dell’Istituto di Genomica Applicata, http://viso.appliedgenomics.org - occupa appena il 3% della superficie agricola europea consuma il 65% di tutti i fungicidi usati in agricoltura. Solo in Italia, secondo gli ultimi dati Istat sono stati effettuati 2,7 milioni di trattamenti in totale all’anno che corrisponde in media a 12,3 trattamenti per ettaro di superficie trattata. Per effettuare tali interventi sono stati utilizzati 19,1 milioni di chilogrammi di prodotti fitosanitari e distribuiti, in media, 26,6 chilogrammi per ettaro di superficie trattata. In breve, sono circa 90% le aziende vitivinicole italiane, ovvero circa 400.000 aziende registrate, che effettuano trattamenti di difesa fitosanitaria e trattano quasi il 95% per cento della superficie coltivata a vite. In tutta l’Europa sono circa 68.000 tonnellate l’anno. Numeri che fanno riflettere e preoccupare gli operatori agricoli, chi vive o frequenta gli ambienti circostanti alle coltivazioni ed, in fine, i consumatori”.
Ed in effetti, il dibattito sulla nocività dei pesticidi, fondamentali in alcuni casi per difendere i raccolti di ogni settore agricolo, compresa la viticoltura, da anni è decisamente acceso. “Il tema della vite resistente alle malattie suscita l’interesse di alcuni ricercatori dell’Ateneo Udinese e diventa un progetto grazie al supporto finanziario dell’Amministrazione della Regione Friuli Venezia Giulia già nel lontano 1998 - racconta Raffaele Testolin, docente universitario e presidente e cofondatore dell’Istituto di Genomica Applicata (Iga) dal 2006 - abbiamo utilizzato le migliori linee resistenti ottenute dai colleghi europei di Ungheria, Serbia, Germania, Austria, Francia e le abbiamo incrociate con vitigni di pregio (Sauvignon, Chardonnay, Merlot, Cabernet, Sangiovese, Tocai ecc.). I ricercatori del Dipartimento di Scienze Agrarie ed Ambientali hanno programmato ed eseguito gli incroci ed hanno fatto la selezione sia per la resistenza che per la qualità dei vini, mentre l’Iga ha partecipato con l’identificazione dei geni che controllano la resistenza a peronospora in vite e con la selezione assistita da marcatori, completando con successo il sequenziamento del genoma della vite già nel 2007. La produzione delle nuove piante avviene presso l’Azienda agraria dell’Università di Udine, la quale ospita attualmente circa 8.000 nuovi incroci di vite in vari stadi di selezione”.
“Dopo 15 anni, abbiamo ottenuto 10 nuove varietà che hanno superato la valutazione in varie aree viticole del nostro Paese e sono in fase di registrazione al Ministero dell’Agricoltura a Roma, passo preliminare in vista della loro coltivazione - spiega Gabriele Di Gaspero, il più giovane tra i ricercatori-cofondatori dell’Iga. I vini di queste nuove varietà sono stati testati e degustati da un panel di esperti nazionali. La nostra ricerca prosegue grazie a fondi pubblici - dice ancora Gabriele - stiamo sequenziando il genoma di vitigni autoctoni e anche selezionando nuove generazioni di incroci che accumulano resistenze multiple, capaci di tenere a bada più malattie e in modo più duraturo. Lavoriamo contemporaneamente alla messa a punto di metodi di selezione rapida per la qualità delle uve, basati sull’analisi dei profili aromatici dei mosti e dei vini”.
“Grazie alla genetica molecolare, il processo di selezione sul quale si è sempre basata l’agricoltura, viene accelerato in laboratorio - spiega il prof. Michele Morgante, docente universitario, Socio dell’Accademia Nazionale dei Lincei dal 2007, cofondatore e direttore scientifico dell’Iga - nel Dna la vite non conserva solo la resistenza o meno ai funghi, ma anche le basi genetiche della qualità del vino, che è controllata da altri geni. Conoscendole meglio, si potrebbero scoprire subito, fra centinaia di incroci, quali possono dare un gran vino. I produttori ci chiedevano continuamente quali sarebbero state le ricadute del progetto per il mondo vitivinicolo. Eccone una importante! - aggiunge il professore”.
“È sicuramente uno dei dibattiti più accessi quello che riguarda la polarizzazione tra convenzionale e transgenico, ovvero colture alimentari geneticamente modificate grazie all’inserimento di uno o più geni prelevati da altre specie - come afferma anche Anna Meldolesi nella rivista scientifica “Le Scienze” a cui è dedicato un numero intero - fino dagli albori dall’agricoltura, la domesticazione delle piante è andata pari passo con gli incroci e la modificazione genetica, che ha eliminato caratteri scomodi e ha rimescolato geni di varietà diverse. A tecniche già in uso, se ne sono aggiunte altre di ultima generazione che non riguardano la transgenesi, come la cisgenetica che utilizza esclusivamente materiale genetico proveniente da un organismo donatore della stessa specie, come può avvenire tra vite e vite. Lo status normativo di queste biotecnologie agrarie non è chiaro a livello europeo, ovvero non è stato deciso se considerarle alla stessa stregua del processo della transgenesi”.
“Per molti scienziati la cisgenetica ha il vantaggio - rispetto al processo convenzionale di miglioramento per ibridazione - di fornire nuove varietà migliorate più velocemente e con poca spesa. Per Cesare Gessler, fitopatologo all’Istituto di Biologia Integrativa del Dipartimento di Scienze Agrarie e Alimentari del Politecnico Federale di Zurigo, la cisgenetica può essere la strategia del 21° secolo, indubbiamente la migliore e più efficace per lottare, per esempio, contro alcune malattie del melo e della vite, perché essa utilizza le resistenze insite nelle piante stesse, secondo un processo sempre esistito in natura. Pochi ancora, però, sanno della sua esistenza e delle sue potenzialità. Un ruolo importante lo possono svolgere i consumatori meglio informati”.
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