Una questione decisamente vasta quella della decifrazione, per quanto sommaria, del futuro della produzione vitivinicola e piena, purtroppo, di criticità spesso poco esplorate o di difficile approccio. Ma un nodo è ormai evidente per ogni tentativo di spiegazione delle sorti del vino mondiale: il rapporto tra ambiente, cambiamenti climatici e metodiche di produzione. Un rapporto che dovrà essere necessariamente mutato e dove la viticoltura intensiva dovrà essere superata. Perché il vino del futuro non dovrà più essere attento ai quantitativi, ma alla qualità dell’ambiente. Insomma, dobbiamo pensare una rivoluzione nel modo di produrre vino. È il messaggio che emerge da “Il futuro della viticoltura e della vinificazione”, di Wine2Wine” 2015, il forum sul business del vino by Vinitaly, Unione Italiana Vini - Uiv e Federvini.
Ha messo subito i “piedi nel piatto” della questione Pedro Ballesteros Torres, membro del direttivo dell’Istituto Master of Wine che, di fronte alla vastità della questione, individua quattro punti non più eludibili. “La soluzione ai cambiamenti climatici nei vigneti del mondo non passa dallo spostamento delle viti più a nord o più in alto. Non ha senso. Prima di tutto, bisogna analizzare attentamente questi fenomeni e comprendere che la viticoltura di oggi non è più compatibile con l’ambiente. Non è più tempo di pensare alla quantità del prodotto ma alla qualità dell’ambiente. Bisogna diminuire gli insetticidi e i pesticidi, insomma bisogna pensare ad un nuovo modello in cui il produttore non sia soltanto un entità economica rincorsa dai suoi debiti, ma diventi un attore del rapporto uomo-natura. La viticoltura intensiva, specialmente dove l’acqua scarseggia, non possiamo più permettercela. Non possiamo usare un bene come l’acqua, fondamentale e in pericolosa diminuzione, per produrre vino”.
In questo senso, torna in mente la poco democratica ma efficace legge dell’imperatore Diocleziano che vietava di piantare la vite dove era possibile produrre un’altra pianta che dava cibo. Anche l’erosione del terreno per la produzione di vino, resta un problema aperto su cui decidere quello che fare. Come, peraltro, i cambiamenti climatici stanno andando a braccetto con serie instabilità politiche che, conseguentemente, avranno ripercussioni sul commercio di un bene, voluttuario, come il vino.
Come secondo punto fondamentale Torres indica la forte, e per adesso poco contrastata, propagazione di malattie della vite come il mal dell’Esca e tutte quelle che attaccano il legno della pianta. “A mio giudizio - prosegue il Master of Wine - si tratta di un flagello più grave di quello della fillossera. Ci sono molte ragioni che spiegano questo problema e non mancano progetti a livello europeo per fronteggiare questa criticità. Mancano quelli a livello mondiale, però”.
Il terzo punto da considerare attentamente è quello delle nuove generazioni dei consumatori di vino con i loro nuovi modelli e i loro nuovi stili. Per Torres “sarà necessario, prima o poi, abbandonare i vini fatti in legno e consegnare al mercato prodotti di una viticoltura capace di mostrarsi dentro un contesto molto più ampio”. In questo senso, come quarto punto Torres suggerisce che “le denominazioni continueranno ad essere importanti, ma come indicazione di origine. Il resto è un “bla bla” che non ha nulla a che fare con la qualità di un vino. La qualità deve invece essere garantita da accordi e patti concreti fra produttori da comunicare in modo trasparente ai propri clienti”.
Se il rapporto con l’ambiente, con i problemi cruciali creati dal “global warming” è di primaria importanza, come attuare un coerente piano di sostenibilità per condurre questa sfida?. Le nuove tecnologie legate alla “viticoltura di precisione” sono in aumento e garantiscono risultati fino ad oggi impensabili. “Satelliti e droni riescono a “fotografare” lo stato generale di un vigneto anche con scarti di pochi millimetri - ha spiegato Massimo Claudio Comparini, esperto di tecnologia applicata e fondatore del Magazine “Cucina e Vini” - un aiuto fondamentale non solo alla redditività aziendale ma anche alla sua sostenibilità ambientale. Perché l’identificazione dei limiti di un vigneto ne riduce il suo impatto ambientale. Da novembre 2014 abbiamo in corso una sperimentazione sui vigneti di Bordeaux, compresi alcuni châteaux importanti come Lynch Bages, che costruisce un database a partire dai principali dati dei vigneti rilevati da satellite e droni stabilendo il loro stato di salute. I produttori si trovano ad avere una quantità di informazioni che possono usare per il dosaggio delle concimazioni, dei trattamenti, e così via, per diagnosticare la salute dei vigneti nel tempo, per effettuare una vendemmia selettiva, costruire la gestione del drenaggio, fino all’utilizzo “intelligente” dei trattori con gps. Una strategia che garantisce il miglioramento delle piante - conclude Comparini - massimizzazione del tempo e tracciabilità”.
Ricollegandosi alla sollecitazione sull’identikit del nuovo consumatore, Gurvinder Bhatia, canadese wine writer e Italian Wine Ambassador Vinitaly International Academy, ha affermato: “il vino deve essere goduto, basta con gli snob del vino. Tuttavia il vino deve avere un’identità forte, capace di sottrarsi alle mode. Oggi chi consuma vino è molto attento alla sua origine, al fatto che sia ottenuto in modo sostenibile e non si preoccupa del suo pedigree. I concetti chiave sono trasparenza, sostanza e sostenibilità. Il nuovo consumatore - conclude Bhatia - vuole guidare il mercato non seguire il mercato. Ed è lo stesso produttore che deve diventare guida”.
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