Anche il mercato dei “fine wines”, come quello dei tradizionali investimenti in azioni e obbligazioni, attraversa fasi nelle quali il sentiment negativo finisce col prevalere, e al momento pare proprio che lʼorso, tradizionalmente associato al segno meno, la faccia da padrone: tutti gli indici del Liv-Ex (http://liv-ex.com), il benchmark del mercato dei grandi vini nel mondo, dal “Fine Wine 50” al “Bordeaux 500” passando per il “Fine Wine 1000” e lo “Investables”, secondo il “Cellar Watch Market Report”, uno degli strumenti di analisi del Liv-Ex, sono in calo sul 2013.
Ma buone notizie arrivano per chi ha investito, negli ultimi tempi, nei vini italiani: i 100 vini italiani presenti nel “Liv-ex 1000” , o meglio le 10 annate dei 10 vini in lista (Solaia 2001-2010, Tignanello 2000-2010, eccetto 2002, Gaja Barbaresco 2000-2010, eccetto 2002, Gaja Sorì Tildin 2000-2010, eccetto 2002, Luciano Sandrone Barolo Vigne 1999-2008, Macchiole Messorio 2000-2009, Masseto 2001-2010, Ornellaia 2001-2010, Sassicaia 2001-2010, Tua Rita Redigaffi 1999-2010, eccetto 2000 e 2001, ndr), hanno performato bene, e hanno visto le quotazioni crescere, in controtendenza, in media dell’1,3%.
Il calo medio mensile degli indici, come riportato da “The Drinks Business” (www.thedrinskbusiness.com) è stato intorno al punto percentuale, mentre quello su base annuale è stato ben più consistente, e compreso tra il -3,7% del “Fine Wine 1000” e il -11,8% del “Fine Wine 50”: gran parte di questa situazione è dovuta anche allʼinteresse pressoché inesistente mostrato dal pubblico nei riguardi degli “en primeur” del 2013, che hanno rappresentato appena il 3,3% delle transazioni mensili in valore, con il giro dʼaffari in caduta libera del 23% su base mensile ad aprile su marzo.
Ancora più sorprendentemente, a risentire maggiormente della fase negativa del mercato sono stati i vini di Borgogna, specie se comparati ai confratelli di Bordeaux: i borgognoni hanno rappresentato appena il 2,7% delle transazioni mensili, mentre i secondi hanno continuato a rappresentare la stragrande maggioranza degli scambi (82,8%). E ad profittare da questa situazione non sono stati solo i vini della Champagne e della Cote du Rhône, ma anche e soprattutto i grandi del Belpaese, anche sulla scia dei notevoli successi di mercato dei Supertuscans registrati sul finire del 2013: se, come detto, il sotto-indice dei “Burgundy 150” è sceso di quasi due punti percentuali, a -1,8%, lo “Italian 100” è cresciuto di quasi un punto e mezzo allʼinterno del “Fine Wines 1000”, che monitora le transazioni delle più influenti etichette del mercato dei vini da investimento a livello globale.
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