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IL MONDO DEL VINO RIPONE GRANDI SPERANZE SULLA CINA, MA TRA GLI ANALISTI, COME SPIEGA WINE INTELLIGENCE, EMERGONO DUE VISIONI DISTINTE: DA UN LATO I “CLINTONS”, OTTIMISTI CRONICI, DALL’ALTRO I “CHENEYS”, CHE PREVEDONO UN FUTURO NERO PER PECHINO

Italia
Il mondo del vino ripone grandi speranze sulla Cina

Il mondo del vino ripone grandi speranze nella capacità di crescita del mercato cinese, eppure, tra gli analisti ed i protagonisti del settore, stanno emergendo due visioni del gigante asiatico decisamente diverse, al centro della conferenza “Wine in China”, di scena nei giorni scorsi ad Hong Kong ed organizzata dalla Master of Wine Debra Meiburg. Richard Halstead, analista di punta di “Wine Intelligence”, ha scherzosamente ribattezzato i due approcci al mercato cinese come due celebri protagonisti della scena politica Usa degli ultimi anni, chiamando “Clintons” gli ottimisti che, come l’ex presidente vedono solo opportunità nel futuro, e “Cheneys” i pessimisti, come il vice presidente di Bush, famoso per gli scenari tetri spesso evocati parlando di politica estera.

In effetti, ognuno dei due punti di vista è supportato da dati inconfutabili: per i “Cheneys”, ad esempio, l’aspetto più problematico riguarda lo stile di vita della nuova middle class delle metropoli costiere, alla prese con un boom dei consumi e del costo della vita legato molto di più alla tecnologia, all’aumento degli affitti e dai cappuccini di Starbucks che dagli acquisti enoici. Senza dimenticare altri due fattori, come il gap culturale, che fa del vino uno status symbol che difficilmente troverà una sua piena emancipazione negli usi e nei costumi culinari d’Oriente, e la stretta del nuovo presidente alle spese folli dei politici di Pechino, primi acquirenti dei pregiati fine wines francesi.
I “Clintons”, da parte loro, sottolineano come il reddito medio annuo, nel prossimo decennio, è destinato ad aumentare a ritmi vertiginosi, tanto che la classe medio alta (con un reddito sopra i 34.000 dollari) passerà dai 60 milioni di persone di oggi ai 150 milioni di persone. E si tratterà, essenzialmente, di giovani, con un humus culturale profondamente influenzato dagli usi e costumi occidentali, e quindi, anche grazie alla tecnologia, molto propensi a bere, capire ed apprezzare il vino. Chi avrà ragione? Solo il tempo può dirlo, anche se, come sottolinea lapalissianamente Wine Intelligence, la verità probabilmente sta nel mezzo, anche se molto dipenderà, più che dalla platea dei consumatori, comunque destinata a crescere, dalla frequenza d’acquisto, perché una cosa è poter contare su 70 milioni di wine lover che bevono in media 4 bottiglie di vino all’anno, un’altra è se i consumi medi riusciranno ad allinearsi, ad esempio, con quelli Usa (40 bottiglie l’anno a persona, almeno tra i bevitori più affezionati).

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