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Il Mondo

Vini, primi in bottiglia ... La classifica 2013 delle 86 grandi cantine italiane ... C’è crisi, emerge la qualità ... Consumi italiani così così, mentre l’estero fa lievitare i ricavi dei gruppi votati all’export. Ma nella classifica del “Mondo” emergono anche le cantine che puntano sulla redditività, come San Guido, Antinori, Ferrari e... ... L’istantanea del mercato del vino trova concordi tutti gli operatori, sia pure con qualche distinguo: “Ci sono due mondi”, precisa Alberto Tasca, ad della siciliana Tasca d’Almerita. “Quello industriale che fa molto fatica e un altro, più artigianale, che combatte e sta migliorando i suoi risultati”. Ma c’è anche un’altra lettura, in netta controtendenza. “L’export del vino va meglio di un’Italia manifatturiera che va già bene”, aggiunge Pietro Modiano, presidente di Nomisma, società di studi economici bolognese che ha creato un osservatorio sul mercato del vino,
Wine monitor, con l’obiettivo di seguirne le dinamiche. “Ma ciò che differenzia questo da altri settori è piuttosto il mercato interno che non va malissimo. C’è una debolezza strutturale, dovuta alla caduta dei consumi, che è però meno accentuata che in altri ambiti. Il valore del venduto
non è sceso. Lo zoccolo duro dei consumatori c’è e la sua scelta si sposta verso prodotti di maggiore qualità e valore. È un settore che va meglio di tutta l’area alimentare”. Insomma, nonostante le difficoltà, il mercato del vino rappresenta un pezzo dell’Italia che funziona. Con tante energie in campo, anche nel mondo cooperativo, protagonista nell’ultimo decennio di molti processi di integrazione. “E il frutto di un lavoro che viene da lontano”, commenta Maurizio Gardini, neo presidente della Confcooperative, anche al vertice di Fedagri. “Le piccole aziende sono obbligate ad andare sul mercato in modo aggregato per affrontare meglio le criticità del credito e i mercati internazionali: la dimensione non è un antidoto a tutti i mali, ma aiuta quando la competizione diventa più forte ed esasperata”. Favorendo la crescita e la scalata ai vertici del mercato, come dimostra la classifica 2013 (sui bilanci 2012) del Mondo, che raccoglie quest’anno 86 imprese, 11 in più del 2011: un campione che rappresenta un giro d’affari superiore a 4,5 miliardi,
pari al 45% del mercato totale (stimato in circa 10 miliardi) e 2,5 miliardi di esportazioni, più del 50% dell’export complessivo, Coop al comando. “Chi detiene il prodotto vince: e le uve passano per il 50% attraverso il mondo cooperativo”, sostiene Corrado Casoli, presidente di Cantine riunite & Civ, coop di Compagine (Reggio Emilia), leader mondiale di Lambrusco e vini frizzanti, al comando della graduatoria, con un consolidato di oltre 500 milioni. Questo è alimentato in larga parte dal controllato Giv, maggiore singolo protagonista del mercato, con un fatturato di 372 milioni. A casa dei primi della classe tira buon vento. “Se la Coop ha ottenuto brillanti risultati all’estero, con crescite a due cifre nelle vendite del Lambrusco in Sudamerica, anche il Giv archivia un buon 2012”, nota Casoli, che è anche alla testa della controllata. “Funziona bene l’export grazie anche alle nostre società dirette in diversi paesi, come la Shanghai Giv Cina, operativa da gennaio 2012”. Tra i pilastri del Giv, cui fanno capo 15 cantine di produzione, c’è Bolla: “Siamo orgogliosi di aver riportato in Italia il marchio (era dell’americana Brown-Forman, ndr), che ha registrato una crescita del 25%”, dice Casoli. Con 10 milioni di bottiglie e 30 milioni di fatturato, lo storico brand della Valpolicella è il principale asset del Giv. Altro pilastro è l’emiliana Cavicchioli, nota per il Lambrusco, che porta in cascina 25 milioni di fatturato. “In netta controtendenza, Cavicchioli è forte sul mercato italiano”, aggiunge Casoli, preannunciando un lancio sui mercati esteri, rinviato a causa del terremoto. Previsto nuovo sviluppo per linee esterne? Casoli chiude la porta: “Se devo investire, preferisco potenziare la mia capacità distributiva”. Ha allargato invece il suo perimetro operativo la Caviro, seconda con 197 milioni di fatturato nel solo comparto vino. La casa del Tavernello (primo marchio italiano di vino nel mondo) ha infatti acquisito 1’SO% del
capitale della società di distribuzione Dalle Vigne (18 milioni di fatturato, 76% export) cui fanno capo i marchi Leonardo da Vinci e Cantina di Montalcino (vedi il Mondo 10). Leader nella Gdo, nel segmento dei vini di consumo quotidiano, e primo produttore di vino in Italia, con questa mossa la cooperativa di Faenza (Ravenna), guidata da Sergio Dagnino, completa la gamma di prodotti in portafoglio e vara un programma di sviluppo che punta su altri brand importanti in zone chiave del vigneto Italia, come il Piemonte e il Veneto, anche in funzione di un potenziamento dell’export. Con Delle Vigne il fatturato Caviro salta sopra i 200 milioni. Nel 2012 l’incremento è stato del 19,40%: tra i più elevati del mercato, tenendo anche conto del terreno competitivo rappresentato dalla grande distribuzione. Si tratta infatti di un’arena difficilissima: sugli scaffali della Gdo si scontrano ben 20.053 referenze tra bottiglioni, bottiglie, brik, bag in box e damigiane. Il 23,4% del totale, ovvero 4.688 referenze (equivalenti al 69,9% dei volumi e al 42,5% del valore) è in vendita sotto i 3 euro. Tra le 17.132 referenze in bottiglia, 2.177 hanno un prezzo inferiore al 3 euro, mentre 4.295 costano più di 10 euro, rappresentando il 5,9% in valore e 1’ 1,1% in volume. “11 fatto più allarmante è la perdita del vino nel suo complesso: cedono anche le vendite delle bottiglie da 0,75 che si erano mosse sempre in controtendenza”, commenta Dagnino. Tra le novità della classifica 2013 c’è il passo avanti della piemontese Fratelli Martini, al terzo posto. “Continuiamo a investire in tecnologie”, precisa Gianni Martini, proprietario dell’azienda di Cossano Belbo che opera all’estero con il brand Canti e in Italia con il Sant’Orsola. “Siamo i più grandi vinificatori del Piemonte grazie alle uve di 1.820 famiglie contadine conferitrici, mentre nelle altre regioni compriamo mosti o vini finiti, secondo le indicazioni del disciplinare”. Dopo l’exploit Martini, ecco la consueta sana competizione tra le coop trentine Mezzacorona e Cavit: vince il gruppo Mezzacorona sull’azienda di Gravina che l’aveva sorpassata a sua volta nel 2012. “La concorrenza con Cavit è sprone a fare sempre meglio”, commenta il presidente, Luca Rigotti. “Abbiamo chiuso l’anno con la soddisfazione di aver aumentato lievemente il reddito dei soci e di aver ridotto ancora l’indebitamento”. In attesa di restituire pan per focaccia, Cavit, guidata da Enrico Zanoni, potenzia l’area spumanti e continua a investire in ricerca e sviluppo, impegnata nell’ambizioso progetto di tutela ambientale e supporto ai viticoltori, che ha dato vita alla più avanzata piattaforma tecnologica, in collaborazione con l’Istituto San Michele all’Adige e la Fondazione Bruno Kessler. Oltre i 100 milioni. Sono 14 le aziende con un giro d’affari sopra questa soglia, tre in più del 2011. Di questo tris fa parte la veneta Enoitalia di Giorgio Pizzolo e fratelli: l’azienda commerciale ha accordi con produttori, sviluppa marchi propri e per conto di clienti e, con un progresso del 18,6%, ha superato Giordano vini. Al decimo posto la Cantina di Soave guadagna due posizioni, crescendo del 20%. Guidata dal dg Bruno Trentini, è uno dei principali attori della Valpolicella, grazie ai 6 mila ettari di vigneti dei soci che negli ultimi cinque anni hanno visto raddoppiare il valore di liquidazione delle uve. Ha superato 100 milioni, con un ÷20%, anche la Casa vinicola Botter, guidata dall’omonima famiglia, terza generazione alla testa dell’azienda, tra i leader nell’imbottigliamento e nel commercio di vini italiani, soprattutto all’estero. Fanno parte di questa fascia dimensionale Marchesi Antinori, al sesto posto con 150 milioni e Casa vinicola
Zonin, salita al settimo, con 140 milioni: sono, a tutti gli effetti, le due maggiori aziende private produttrici del mercato, proprietarie della maggiore estensione di vigneti. Completano la rosa dei big Campari e Giordano. Il polo vini della multinazionale del beverage, guidato da Andrea Montorfano, è accolto sotto il cappello di Campari wines. La strada prescelta per allargare il suo perimetro operativo è quella degli accordi di distribuzione esclusiva con cantine di qualità: l’ultimo con la cantina Volpe Pasini ha permesso al gruppo di entrare nel cuore eccellente del Friuli. Ancora un anno in flessione per Giordano, unica impresa che opera nella vendita diretta. Nel 2012 ha iniziato l’attività in Francia, dove questa tipologia commerciale è molto sviluppata. Le prime risposte appaiono interessanti. “Il fatturato complessivo delle vendite vini e alimentari è stato di 2,1 milioni”, anticipa SimonPietro Felice, ad di Giordano. “A gennaio 2013 abbiamo lanciato anche un sito internet di e-commerce in francese che nel primo mese ha raccolto 1.800 ordini: l’obiettivo è di superare quota 60 mila, pari alla vendita di 700 mila bottiglie”, Complessivamente il p001 di aziende over 100 milioni rappresenta poco più di 2 miliardi di fatturato, pari al 20,5% del mercato totale (stimato nell’ordine di 10 miliardi) e al 45,5% del campione della classifica. Sui ricavi Italia le big incidono per il 37%, mentre il peso sul mercato estero sale al 52,3%. In cinque tra gli 80 e i 100 milioni. Il gruppo Cevico, con 95,81 milioni scalda i motori per il prossimo anno: il consorzio romagnolo di Lugo (Ravenna), presieduto da Ruenza Santandrea, associa 4.500 viticoltori e nove cantine cooperative, e gestisce più di 20 marchi. In questa fascia c’è anche il Collis veneto wine group, consorzio cli secondo grado presieduto da Pietro Zambon, che controlla le Cantine
Riondo e partecipa nelle spa Sartori e Cielo e Terra. Collis ha scalato vari posti in classifica e ha appena varato un modello organizzativo, innovativo per il settore, che potenzia la governance e coinvolge tutte le funzioni aziendali. Al 16esimo posto il gruppo cooperativo La-Vis: reduce dal commissariamento, gli operatori scommettono su un suo effettivo rilancio all’interno di un progetto cooperativo trentino. Chiudono due maison private di peso come Santa Margherita (14esima) e Marchesi de’ Frescobaldi (17esima). Fascia tra i 40 e gli 80 milioni, All’interno ci sono tre new entry. La Mgm mondo del vino, 20esima, imbottigliatrice con sede a Forlì e cantina di produzione a Priocca (Cuneo), in Piemonte, molto presente all’estero. La Vinicola Serena, a quota 27, ultracentenaria azienda veneta dell’omonima famiglia impegnata nella conduzione della società leader per i vini in fusto. E terza, a quota 31, La Marca, vini e spumanti nel Trevigiano, presieduta da Valerio Cescon: riunisce dieci cantine cooperative e rientra nell’area del Prosecco docg di cui produce 3 milioni di bottiglie su un complesso di 14 milioni. Accanto ai volti nuovi tanti habitué. Tra questi la lombarda Caldirola, leader nelle vendite in vetro nella Gdo, Settesoli, di
dinamica coop siciliana che archivia una crescita significativa del valore dei suoi vini, La Gioiosa, Sartori, Duca di Salaparuta dell’Iliva di Saronno, protagonista di un interessante progetto alleanze commerciali finalizzato al potenziamento sul mercato Italia (il Mondo 9), Gestioni Piccini, o, ancora, Fontanafredda, storica cantina piemontese entrata nel regno di Oscar Farinetti, cuore di un poio vitivinicolo di rilievo che il patron di Eataly sta mettendo a punto, prima di presentano urbi et orbi. In 27 da 20 a 40 milioni. Largo alle tre new entry: la Cesari Gerardo di Cavaion Veronese, nota per il suo Amarone. La pugliese Cantnie Due Palme, 1.200 soci e 2.400 ettari a vite, numero uno per l’incremento del fatturato Italia del 40%, il più alto in assoluto. Il presidente ed enologo Angelo Maci, sostenitore della cooperazione, non ha dubbi: “E il risultato degli investimenti effettuati negli ultimi due anni: più di 22 milioni in tecnologia avanzata e nella formazione dei giovani. Ancora: la cantina friulana Fantinel, creata dall’omonima famiglia che ne guida la crescita da tre generazioni. E, ciliegina sulla torta, la famosa Tenuta San Guido, produttrice del Sassicaia, vino cult famoso in tutto il mondo, che è anche al top della redditività. Nuovi arrivi a parte, in questo gruppo si raccolgono aziende che vantano crescite superiori al 10%. Dalla lombarda Natale Verga, alla coop trevigiana Viticoltori Ponte, guidata da Massimo Benetello, anche protagonista di una brillante azione di licensing con il celebre Teatro La Fenice di Venezia. Da Chiarli 1860, storica azienda emiliana che ha portato il suo Lambrusco al vertice della critica enologica, alla marchigiana Terre cortesi Moncaro o ancora alla laziale Gotto d’oro. Attenzione merita la Luigi Sgarzi, che continua a infilare incrementi a due cifre. C’è un perché: Sgarzi è la maggiore azienda esportatrice del mercato, con presenza in 80 Paesi, anche diretta, come in Cina e Messico, dove ha due controllate. Ancora: Valdo spumanti presieduta da Pierluigi Bolla, leader sul mercato del Prosecco, sia in termini di volumi che di valore; Allegrini, ambasciatrice della Valpolicella nel mondo, oltre che azienda ad alta redditività, le chiantigiane Rocca delle Macie e Cecchi, la piemontese Toso, che vanta la registrazione Emas, una supercertificazione ambientale che testimonia l’impegno dell’azienda guidata da Gianfranco Toso sul tema dell’ecosostenibilità. Guido Berlucchi della famiglia Ziliani, accusa una flessione in Italia, ma l’export cresce del 40% nel triennio, grazie anche all’accordo commerciale in Usa con Terlato. “Nel 2012 il Franciacorta è diventato il primo metodo classico italiano con 14 milioni di bottiglie, su un mercato totale stimato in circa 22 milioni di pezzi e Berlucchi ne è il leader, con il 16% sul totale e il 25% solo sul Franciacorta”, spiega Franco Ziliani, enologo e ad della maison di Borgonato (Brescia), che ha al suo attivo oltre 7 milioni di investimenti, in tre anni, sul fronte produttivo-qualitativo ha deciso “nuovi e massicci investimenti all’ export”. Momento difficile sul mercato interno anche per la veneta Pasqua: “Ci confrontiamo con un mercato in continua evoluzione e uno scenario economico poco rassicurante”, sostiene Umberto Pasqua, al vertice dell’azienda familiare che ha deciso di rafforzare le attività sui mercati esteri e in particolare Canada e Usa, dove opera la consociata Pasqua Usa, di potenziare il brand e di incrementare “il prezzo medio per bottiglia per valorizzare qualità e unicità dei nostri vitigni italiani”. Risultati positivi per Cielo e Terra, produttrice del Freschello, vino quotidiano in bottiglia a bassa gradazione più venduto nella gdo (8 milioni nel 2012). L’azienda vinicola vicentina guidata da Luca Ciejo ha adottato, per prima in Italia, il metodo lean, (utilizzato dalla casa automobilistica Toyota): sistema organizzativo che ha determinato il raddoppio della capacità di produzione. Ed eccoci a Terra Moretti: gruppo vinicolo dell’imprenditore Vittorio Moretti, che comprende marchi amati dagli appassionati come Bellavista e Contadi Castaldi (al vertice della Franciacorta). Anche qui grandi risorse sono concentrate sui mercati esteri, in particolare Usa, Giappone e Cina. C’è un punto che Moretti sottolinea con forza: “Siamo il Paese della creatività e ancor oggi ci presentiamo sui mercati in modo frazionato e con lo schema abituale del banco di assaggio, mentre saremmo sicuramente capaci di unire sinergicamente i migliori ambiti del saper fare italiano, per presentare il nostro mondo del vino in modo esemplare”. Parole sante per tanti operatori. In questo gruppo, tra gli altri, anche Farnese vini, la maggiore azienda abruzzese in classifica, creata da Valentino Sciotti, oggi controllata 21 investimenti. In 27 sotto i 20 milioni. In questa fascia si trova la maggiore concentrazione di aziende familiari, in molti casi note griffe del made in Italy nel mondo. Qualche nome? Le campane Feudi di San Gregorio della famiglia Capaldo e Mastroberardino, 1’ abruzzese Masciarelli, le toscane Barone Ricasoli e Marchesi Mazzei, le siciliane Tasca d’Almerita, Cusumano, Donnafugata e Pianeta, l’emiliana Umberto Cesari, la sarda Argiolas, la marchigiana Umani Ronchi della famiglia Bernetti, la piemontese Marchesi di Barolo, le venete Bisol, gruppo Paladin e Carpenè Malvolti, l’umbra Lungarotti. Tutte cantine che non stanno mai ferme. Tra le iniziative, ce n’è una che vede a braccetto due marchi amici, ma anche forti concorrenti, come Tasca d’Almerita e Pianeta: è Sostain, il primo progetto sulla sostenibilità aziendale, in collaborazione con l’Università di Piacenza. “Il verbo della sostenibilità è condividere”, commenta Alberto Tasca. “Vorremmo unire in questo progetto tutte le aziende siciliane. Grazie alla promozione del ministero dell’Ambiente si è già esteso ad altre dieci aziende in Italia: siamo all’inizio di un percorso senza sosta”. Tre le esordienti in questa fascia: la coop Rauscedo di Pordenone: appena fusa con la sorella di Codroipo (Udine) ha dato vita a un nuovo polo enologico cooperativo friulano, con 550 viticoltori e 1.200 ettari di vigneti. Alois Lageder, grazie all’impegno e alla filosofia di vita di Alois Lageder, titolare della maison altoatesina e quinta generazione della famiglia che ha creato l’azienda alla metà dell’Ottocento, dal 2004 si è convertita alle pratiche bio-dinamiche:
rappresentano anche un vantaggio competitivo crescente in un mercato via via più consapevole. C’è poi Michele Chiarlo: tra i principali protagonisti delle vigne del Piemonte, Chiarlo è un signor produttore di grandi classici della regione. Rientrano in questo gruppo, la Genagricola delle Assicurazioni Generali, le Cantine San Michele Appiano, Castelnuovo del Garda. Infine la Bertani, storico brand di Amarone e la toscana Tenimenti Angelini: chi conosce le potenzialità delle due imprese, le risorse e l’ambizione della famiglia Angelini che le possiede (ed è anche proprietaria dell’omonimo gruppo farmaceutico) e le capacità di Emilio Pedron che ne ha il comando, è in attesa di grosse novità. Da qualche mese, infatti, è partito il progetto vitivinicolo di Tenimenti Angelini che prevede un modello di impresa enologica di vini di qualità, made in Italy e prenderà il via a fine anno con la nascita della Tenimenti Angeini società agricola, unica proprietaria di vigneti, marchi, cantine e rete di distribuzione.“L’obiettivo non è quello di aumentare il fatturato”, precisa Pedron. “Ma di consolidare un’azienda che avrà al suo interno marchi importanti e vigneti in sei zone pregiate d’Italia per una superficie vitata di 337 ettari”. I campioni di redditività. La graduatoria svela i campioni del 2012: quelle aziende che hanno registrato un rapporto tra ebitda e fatturato superiore al 20%. Che è al vertice? Due cugini dal sangue blu: il marchese Nicolò Incisa della Rocchetta, con la sua Tenuta San Guido, e il marchese Piero Antinori, alla testa della più grande
proprietà familiare del mercato, costituita da cantine famose come Tignanello, Castello della Sala, Guado al Tasso. Qual è la forza di queste due maison che sfoggiano una redditività, rispettivamente pari al 46% e al 39,7%? “Siamo prima di tutto agricoltori che si prendono cura di un prodotto, come il Sassicaia, che ha identità ed eleganza costanti da 50 anni ed è valorizzato da una politica di prezzi chiara e prudente, che non ha mai approfittato dei momenti di boom del mercato”, racconta Carlo Paoli, direttore generale della tenuta di Bolgheri. Tra i segreti di un’etichetta che non conosce crisi, c’è la scelta di una produzione fissata in circa 200 mila bottiglie per essere sempre inferiore del 40% alla domanda: “Ciò rende raro un vino che si offre al consumatore a un prezzo notevole, ma non impossibile”. Dall’azienda bolgherese alla fiorentina Marchesi Antinori: non si modifica il forte legame con la terra e con le singole fattorie che operano ciascuna con la propria identità, riunite sotto il nome di una famiglia che continua a investire pensando al futuro. Come dimostra anche l’investimento di circa 100 milioni nella cantina per la produzione del Chianti classico, che non ha uguali in Europa, realizzata a Bargino (Firenze), proprio nell’area in cui Antinori ha messo le radici 26 generazioni fa. Efficienza e solidità finanziaria sono due punti cardinali che Antinori non ha mai perso e che risultano decisivi nelle fasi più difficili del mercato. “Ottimista, nonostante tutto”, commenta Renzo Cotarella, ad del gruppo. Che sottolinea il particolare impegno degli imprenditori nell’area commerciale: “E la più complicata: la qualità è cresciuta ovunque, i margini di miglioramento passano solo attraverso lo stile e la forte identità, la distribuzione è sempre più costosa”. Al terzo posto di questo olimpo, ecco le Cantine Ferrari guidate dai cugini Lunelli. La maison di bollicine trentina sta crescendo bene all’estero, “ma la quota è ancora modesta per compensare il calo dei consumi interni che ha penalizzato il fatturato”, racconta il presidente Matteo Luneffi. “Ciononostante Ferrari è riuscita a crescere in termini di quote di mercato in Italia, rappresentando il 25% nel segmento del metodo classico”. Tra le strade dello sviluppo Ferrari c’è il progetto retail, che ha i suoi cardini nei Ferrari spazio bollicine, aperti in alcune piazzette modaiole d’Italia e di recente anche all’aeroporto Leonardo da Vinci di Fiumicino, “con un format innovativo che potrebbe avere repliche anche all’estero, dove Ferrari deve essere simbolo dell’arte di vivere italiana, accanto alle eccellenze dell’arte e della moda”, aggiunge Lunelli, che non esclude crescite per linee esterne. “Siamo però molto rigorosi: cerchiamo marchi di eccellenza con un forte appeal sui mercati esteri e potenzialità interessanti di sinergia”. Ancora un campione di redditività: la Masi Agricola di Sandro Boscaini, che attraversa la crisi con disinvoltura grazie alla sua presenza in oltre 90 Paesi, che alimentano il 93% del fatturato. Il 12% del giro d’ affari proviene dal fronte duty-free and travel retail che costituisce una rete interessante con presenze in aeroporti come Dubai, Singapore o Macao. Ultima novità è la collaborazione negli Usa con il nuovo importatore Kobrand wine & spirits, noto per l’alta qualità del suo portafoglio. Altra realtà di riferimento: il gruppo Santa Margherita presieduto da Gaetano Marzotto, proprietario con i fratelli della holding di Zignago cui fa capo la divisione vini Santa Margherita. Sotto la guida di Ettore Nicoletto, il gruppo si conferma tra i più solidi del mercato, protagonista di una crescita regolare e costante, con risultati reddituali eccellenti. Anche Santa Margherita è pronta ad allargare il suo perimetro operativo in Italia in zone come Abruzzo, Puglia, Veneto occidentale, con iniziative che non si limitano però alla sola joint venture commerciale. Nel frattempo si sta rafforzando su mercati chiave con proprie consociate commerciali, con crescite sopra la media. Novità: “Abbiamo iniziato la commercializzazione
diretta dei nostri marchi negli Usa e il 2013 è il primo anno di attività piena”, spiega il manager. “L’obiettivo è diventare uno dei più importanti poli di attrazione dell’importazione di vino italiano negli Usa”. Tra questa elite anche la Marchesi de’ Frescobaldi. La casata toscana, proprietaria di 1.200 ettari di vigneti, tasta il polso di due diversi segmenti di mercato: quello dei vini di prezzo medio-alto che risentono della congiuntura, del regime di concorrenza agguerrita, della forbice sempre più larga tra domanda e offerta. E l’altra, quella dei vini al top, dalle quotazioni altissime, che non conoscono crisi. Frescobaldi si muove con disinvoltura su questo mercato privilegiato, avendo nel suo bouquet due etichette mito, come l’Ornellaia e il Masseto, contese dal collezionisti di tutto il mondo. “I problemi scompaiono nel comparto del lusso, che continua a essere trainante in Europa, e nel quale abbiamo ancora molte carte da giocare”, conferma l’ad Giovanni Geddes da Filicaia. “E la marca che fa la differenza ed è necessario posizionarsi sul tavolo delle eccellenze per diventare competitivi”. Tanto per gradire, l’indice Liv-ex, principale benchmark del mercato mondiale del vino che considera cinque supertuscan, Sassicaia, Tignanello, Solaia, Ornellaia e Masseto, ha registrato una crescita costante di valore che, in particolare per il Masseto, ha superato il 200%. Basta uno sguardo tra le aziende che guadagnano di più, per incrociare frequentatori assidui di questo salotto, come Barone Ricasoli, Cusumano, Pianeta e Allegrini. Si affacciano invece per la prima volta Terra Moretti e Ruffino. Quest’ultima ha chiuso il 2012 con l’indovinato lancio delle nuove proposte di vecchi successi della casa, come il fiasco di Chianti superiore e il rosatelio, operazione che ha bloccato la discesa a doppia cifra del fatturato in Italia. La storica azienda toscana di proprietà dell’americana Constellation brand, è guidata da Sandro Sartor, che rivela: “Abbiamo rimesso al centro della nostra strategia il Chianti e il Chianti classico, uscendo da territori dove non potevamo esprimere un vantaggio competitivo, come l’area di Montepulciano o il Friuli dove abbiamo chiuso l’accordo per la distribuzione dei vini di Borgo Convento”. Chi ha più vigneti. Per la prima volta una speciale classifica del Mondo fotografa le aziende private con la maggiore estensione di proprietà. Alla testa c’è Marchesi Aritinori, con 2.540 ettari: circa 1.800 in Italia, il resto riguarda le proprietà negli Usa, Cile, Ungheria e Romania. “C’è il desiderio di estendere ancora i nostri vigneti per cercare di essere il più possibile autosufficienti, anche per quanto riguarda le etichette dei nostri vini classici, che non fanno riferimento a una specifica fattoria, per i quali acquistiamo una parte delle uve”, precisa Cotarella. Ma Antinori non è il solo a comprare terra. Al secondo posto, con 1.840 ettari, di cui 90 in Virginia, la famiglia Zonin prosegue la sua collezione di aziende (nove fin qui) nelle aree più interessanti del Paese, pronto a cogliere nuove occasioni, per esempio, in Abruzzo e nelle Marche. “Investiremo ancora, ma solo al giusto prezzo”, anticipa Francesco Zonin, vicepresidente alla guida dell’area commerciale del gruppo veneto. “Ci stiamo attrezzando per seguire con efficacia il cambiamento dei consumi in atto. Ma, intanto, abbiamo rimediato alla sofferenza del mercato interno con le buone performance all’estero, specie in Usa e Gran Bretagna, dove il controllo diretto della distribuzione sta dando ottimi risultati: è importante conoscere bene i mercati, così diversi tra loro, con lo spirito del vignaiolo con valigia in mano orgoglioso di far conoscere la meraviglia dei nostri vini autoctoni”. Il 62, cattiva annata. Ultima annotazione sull’amata-odiata legge che ha modificato, accorciandoli, i tempi di pagamento: lo stranoto articolo 62. Stando agli operatori, questa norma, invece di aiutare, blocca ancora di più il mercato. “È vero: la flessione delle vendite c’è, perché bisogna onorare gli impegni in tempi molto più brevi”, sbotta Lamberto Vallarino Gancia, presidente Federvini. “Ma la ratio del provvedimento è valida. La caduta del governo ha impedito la correzione di alcune distorsioni che dovrà essere fatta”.

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