Il “pluralismo”, nell’informazione e nella comunicazione, è certamente un valore. Anche nel vino. Ma, secondo alcuni, “troppo pluralismo” porta ad una “babele” di informazioni, criteri di giudizio e valori talmente diversi tra loro, da essere, potenzialmente, controproducente. Ma se queste sono le opinioni, il dato di fatto è che L’Italia, senza dubbio, è il Paese con il maggior numero di guide sul mondo di Bacco, più o meno autorevoli o diffuse che siano. È un bene o un male? “Certamente, più si parla di vino e meglio è per la “civiltà del vino””. Parola di Michel Bettane, uno dei critici più celebri al mondo, firma, insieme a Thierry Desseauve, della “Grand Guide des vins de France”. Che a www.winenews.tv spiega: “anche se non si è d’accordo con i consigli contenuti nelle guide, e persino se non ci va a genio uno degli autori, è necessario, perché se si vuole avere una vita molto ricca, una vita “civilizzata” dal punto di vista del vino, ci vuole una pluralità di voci. È molto importante che ci siano molte voci, perché questo aiuta a far parlare del vino, indipendentemente se ci piace o meno quello che dicono o scrivono o anche le loro personalità”.
Non si rischia, però, che così ognuno declini il concetto di “qualità” in modi anche molto diversi tra loro, disorientando i consumatori?
“Ma la qualità è un concetto molteplice: ci sono la qualità intrinseca e la percezione della qualità da parte del pubblico. E quest’ultima, che è soggettiva, è fatta dalla qualità intrinseca ma anche dall’immagine. Però, anche se il mondo non si può cambiare, nel senso che alcune cose sono dati di fatto “oggettivi”, la percezione della qualità si può in effetti cambiare, non è solo una sensazione o una percezione, ma uno stimolo proveniente dalla mente”.
Qualità percepita, quindi, è anche qualità comunicata. E spesso si dice che l’Italia, a livello di qualità intrinseca dei vini, abbia ormai raggiunto la Francia, ma che sia meno brava a comunicarla. Che ne pensa?
“La qualità è pari, non è quello il problema. Il problema è che abbiamo (i francesi) un secolo di vantaggio, per così dire: la storia dei nostri grandi vini è un secolo più lunga della vostra, e ci siamo abituati ad essere i migliori nel 19esimo secolo. Ma ora, nel 21esimo secolo, si possono fare grandi vini in ogni angolo del mondo, e i grandi vini sono fatti con le stesse abilità e la stessa intelligenza di allora: allora si pensava che il suolo fosse meglio in Francia che, per dire, in nuova Zelanda, ma oggi sta all’abilità dei produttori francesi, di quelli neozelandesi e di quelli di tutto il resto del mondo fare il meglio con i fattori ambientali di cui dispongono. Sta alle persone trovare i migliori posti e i migliori luoghi per coltivare, ma non esiste “il meglio” in senso assoluto: esiste la loro idea del meglio a seconda di quello che hanno in mente di creare, e la diversità di queste idee, e la loro complessità - i dibattiti e così via - è parte integrante del mondo del vino, oltre che uno degli aspetti che mi piace di più. Se ci fosse solo uno stile di vino, una sola filosofia del fare vino, sarebbe una noia mortale!”.
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