Dove va la sommellerie italiana, e cosa vuol dire oggi, essere un sommelier? Di certo qualcosa di più e di diverso rispetto al passato, non “ristagna nei ristoranti, ma è protagonista della comunicazione, gira il mondo, scrive, a volte si scopre wine buyer”, come racconta a WineNews il più bravo del mondo secondo la Worldwide Sommelier Association, Luca Martini, che ha un consiglio importante da dare al Belpaese nel bicchiere: “è sempre meglio guardare al proprio orto piuttosto che a quello che fa il vicino”. In effetti, l’Italia enoica si specchia spesso negli altri per capire chi è, rincorrendo per molti aspetti la Francia, e guardandosi le spalle dalla Spagna, mentre per Martini, “i competitor non esistono: non puoi competere con la Spagna o con la California. Parliamo di cose totalmente diverse. Ci sono realtà interessanti, ma quello che fa la differenza sono le oscillazioni di mercato. Fino a poco tempo fa la Cina cercava Bordeaux, perché non produceva vino, ora che ha cominciato si guarda di più al mercato interno, per questo credo di più a Messico e Brasile per il futuro, mentre la Russia è in frenata. Poi - continua Martini - spero che questa crisi porti ad un ragionamento comune, e che chi ha sempre lavorato bene continui a fare le cose con entusiasmo. I francesi sono da prendere come modello più che altro per l’amore che hanno per la loro terra: più che seguire i mercati seguono una filosofia da vigneron, per cui lo studio porta entusiasmo e l’entusiasmo porta business. Dobbiamo rispettare di più la nostra terra e capire di più i mercati. Noi, errando, produciamo prodotti per mercati specifici invece di produrre prodotti solo perché è ciò che la terra e la nostra filosofia richiedono. Seguire le mode in alcuni casi va bene, ma quando finiscono le mode ci troviamo spiazzati cambiando un’altra volta cicli produttivi e stile, mentre dovremmo imparare a seguire i sogni ed avere un obiettivo per raggiungere un determinato target. Non è la quantità di vino che si produce, ma la qualità. Le aziende che non sono in crisi sono quelle che producono qualità, tanto che il mercato dei fine wine italiano sta crescendo sui vini francesi in maniera esponenziale”.
La figura del sommelier, come detto, ormai ha uno spessore del tutto nuovo, “oggi è una figura più internazionale, fungendo anche da wine buyer per le compagnie, persona di fiducia per acquistare vini ed anche una persona che scrive articoli sul vino nei giornali. E in Italia - spiega il miglior sommelier del mondo - il punto cardine è l’Ais che continua a dare molta professionalità ed anche come didattica è una delle più interessanti nel patrimonio italiano. Oggi bisogna usare un linguaggio consono al pubblico che abbiamo davanti, La terminologia deve essere adeguata a chi ti sta di fronte per confrontarsi. Per questo io a volte descrivo i vini usando linee, musiche e colori, perché rientra di più nei canoni utilizzati dalla gente comune: per essere un comunicatore del vino devi capire chi hai come interlocutore. Fare i “fenomeni” non fa mai bene al mercato, al contrario, in un percorso formativo, invece, puoi insegnare anche ai meno esperti ad utilizzare i termini adeguati”.
E raccontare il vino italiano non è certo un lavoro semplice, o per tutti: “nella mia vita ho fatto anche studi internazionali, e quando spiegano la Borgogna ti danno 3 tratti fondamentali, che sono Pinot Noir, Gamay e Chardonnay. Se invece si va a spiegare il Chianti Classico, non lo puoi racchiudere in 3 parole: bisogna prima dire cos’è il Chianti, cos’è il “Classico” cos’è l’Igt, cos’è un Supertuscan, quali sono le percentuali in base alla denominazione. La verità è che il nostro sistema è abbastanza complicato, non ci facilita la comunicazione e la divulgazione. Però la qualità e gli “icon wine” rimangono sempre fuori dal branco e fanno si che il nostro made in Italy continui a crescere insieme all’export, così come l’interesse per i nostri vini. La gente tende ad informarsi di più, eppure, se chiedi ad uno studente americano o cinese quale è la tappa più difficile nei suoi studi, risponderà il sistema delle dominazioni in Italia o il sistema delle mille frammentazioni che può avere il vino italiano”.
Frammentazioni che, comunque, includono picchi di eccellenza riconosciuti in tutto il mondo, a partire dai Supertuscan, “che stanno andando ancora molto bene anche se qualcuno soffre, e poi ci sono Barolo e Brunello, sempre in testa alle classifiche. Per quello che riguarda il commercio del vino, ho notato che gli inglesi apprezzano sempre di più il Prosecco, mentre i maggiori investimenti sono sempre sulle stesse etichette, Monfortino, Masseto, Pergole Torte... Ma stanno uscendo molto bene i vini campani, come Quintodecimo, o lucani, come Elena Pucci, o vini dell’Etna. Il mercato dei collezionisti cambia anche in base al giornalismo e quella che è la reperibilità nel mercato di un certo prodotto. La forza dei grandi vini italiani è che riescono a strappare dei prezzi in uscita molto competitivi, con una buona prospettiva di crescita negli anni, per questo si rivelano spesso dei buoni fondi di investimento per il futuro”.
Al di là delle certezze, “le sorprese che ci possiamo aspettare nei prossimi anni a livello italiano sono difficili da dire: ci sono molte micro zone nei territori blasonati che ancora devono ancora essere “scoperte”. Punterei molto sull’Etna come una futura Borgogna. Punterei molto sulla diminuzione e focalizzazione di territorialità per quel che riguarda il Chianti Classico, dove questa crisi porterà ad una sfaccettatura e una selezione naturale di quelle che sono i produttori. Per il resto del mondo tornerà in voga le zone del Beaujoulais dove ci sono dei produttori che lavorano molto bene e vedo bene anche bene il territorio inglese soprattutto per le bollicine. Lavora bene anche il “nuovo mondo” - conclude Martini - con Argentina, Cile, California e Uruguay dove la quantità si sta trasformando in qualità”.
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