Il pericolo arriva dal vigneto. Nel breve periodo, messi da parte per un momento i grattacapi di natura economica, e quindi l’inflazione galoppante, la mancanza di materie prime e materiali di ogni tipo e l’emergenza lavoro, è tutta agronomica la sfida per le aziende del vino italiano, alle prese con una delle peggiori crisi idriche che si ricordi. Sintomo, evidente ma non il solo, di quei cambiamenti climatici con cui il settore fa i conti da anni, non solo affrontando vendemmie sempre più critiche, ma anche offrendo soluzioni in termini di sostenibilità ambientale e, di conseguenza, di lotta alle emissioni di CO2. Del resto, il vino è un prodotto della terra, e nessuno come i vignaioli sa ergersi a tutela dei territori.
Ma non basta, perché dalla ricerca devono arrivare necessariamente soluzioni agronomiche, in grado di interpretare una tendenza tutt’altro che nuova, che, come ricordano a WineNews alcuni dei produttori più rappresentativi del vino italiano - da Albiera Antinori (Marchesi Antinori) ad Andrea Lonardi (Bertani Domains), da Michele Bernetti (Umani Ronchi) a Raffaele Boscaini (Masi Agricola), da Giampiero Bertolini (Tenuta Greppo) a Cristina Ziliani (Berlucchi), da Luca Rigotti (Mezzacorona) a Stefano Capurso (Dievole), da Christian Ridolfi (Santi - Giv) a Celestino Gaspari (Zymè), da Caterina Dei (Dei) a Tiziano Castagnedi (Tenuta Sant’Antonio), da Antonio Michael Zaccheo (Carpineto) a Giampaolo Speri (Speri), da Francesco Liantonio (Torrevento) a Federica Boffa (Pio Cesare) - si traduce, negli ultimi 20 anni, in una vendemmia estrema ogni tre.
Statistiche impressionanti, che riguardano, proprio come in questo torrido 2022, principalmente la siccità. Con cui dobbiamo imparare a fare i conti, offrendo sì soluzioni a breve termine, per salvaguardare una raccolta che si preannuncia in calo verticale in termini di quantità (non di qualità), ma anche e soprattutto una visione di lungo termine. Per ora, opinione comune, basterebbe qualche pioggia salvifica, prima che sia troppo tardi e che la vite vada in stress idrico (scenario ancora lontano).
“La siccità è un tema molto preoccupante, ci auguriamo, da agricoltori, che la pioggia torni a cadere. C’è ancora tempo per salvare l’annata, ma di certo non è una bella tendenza”, dice Albiera Antinori. Mentre per Andrea Lonardi (Bertani Domains) “la siccità è il grande problema di questo periodo in tutta l’Italia, ed in alcune Regioni sarà un fattore determinante per quello che sarà il successo della prossima vendemmia”. Urgono soluzioni, continua Lonardi, stabilendo, “a livello nazionale un programma di lavoro che individui, dal punto di vista viticolo, obiettivi a breve periodo che possiamo raggiungere, ed altri a medio termine, che si concentrino sulle nuove forme di allevamento, le nuove varietà, le nuove condizioni in cui riusciremo a fare viticoltura in una prospettiva molto diversa dagli ultimi 20 anni”. Anche, secondo Michele Bernetti (a capo della marchigiana Umani Ronchi), “nell’immediato i pericoli maggiori arrivano dalla siccità, che rischia di far saltare il banco dodo due annate scarse. Le maturazioni stanno procedendo bene, ma il rischio di scompensi importanti esiste”.
“C’è preoccupazione per la siccità, ma lavorando nel settore primario ci siamo abituati: grandine, siccità, troppa pioggia sono delle eventualità da mettere in conto”, ricorda Raffaele Boscaini (Masi Agricola), augurandosi “che non porti a conseguenze disastrose per un’annata che, ad oggi, si preannuncia molto buona, sia dal punto di vista sanitario che per l’andamento delle maturazioni”. A Tenuta Greppo, la casa del Brunello di Montalcino di Biondi Santi, “il problema - ricorda Giampiero Bertolini - non è nuovo, lo stiamo affrontando da tempo, specie nella strutturazione delle nuove vigne, che in futuro dovrebbe aiutarci a sopperire al problema dell’aumento delle temperature e, appunto, della siccità”. In Franciacorta, invece, Cristina Ziliani (Berlucchi) allarga il campo dell’emergenza “ai cambiamenti climatici, una sfida a cui non siamo preparati, perché non ne abbiamo mai vissuta una in precedenza, e poi perché è difficilmente controllabile dall’uomo. Siamo tutti chiamati a fare qualcosa, quantomeno a limitare i danni, ma siamo troppo abituati al benessere per rinunciare ad abitudini che, magari, ci consentirebbero di rallentare questo processo ormai ineluttabile. Per un territorio piccolo come quello della Franciacorta, il clima influisce tantissimo, e dal 2017, l’anno della grande gelata, la situazione è andata via via peggiorando. Ad aiutarci c’è la tecnologia, specie nelle aziende più grandi e strutturate. Noi ad esempio abbiamo iniziato ad introdurre in vigna l’Erbamat, un vitigno che dovrebbe rispondere bene al Climate Change”.
Confida nel ruolo positivo e propulsivo della filiera vino Luca Rigotti, presidente Mezzacorona, che sottolinea come “i cambiamenti climatici sono ormai un dato di fatto, ma il settore vino sta lavorando con buone pratiche di sostenibilità indirizzate a ridurre l’impatto della filiera sull’ambiente. Stando sul lato produttivo, la siccità di quest’anno e gli eventi climatici repentini che si stanno verificando in questi ultimi anni possono compromettere la produzione”. Secondo Stefano Capurso (Dievole, in Chianti Classico) “i cambiamenti climatici vanno inseriti in una visione di lungo periodo: noi tutti li stiamo affrontando da anni, con stagioni estreme che hanno un’influenza drammatica sulla produzione del vino. Nelle ultime 20 vendemmia ci sono state 7 vendemmie estreme: ogni tre anni ci troviamo di fronte a problematiche di origine soprattutto agronomica, che necessitano di una visione di lungo periodo, specie per quanto riguarda i nuovi impianti, e quindi portainnesti e cloni, capaci, nel tempo, di calmierare gli effetti negativi del clima. Da tempo stiamo lavorando su portainnesti vigorosi, con apparati radicali molto profondi, per far sì che le nostre viti abbiano accesso q quegli strati di terreno ancora umide subiscano meno la siccità. In quest’ottica, anche la viticoltura organica, che noi pratichiamo in tutte le denominazioni in cui siamo presenti, dà un grande aiuto”.
Peculiare la situazione della Valpolicella, raccontata dall’enologo di Santi (Gruppo Italiano Vini) Christian Ridolfi, secondo cui “in alcuni areali l’emergenza è meno pressante, come in Valpolicella, zona abbastanza fortunata, perché i nostri vitigni maturano tardivamente e beneficiano della frescura e dei temporali di fine estate. È anche vero che una rete idrica efficiente ci permette l’irrigazione di emergenza quando serve. Il calore e le alte temperature sono comunque un fattore di stress, che possiamo mitigare con il lavoro in vigna, dalla gestione della parete foliare, per proteggere il grappolo con le foglie e limitare evaporazioni eccessive”. Azioni limitate, che si possono superare con la tecnologia, spostando l’obiettivo un po’ più avanti senza paura di interventi radicali: “penso all’ibridazione per produrre vitigni resistenti alla siccità, che sappiano radicare più in profondità e che maturino più tardivamente. Sempre tutelando il territorio e la sua storia, ma dando l’opportunità alle denominazioni di adottare vitigni diversi e cambiare in maniera più agile i disciplinari”.
Per Celestino Gaspari (Zyme, Valpolicella), che si concede una divagazione sul tema, “la preoccupazione numero uno è il cambio generazionale, perché i ragazzi avranno presto il volante tra le mani, ma non mi sembra che siano così disponibili al sacrificio e all’elasticità. Il Climate Change è un’altra grossa preoccupazione, lo osserviamo da anni e non sappiamo ancora dove potremmo andare a finire. Penso che la deforestazione e l’aver predato le risorse idriche del sottosuolo senza regole né etica, sono cose che pagheremo a lungo”. Secondo Caterina Dei (con tenuta nel territorio di Montepulciano), invece, la soluzione passa per una gestione sempre più attenta e peculiare del vigneto: “ci troviamo sempre più spesso di fronte ad eventi estremi, per cui dobbiamo gestire la vigna focalizzandoci su ogni singolo appezzamento e scegliendo le pratiche capaci di far esprimere al meglio ogni varietà ed ogni vigneto. Per noi, in regime biologico, le difficoltà sono anche maggiori, dovremo tenere conto di quantità inferiori, ma per produrre vini sempre più di qualità”. Tiziano Castagnedi (Tenuta Sant’Antonio, in Valpolicella) sottolinea la “normalità” dell’eccezionalità, ricordando che “in questi ultimi decenni ci siamo abituati al cambiamento climatico e ad affrontare la siccità estiva e spesso le gelate primaverili”. Allo stesso tempo, per Antonio Michael Zaccheo (con cantine a Montalcino, Montepulciano e Chianti Classico), “i cambiamenti climatici sono un problema serio, che richiedono una collaborazione globale”. Partendo da un assunto, ben riassunto da Giampaolo Speri (Speri, Valpolicella): “la vite ha uno spirito di adattamento incredibile, ed oggi ci sono strategie che, dal punto di vista viticolo, ci possono aiutare”.
Infine, le parole di Francesco Liantonio (Torrevento, a Castel del Monte, in Puglia), secondo cui quello della siccità, e quindi del Climate Change, “non è un problema semplice da affrontare e risolvere. È un fatto di coscienza, prima di tutto di noi produttori: dobbiamo intraprendere un vero percorso verso la sostenibilità, nei fatti, non nelle parole. Bene o male, è un problema che stiamo affrontando, a differenza delle dinamiche economiche, come l’inflazione e la mancanza delle materie prime, problemi che ci lasciano sgomenti”. Federica Boffa (Pio Cesare), quindi, chiosa ricordando la situazione drammatica delle Langhe (ma più in generale del Piemonte, ndr), dove “non abbiamo registrato grandi precipitazioni durante l’inverno, quando abbiamo avuto un solo giorno di neve. Veniamo da oltre 100 giorni senza acqua, e questo non ci aiuta ad affrontare un’estate senza precedenti. Il Nebbiolo sta faticando molto, così come tutti gli altri vitigni più importanti della nostra Regione, dalla Barbera al Dolcetto, ma anche lo Chardonnay ed il Sauvignon, e questo ci preoccupa molto in vista della vendemmia. Abbiamo avuto qualche giorno di sollievo con delle belle giornate di pioggia, accompagnata però dalla grandine, che di certo non ci ha aiutati. Eppure, magari esagerando, siamo disposti persino a sacrificare qualche acino per un po’ di pioggia. La vendemmia 2022, così, sarà caratterizzata da quantità in netto calo, ma speriamo in una qualità elevata, proprio in virtù delle rese naturalmente scarse”.
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