L’impatto del vino sull’economia non è importante solo in Italia o nei Paesi storicamente vocati alla produzione enoica. In Usa le ultime statistiche del Wine Institute sull’economia nazionale che nel 2013 ha toccato i 121,8 miliardi di dollari, di cui 14,7 miliardi in tasse statali e federali, grazie principalmente alle cantine della Napa Valley, da cui sono usciti 1,9 miliardi di litri di vino che, al dettaglio, hanno generato qualcosa come 23,1 miliardi di dollari. E non è tutto, perché il dato più interessante, come racconta il magazine economico più letto Oltreoceano, “Forbes” (www.forbes.com), è che il vino, specie negli ultimi anni, è diventato un vero e proprio indicatore macroeconomico, capace di raccontare, e persino prevedere, le dinamiche mondiali.
Le quotazioni del Liv-Ex, il benchmark dei fine wines, ad esempio, hanno ricalcato le difficoltà dell’economia Usa: un crollo verticale all’esplosione della crisi, nel 2008, il grande recupero del 2010 e 2011, seguito da una nuova discesa, che l’ha portato ad un livello di poco superiore a quello del 2008. Certo, si tratta di una nicchia di mercato che, se pure di altissimo valore, non è certo rappresentativa, a differenza di quella fascia di bottiglie che si vendono allo scaffale a 30-70 dollari: è dai dati di vendita di queste bottiglie che si capisce, almeno secondo “Forbes”, come sta e dove va il mercato, perché è la più sensibile alle variazioni del potere d’acquisto della fascia media.
Ma non è l’unico indicatore economico di natura enoica: altrettanto indicativo, infatti, è l’andamento dei prezzi dei terreni nelle maggiori zone di produzione, come, nel caso americano, la Napa Valley. La buona notizia è che i prezzi per acro continuano a crescere, secondo qualche analista raggiungeranno, nel 2050, il milione di dollari, segno che nell’economia Usa ci sono grandi margini di miglioramento e grande fiducia.
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