Intanto i numeri che parlano di un settore che ha un suo peso, specifico e significativo per l’Italia, e quindi 16 miliardi di euro di fatturato (il 9% del food & beverage italiano), 8 miliardi di esportazioni (16% del F&B), 74.000 lavoratori, un valore aggiunto di 14,8 miliardi di euro attivando diverse filiere con un effetto moltiplicatore di 4,1 per il Paese: per ogni euro di valore realizzato dalle imprese vitivinicole si ricavano 4 euro a vantaggio dell’economia nazionale. Questa la “radiografia” del vino italiano secondo i dati elaborati dall’Osservatorio Federvini in collaborazione con Nomisma e Tradelab, un settore che quindi si dimostra strategico per l’economia nazionale, ma che non si può, allo stesso tempo, permettere di sedersi sugli allori, perché, e questo è stato il secondo punto cardine dell’incontro promosso da Federvini e andato in scena a Vinitaly 2024, a Verona, i consumi stanno cambiando trainati dalle nuove generazioni sempre più vicine a prodotti low/no-alcool, dagli Usa fino alla Gran Bretagna passando per la Germania.
Un settore, quello del vino, che, nel 2023, come si vede dai dati comunicati da Emanuele Di Faustino, responsabile Industria, Retail e Servizi, Nomisma, ha trovato nell’Europa il suo mercato principale con un peso pari al 41% dell’export complessivo, seguita dal Nord America (28%), Europa extra Ue (21%) e Cina, Giappone e Sud Est asiatico (6%) dove i consumi, come è noto, sono in fase di stallo. Una filiera vitivinicola capace di integrarsi con i territori di riferimento, basti pensare che l’82% delle materie prime agricole/alimentari proviene dal mercato regionale (il 51% per quelle agricole/non alimentari); un impegno decisamente rilevante per la sostenibilità con azioni mirate da parte delle aziende, ma anche la forte propensione all’investimento con il 90% delle aziende che dichiara di averli realizzati negli ultimi tre anni. Senza dimenticare i numeri del biologico che copre il 20% sul totale del vigneto italiano, che tradotto in cifre significa 133.140 ettari di superficie nel 2022 (+163% sul 2010).
La sfida, che si è già aperta, è però quella del mercato che si sta evolvendo ad una velocità da fuoristrada: i consumi, illustrati da Bruna Boroni di TradeLab, confermano la centralità del vino, ovvero 819 milioni di consumazioni (bollicine comprese), il 19% sul totale delle bevande (escluse le consumazioni di acqua) e il 33% nel panorama degli alcolici. Complessivamente il vino, “scorporato” dalle bollicine, nelle consumazioni tocca quota 587 milioni (72%) con il bianco al 35% (altro segnale dei consumi che cambiano, ndr), il rosso al 33% e il rosè al 4%. Le bollicine salgono a 233 milioni (28%), il trend delle consumazioni, nel confronto tra il 2022 ed il 2023 è cresciuto dell’1% ma le bollicine crescono a ritmi molto più sostenuti (+7%). Una sfida, quella del mercato fuori casa, da vincere nella differenziazione del marketing mix per occasioni di consumo e canale: qui appare un puzzle complesso con il 36% delle ripartizioni dei consumi che sono a cena, il 33% a pranzo ed il 18% nell’aperitivo serale mentre per quanto riguarda la tipologia dei locali, il 32% degli acquisti si materializzano nei ristoranti gourmet, il 22% in quelli di fascia media, il 15% nei bar diurni e l’11% in quelli serali. Ciò che è stato evidenziato, in questo frangente, è di fare proposte innovative per fidelizzare un consumatore sempre più “volubile” che cambia sovente preferenze di consumo.
E poi c’è quella che forse è la sfida “big”, ovvero l’interpretazione dei nuovi trend di consumo, “low alcool” in testa: il 45% degli italiani, giovani in primis, è convinto che il fenomeno della bassa gradazione alcolica interesserà i consumi di bevande nei prossimi anni, il 37% per quanto riguarda le bevande zero alcool. Inoltre il 33% è interessato a consumare vini con basso/zero alcol, quella dei giovanissimi è la fascia più motivata a farlo, il 40% sarebbe disposto a consumarlo come alternativa al vino tradizionale.
Denis Pantini, responsabile Agrifood & Wine Monitor di Nomisma si è soffermato sui mercati internazionali ed i nuovi trend. La “geopolitica” del vino vede l’Italia come leader dell’esportazione in 46 Paesi, dietro soltanto alla Francia (51) e nettamente davanti alla Spagna (10). Ma la differenza, ribadita anche più volte in passato dalle voci autorevoli del settore, è notevole se si guarda al prezzo medio (9,38 euro per la Francia contro i 3,65 dell’Italia) e al valore complessivo che Oltralpe è vicino ai 12 miliardi di euro e in Italia si ferma a 7,7 miliardi. L’export, sia in valore che in volumi, è rimasto vicino ai dati del 2022 (-0,8% per entrambi), in un anno in cui quasi tutti i top 15 mercati di importazione hanno ridotto gli acquisti dall’estero. Il mercato Usa, tra gli alcolici, negli ultimi 10 anni ha visto il vino stabile (11%, +1%), la birra è passata dall’81% al 70%, crescono gli spirits dal 6% al 10% ed i ready to drink passati dal 3% al 9%. Ma la crescita è ancora più importante tra i vini no alcool, +16% in volume e +52% in valore (44,3 milioni di euro). Per quanto il settore sia più rilevante, il low alcool è invece in calo, tra il 2022 e il 2024 c’è stato un calo del 18% in volume e del 13% in valore (214,6 milioni di euro). In Germania, dove il vino analcolico segna +6% in volume e +17% in valore, va forte lo spumante no alcool che vale, rilevazione di marzo 2024, 57,4 milioni di euro; gli spumanti low alcool venduti in Gdo, il trend è in ascesa, sono quasi tutti sotto i 7 gradi. In Uk i consumi di vino, negli ultimi dieci anni, sono calati del 5%, con il boom degli spirits (+21%) e ready to drink (+26%), mentre i no alcool, tra il 2021 ed il 2023 sono aumentati del 6%. Claudio Povero dell’Ufficio Ice di Londra, ha detto che qui si “conferma il trend di low e no alcool, quest’ultimo preferito fino ai 24 anni di età”.
Dunque, “il comparto del vino italiano si conferma resiliente, mostrando una tenuta sul fronte dell’export, nonostante le diverse criticità che hanno segnato lo scenario internazionale - ha affermato la presidente Federvini Micaela Pallini- l’Italia ha retto il colpo rispetto agli altri Paesi grandi esportatori, Francia in primis. Il malessere nel settore vitivinicolo francese, purtroppo, sembra permanere, nonostante la loro grande capacità di generare valore: dalla distillazione, sono passati a misure quale l’estirpazione, in particolare in alcuni areali produttivi; diversamente la situazione italiana sembra mantenersi in equilibrio, complice anche la scarsa vendemmia. Bisogna però lavorare più attivamente sulla domanda ed in particolare sulla promozione: si rende necessario emanare quanto prima il decreto sulla promozione Ocm vino nei Paesi terzi introducendo quei miglioramenti tanto attesi dal sistema delle imprese affinché la misura possa dispiegare al meglio i suoi effetti”.
Una riflessione sul futuro del vino è stata fatta anche da Ettore Nicoletto, vicepresidente di Federvini. “C’è un impegno importante da parte del Governo per il settore, serve comunque un’unione delle forze, un manifesto del vino con una prospettiva di 10-15 anni. Sul consumo dei giovani, abbiamo poche informazioni per prendere decisioni “intelligenti” perché ci sono delle ricerche ma non ne sappiamo abbastanza per arrivare alle conclusioni. Magari è una banalità dirlo ma occorre mettere il consumatore al centro, esistono dei consumatori che spaziano in un ampio spettro di vini ma senza continuità. Uno strumento efficace è l’enoturismo e la wine experience, occorre portare la gente in altri luoghi, far vedere dove nasce il vino. Il tema del no alcool è vero ma bisogna fare delle ricerche. Ci sono vini senza tempo, come l’Amarone e il Brunello, che non devono cambiare, ma altri vini vanno resi più facili per conquistare i consumatori, serve avere coraggio magari attraverso distretti vitivinicoli e lanciando nuovi vigneti. E poi serve la formazione, il settore ne ha grande bisogno”.
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