La tassazione voluta dal Governo in funzione anti-crisi, oltre, evidentemente, a mettere in difficoltà buona parte dell’intera popolazione dello Stivale, sembra essere particolarmente ostica per il settore agricolo del Bel Paese, che resta uno dei più importanti motori dell’economia tricolore anche in epoca di crisi.
Il pagamento della prima rata dell’Imu ha rimesso, infatti, sul tappeto alcune criticità che, nel settore agricolo, restano, in alcuni casi, molto marcate. Le aree agricole di produzione delle “commodities”, quali riso, grano, soia, ma anche ortaggi e frutta, sono per lo più incluse nelle zone dove l’imposta municipale unica dovrà essere pagata per intero (e cioè nei comuni “non montani”), senza le specifiche detrazioni che la “vecchia” Ici offriva. Si tratta di quella produzione i cui prezzi di vendita non possono avvalersi del valore aggiunto che, invece, può vantare molta parte della produzione d’eccellenza dell’agroalimentare tricolore. Un problema che, evidentemente, potrà essere affrontato senza eccessivi contraccolpi da parte di quelle realtà produttive di grande dimensione ma che, nei casi dei produttori più piccoli, che comunque vivono di agricoltura, potrebbe generare delle difficoltà ulteriori in un momento, peraltro, particolarmente delicato.
Alcuni esempi possono chiarire l’entità della questione. Un’azienda risicola di Pavia, di 50 ettari che pagava un Ici di 3.588,23 euro, paga come Imu 7.272,16 euro, ovvero 3.683,92 euro in più (+103%); un proprietario di un’azienda cerealicola del foggiano di 100 ettari, che pagava un Ici di 4.067,10 euro, paga come Imu 8.753,70 euro, ovvero 4.686,60 euro in più (+115%; dati Confagricoltura); in Romagna, 9 ettari di terreno di proprietà, destinato alla produzione di ortaggi, la prima e la seconda casa, divise tra due fratelli, un capannone, valgono un Imu di 1.370 euro, mentre con l’Ici la somma era di 380 euro (dati: Cia - Confederazione Italiana Agricoltori).
Ma c’è di più. Nella circolare definitiva per l’applicazione dell’Imu, il Ministero ha mantenuto l’esenzione dal pagamento della tassa per i comuni (sono 6.103 su poco meno di 8.100) di aree montane o di collina (legge 984/77). Sono quelle meravigliose zone, che ospitano la maggior parte delle eccellenze del made in Italy agroalimentare, a partire dai vini simbolo del nostro Paese, assoluti protagonisti dei mercati e capaci di trasformare quegli angoli d’Italia in vere e propri “distretti produttivi” ad alta redditività. Stiamo parlando di comuni e denominazioni come, solo per fare alcuni esempi, quella del Chianti Classico (con i comuni di Radda in Chianti, Gaiole in Chianti e Greve in Chianti esentati dall’Imu, ma con Castellina in Chianti e San Casciano Val di Pesa inclusi fra i comuni che la pagheranno), Montalcino, il cui comune è per intero fra gli “esentati”, della Valpolicella, dove nasce l’Amarone, uno dei vini a successo più conclamato. Ma ci sono anche territori come quello di Langa, patria di Barolo e Barbaresco, interamente non esentati dall’Imu (a partire dai comuni di Barolo, Barbaresco, Castiglione Falletto e Neive).
Al di là delle bizzarrie geografiche e dei veri e propri antichi retaggi legislativi che fotografavano un Italia ormai scomparsa, basti pensare che il carattere di “montanità” ancora in uso per la connotazione dei Comuni è stato definito dalla legge 25 luglio 1952, n. 991 e congelato a questa data, il decreto legge dell’Imu continua a restare anche poco chiaro e a contenere vere e proprie sperequazioni.
“Nel decreto legge che istituisce l’Imu, ci sono, per esempio, ancora dei dubbi importanti su come debbano essere accatastati - spiega il professore di politica economica Quirino Biscaro della Scuola interdipartimentale Selisi dell’Università Ca’ Foscari di Venezia - alcuni fabbricati agricoli. Si tratta di un provvedimento basato sulla logica del taglio lineare e nelle pieghe del testo legislativo sussistono delle realtà che sfuggono completamente. Peraltro - conclude Biscaro - le produzioni di valore dell’agroalimentare italiano sono davvero tante e predisporre un provvedimento ad hoc per ogni situazione avrebbe richiesto un tempo lunghissimo che il Governo, evidentemente, non aveva”.
Le principali organizzazioni di settore (da Confagricoltura a Coldiretti, alla Cia - Confederazione Italiana Agricoltori), intanto, sono pronte a tornare all’attacco del Governo per una riduzione dell’aliquota prevista sulle prossime trance di pagamento, soprattutto in considerazione del fatto che, molto probabilmente, il gettito andrà abbondantemente al di là della cifra complessiva preventivata dal Governo (l’Imu del settore primario vale 224 milioni di euro (135 milioni di euro dai fabbricati e 89 milioni di euro dai terreni).
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