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VINO E MERCATI

In Florida, secondo Stato Usa per consumi enoici, i dazi fanno meno paura al vino italiano

Da Simply Italian Tour by Iem, a Miami, tra importatori, distributori ed istituzioni si diradano le nubi delle nuove tariffe
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In Florida, dove i dazi fanno un po’ meno paura

Visto dalla Florida - il “Sunshine State”, terzo Stato per abitanti e secondo per consumi enoici - la situazione sul mercato Usa per il vino italiano sembra un po’ meno scura. Le nuvole - quelle dei dazi sul vino e sugli altri prodotti del made in Italy agroalimentare, ciclicamente rilanciati dal Presidente Trump - sono ancora lì, ma un po’ meno minacciose, perché se è vero che gli importatori che WineNews ha incontrato, a Miami, nella prima tappa del Simply Italian Great Wines Americas Tour 2020 (la seconda a Città del Messico, il 6 febbraio) by Iem - International Exhibition Management, guidata da Marina Nedic e Giancarlo Voglino, mostrano ancora qualche titubanza ad ampliare il proprio portafogli prodotti, scottati dalle tariffe del 25% imposte sulle produzioni francesi, spagnole e tedesche, i numeri mostrano una sostanziale tenuta.
Secondo i dati dell’Ice di New York, infatti, nei primi 11 mesi del 2019 le spedizioni dell’agroalimentare e delle bevande made in Italy hanno sfiorato i 5 miliardi di dollari (4,96 miliardi di dollari), in crescita del +5,5% sullo stesso periodo del 2018. Con due dati indicativi: da una parte il leggero calo del vino (-0,5%), ad 1,81 miliardi di euro, sostanzialmente stabile, dall’altra il boom del comparto formaggi, cresciuti del 20,3%, spinti fino ai 352 milioni di dollari a valore proprio dall’ipotesi - avveratasi il 17 ottobre - dei dazi al 25%.
E proprio da qui è bene ripartire, per affrontare con maggiore serenità i mesi a venire, perché l’istituzione di nuovi dazi è solo ipotetica, ed il 100% del valore la peggiore delle possibilità, di difficilissima realizzazione.
Certo, si naviga ancora a vista, perché l’azione dell’Amministrazione Trump è difficile da prevedere, vive di grandi di annunci, fughe in avanti e improvvise frenate, ma non si pensi che l’Italia si stia limitando a guardare. L’azione diplomatica, lontana dai riflettori, è infatti più viva che mai, così come il lavoro dell’Ice - Istituto per il Commercio Estero, che ha risposto ai dazi su formaggi, salumi e spirits con un fitto calendario di iniziative, promozionali e non solo, a sostegno dei settori merceologici colpiti. E proprio qui sorge una differenza enorme tra formaggi e vino: sui primi, la competizione con l’industria casearia del Wisconsin - bacino di voti importantissimo per Trump, specie nell’anno che porta alle elezioni - è serratissima, ma il mercato del vino vive dinamiche assai diverse. Prima di tutto perché le produzioni Usa non sono neanche lontanamente sufficienti a coprire i consumi interni, e poi perché l’effetto sostitutivo è difficilissimo: pensare di importare un vino argentino al posto di un vino toscano, solo per fare un esempio, è obiettivamente difficile da immaginare.
Quel che è certo è che, come sottolineano importatori e distributori, l’azione unitaria della filiera enoica - dagli importatori ai ristoratori - sembra aver fatto breccia, con un messaggio tutto sommato semplice: i dazi sul vino fanno male agli affari, a tutti i livelli, il che rischierebbe di tradursi in una perdita di migliaia di posti di lavoro, argomento a cui sia Trump che il popolo americano è particolarmente sensibile. Del resto, quanto sta accadendo con il vino francese è un monito per tutti, anche oltre il vino, tanto che il 9 febbraio l'associazione “One American March” ha organizzato una manifestazione, che arriverà davanti alla Casa Bianca, a Washington, per chiedere di non introdurre più tasse su alcun prodotto (“Stop the tariffs”). Tornando alle produzioni enoiche di Francia, le tariffe, al 25%, hanno portato già ad una evidente e drastica frenata delle importazioni, con un particolare da evidenziare: con le annate precedenti ancora sugli scaffali, diventa praticamente impossibile per i vini appena usciti stare sul mercato, per cui il reale ed effettivo impatto lo si potrà capire solo tra qualche mese. Per il vino italiano, invece, il vero punto di forza è ancora una volta la sua unicità, come spiega a WineNews il beverage manager del Big Time Restaurant Group - 15 locali in Usa ed un fatturato vino che supera i 30 milioni di dollari l’anno - Ervin Machado: “la Toscana, in questo senso, è l’esempio migliore, con una piramide produttiva capace di soddisfare ogni range di prezzo, dal Chianti al Brunello. Da parte mia, sono convinto che il vino italiano uscirà indenne dalla questione dazi”.

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