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IN LIBRERIA LA “GUIDA AI RISTORANTI D’AUTORE” DI “IDENTITA’ GOLOSE”, CURATA DA PAOLO MARCHI: BEN 620 INDIRIZZI DEL BUON MANGIARE ITALIANO IN 26 PAESI DEL MONDO

Una guida per viaggiatori internazionali, che raccoglie 620 indirizzi del mangiar bene all’italiana attraverso 26 Paesi: esce in questi giorni in libreria, “Identità Golose - Guida ai ristoranti d’autore di Italia, Europa e Mondo” n. 4, firmata dal giornalista Paolo Marchi. Nel 2010 Identità Golose (www.identitagolose.it), Congresso Italiano di Cucina d’Autore, è stata esportata con successo da Milano nel mondo: prima a Londra con “Identità London” il 7 e 8 giugno, poi a Shangai in occasione dell’Expo e dal 12 al 14 ottobre nuova tappa nella Grande Mela, con “Identità NY” nel palcoscenico di Eataly.
La guida (19 euro, Il Castello Editore) è il risultato dell’impegno di 86 collaboratori da ogni capo del mondo che raccontano, selezionando il meglio della ristorazione italiana, senza dispensare voti e aprendo una finestra sul mondo, là dove la cucina è sperimentazione, evoluzione, passione, storia. L’edizione 2011 si sviluppa lungo un itinerario che attraversa 26 Paesi: dal Portogallo alla Turchia, dal Brasile all’Australia, passando per Cina e Giappone. Il lettore troverà 620 segnalazioni fra cui ben 157 novità rispetto alla precedente edizione.
A scandire le tappe tornano gli appunti di viaggio dedicati a chi ama scoprire il côté goloso di regioni e città raccontate da chi, per piacere o per mestiere, ne conosce i tratti più curiosi. Ecco dunque la Toscana secondo Oliviero Toscani, Londra raccontata da Jasper Gerard firma del “Daily Telegraph”, Berlino nelle parole di Maren Preiss corrispondente per il “Süddeutsche Zeitung”, i Monti Iblei, un frammento di Magna Grecia profondamente amato dalla giornalista e scrittrice Roberta Corradin, Milano negli appunti golosi di Alex Guzzi (Corriere della Sera, Dove, Gente ...), Roma secondo Raffaella Prandi inviata storica del “Gambero Rosso” e poi ancora Amsterdam, Hong Kong, New York, Parigi, San Sebastian, La Valtellina.
Alle Giovani Stelle, ovvero a tutti quei fuoriclasse che non hanno ancora superato gli “anta”, la guida dedica undici premi speciali: il Miglior chef è Niko Romito - Reale - Rivisondoli (L’Aquila), la Migliore chef è Viviana Varese - Alice - Milano, il Migliore chef straniero è Inaki Aizpitarte - Chateaubriand - Parigi, il Miglior sous-chef è Yoji Tokuyoshi - Osteria Francescana - Modena, il Premio birra in cucina va a Luigi Taglienti - Delle Antiche Contrade - Cuneo, il miglior Chef pasticciere è Tatsuya Iwasaki - Agli Amici - Udine, il Miglior maitre è Ivana Palluda - All’Enoteca - Canale (Cuneo), il Miglior sommelier è Merch Pescollderungg - La Stua De Michil dell’Hotel La Perla - Corvara (Bolzano), il Miglior giornalista è Eleonora Cozzella - L’Espresso, la Sorpresa dell’anno è Valerio Centofanti - L’angolo d’Abruzzo - Carsoli (L’Aquila) e il Premio giovane famiglia a Giovanni Santini - Dal Pescatore - Canneto sull’Oglio (Mantova).

Focus - La prefazione di Carlo Petrini: La responsabilità del cuochi
Pare che una delle nuove parole d’ordine per i cuochi oggi sia la semplicità. A prescindere da quanta o da che tipo di tecnica ci sia dietro un piatto, è importante che quel piatto restituisca con immediatezza le qualità dei suoi ingredienti, la loro peculiare bontà, da accompagnare, giustapporre, non filtrare esageratamente in quel passaggio da natura a cultura che è la cucina.
Personalmente apprezzo molto questa tendenza, ma allora bisogna dire che è tempo che i cuochi si rendano conto dell’importanza del lavoro contadino: perché è lì che in nuce si trova la grandezza dei loro piatti. Sono i contadini che forniscono ingredienti di qualità superiore, in grado di esaltare le capacità dello chef, di far volare la sua fantasia, di interpretare al meglio la tradizione consentendole di restare viva e in costante evoluzione. È il savoir faire dei contadini la base insostituibile per qualsiasi grande cucina.
Quindi bisogna lanciare il grido di allarme e coinvolgere i cuochi nella battaglia: mai come oggi nella storia del nostro Paese l’agricoltura è stata così in crisi. Il prezzo del riso è crollato ai minimi storici, il latte viene pagato una miseria tanto che non si riesce a rientrare dei costi di produzione. Un quintale di grano costa circa 10 euro: se facciamo un aperitivo in due spendiamo l’equivalente di un quintale di grano. Non c’è materia prima che non sconti difficoltà incredibili sul mercato, stretta nella morsa di un sistema che non premia la qualità e nemmeno il più umile lavoro dei contadini. Se i cuochi non saranno lungimiranti nello sposare questa causa il loro mestiere alla fine perderà il migliore alleato possibile, colui che da sempre rende grandi le cose semplici: il contadino. Già oggi i contadini nelle nostre campagne sono ridotti al lumicino: circa il 4% della popolazione attiva. E in quel 4% il 60% è anziano, prossimo alla pensione e senza ricambio generazionale. La difesa dei contadini e del loro lavoro è una battaglia di civiltà perfettamente compatibile con gli interessi dei cuochi, i quali se non vogliono farla per fini nobili che almeno la facciano nel loro interesse. Anche perché i cuochi oggi sono i detentori del sapere culinario. Una volta lo erano le donne di casa, le nostre nonne: oggi queste tecniche sono passate nelle mani dei professionisti perché si è rotto il cordone ombelicale che le trasmetteva di generazione in generazione. La responsabilità sociale del cuoco dunque è grandissima. Esserne consapevoli non significa fare chissà che o stravolgere le coordinate del proprio lavoro, anzi: questa situazione può esaltarle. Il cuoco ha bisogno del contadino come il contadino ha bisogno del cuoco.
Se mangiare è un atto agricolo, come sostiene Wendell Berry poeta contadino americano, produrre deve essere un atto gastronomico. E trasformare la natura in cultura nel contesto globale in cui viviamo oggi è un atto che si carica di grande responsabilità, perché ha il privilegio di situarsi a metà tra questi due processi vitali, indurre alla loro comprensione e pratica tanto da parte dei produttori quanto dei cittadini. Parlare di gastronomia senza quest’attenzione rischia di diventare una sorta di onanismo culturale. Il cuoco deve sposare la causa e dichiarare nei suoi menu da chi sono fatti i prodotti agricoli che usa. Conta di più la saggezza di un cuoco che dice le cose piuttosto che quello che “spadella” e non dice niente.

Focus - La prefazione di Paolo Marchi: Bisogna agire, non basta resistere
Quarta edizione della Guida di Identità Golose ai Ristoranti di Italia, Europa e Mondo. Cambia il colore della banda orizzontale in copertina, da gialla il primo anno a lilla ora, a tagliare il nostro rosso bello carico e dominante, con l’inseparabile cucchiaino con l’impronta digitale a ricordarci l’imprinting che ognuno di noi subisce nei primi anni di vita, il gesto della mamma che ci imbocca una pappa invariabilmente buona, la nostra identità che inizia a formarsi e che negli anni cominceremo a capire, a volte accettandola e a volte negandola.
Ma il nostro pollicione sarà sempre lì a ricordarci chi siamo e che non potremo mai prescindere da determinate cifre, da certe peculiarità. Purtroppo, per quanto siamo e per quanto possiamo essere ottimisti, pronti a impegnarci e a guardare al futuro, per il terzo anno consecutivo non possiamo proprio prescindere da una crisi economica pesantissima al punto da investire e mettere in dubbio la sfera etica di ognuno, non solo la capacità di spesa.
Non è una questione di lasciare spazio al pessimismo, ma di realismo, di capire dove è meglio concentrare i propri sforzi perché siano massimi nel migliore dei modi. Questo momento mi ricorda ’A Livella del principe Totò de Curtis, la morte che quando arriva non guarda in faccia nessuno e livella tutto e tutti in un fosso. Mai come adesso abbiamo faticato a controllare il panorama delle insegne inserite in guida, quelle confermate e quelle cancellate così come le novità, che non mancano, faticato a stare dietro alle voci di cambiamenti di conduzione o all’annuncio di chiusure che, se non sono seguite da un trasloco, sono sempre un dramma per chi le subisce. Ed ecco spiegato il riferimento alla livella di Totò, a una crisi che scuote ogni settore e crea problemi ai cialtroni, ma anche a persone perbene che riuscivano a procedere bene con l’economia a posto, ma che annaspano se vengono meno certe garanzie, certi incassi. Inutile prendersi in giro.
L’alta cucina non sopravvive con gli incassi del ristorante, sarebbe come credere che la Ferrari viva degli introiti dei due bolidi da formula uno. L’alta cucina in Italia è un lusso perché non è difesa dalle autorità e non è rispettata dalla massa, primi colpevoli i ristoratori stessi che sovente si nutrono di egoismi e preferiscono badare al dettaglio, snobbando l’affresco. Così non si rendono conto che è di capitale importanza raggiungere una importante massa critica, da usare nei momenti che contano, nei confronti ad esempio di chi legifera e amministra.
Il “nemico” non è il critico o il blogger che esprime un giudizio, loro vengono dopo, la prima figura con cui confrontarsi è l’amministratore locale che ti snobba, che bada ai numeri delle categorie più diffuse, è l’ente o il politico che quando c’è da mostrare l’eccellenza gastronomica pensa che il Pierangelini sia un pittore del Rinascimento e arriva con il catering del cugino. Tutto questo succederà anche all’estero ma le cronache ci ricordano ogni giorno che in Italia è la regola.
Ve ne è poi una seconda, altrettanto pericolosa: ci parliamo addosso, lodandoci in maniera imbarazzante. Ci consideriamo i migliori per diritto divino, universalizzando i nostri gusti, senza ricordarci che la pizza mangiata nel mondo di italiano, nel 99% dei casi, ha solo il nome, che l’olio d’oliva è uno dei condimenti meno diffusi nel pianeta, che il risotto appartiene a noi (e nemmeno a tutti noi) e che l’al dente della pasta non è comune ad altre culture pastaiole. Fatichiamo a confrontarci, quando dovremmo chiederci (e fare tesoro delle risposte) perché altre nazioni hanno imposto i loro parametri di giudizio piuttosto che la loro gastronomia e i loro prodotti, fatto insomma sistema. La guida va in stampa quando la cucina italiana d’autore sta riposizionandosi perché il “Lusso della Semplicità” sarà il filo conduttore per tanti anni, perché gli ingredienti e i pensieri dei cuochi saranno sempre più importanti, perché i piatti dovranno essere sempre più chiari e leggibili senza tanti giri di parole.
La gente, anche i golosi che si muovono per ristoranti secondo novità e bontà, ha la testa piena di problemi e di ansie, e quando si accomoda a tavola non accetta più di dovere pensare per capire dov’è la qualità di una pietanza e il lavoro creativo dello chef. Fosse una macchina, vuole salire a bordo, girare la chiave e partire. Semplicità ha per sinonimo essenzialità, non banalità e prodotti standardizzati. E l’intera filiera deve essere eticamente rispettosa della natura e di chi la lavora. Non possiamo più mangiare il foie gras o il caviale selvaggio senza chiederci cosa c’è dietro o cosa non ci sarà più domani. Ci vuole solidarietà, intelligenza, conoscenza dei prodotti e la forza di uscire dal banale.

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